Due mondi, Capitolo Uno

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A_Francy
view post Posted on 28/10/2013, 18:49




Appoggiai i piedi sul cruscotto e sbadigliai. Un qualche sfigato cantante pop gracchiava alla radio accompagnato dai tergicristalli consumati e dal tamburellare della pioggia contro il tettuccio.
«...Stretta tra le mie braccia, io ti proteggerò...». Gesù, che lagna.
Mamma seguì le parole fischiettando, gli occhi nocciola concentrati sulla strada e l'espressione sul viso rilassata. Bene, non scoppiava più a piangere: potevo cancellare le canzoni d'amore dalla lista nera.
«Quanto manca?» disse Tommy. Seduta davanti a lui potevo solo immaginare il suo sguardo impaziente; beh, mi sarei potuta voltare ma volevo evitare l'ennesimo "cazzo guardi". Dolce fratellino.
«Poco» disse mamma.
«Anche quando ci siamo fermati a fare benzina mi hai detto poco!».
Già. Erano passati trenta chilometri dall'ultimo "poco", ottanta da quello ancor prima: ormai il mio culo era diventato piatto.
«Questa volta è poco per davvero».
Le palpebre erano pesanti. Appoggiai la guancia contro il finestrino freddo e chiusi gli occhi; il vetro vibrava dolcemente. Tommy era a braccia conserte, imbronciato: sorrisi, così imparava a mettersi il cellulare sotto carica la sera prima...
«Sveglia, mummia, siamo quasi arrivati».
Dannata voce acuta da preadolescente, lasciami in pace.
«Tommy, non disturbarla!»
Grazie mamma, perché non urli di più? Aprii gli occhi e mi raddrizzai; quanto avevo dormito? Asciugai il mento dalla bava con la manica del maglioncino.
Una lama di luce illuminò il volto di mamma e sfumature ramate addolcirono il castano scuro dei capelli; si accorse che la stavo guardando e mi sorrise. «Eccoci a Lakewood».
Superammo il cartello di benvenuto, alcune lettere nascoste dal muschio.
I pini svettavano nel cielo grigio -una muraglia verde che costeggiava la strada- e ci seguirono fino alla comparsa delle prime casette: a due piani, con i tetti a punta e dalle tinte pastello, mi sembrava di essere in una fiaba.
Girato l'angolo comparve il minimarket, un edificio di mattoni grigi con l'insegna rossa illuminata ad intermittenza; il parcheggio vuoto era desolante. La fiaba si dissolse.
Imbacuccati nei giubbotti scuri, due bambini giocavano a pallone lungo il marciapiede; al nostro passaggio si fermarono a fissarci, il pallone dimenticato sul ciglio. Bello vivere in una cittadina dove tutti conoscono tutti, proprio bello. Mi trattenni dal fare la linguaccia.
Parcheggiammo alla fine del viale, davanti a una casetta azzurra. Il senso di déjà vu mi portò indietro di tre anni, all'ultima volta che arrivai a quella casa. Scesi dall'auto e il vento freddo mi sfiorò la pelle, procurandomi un brivido; l'aria profumava di pioggia ed erba bagnata.
Tommy sbatté la portiera e corse verso il portico.
«Signorino, prendi la tua valigia!» urlò mamma. Si mosse la tendina di una delle finestre al pian terreno.
Zaino in spalla, trascinai il trolley lungo il vialetto. La porta della casa si aprì e nonna si stagliò sull'uscio, la treccia bianca lunga fino alla vita. Aveva le spalle avvolte in uno scialle di lana grigia e indossava una gonna a pieghe blu che sfiorava il pavimento; la sua figura si conciliò con il ricordo che avevo di lei.
«Ciao nonna!».
Nonna sorrise. «Il mio ometto». Quel tono di voce calmo e grave.... Come mi era mancato. Si chinò ad abbracciare Tommy, il volto pallido increspato dalle rughe.
Sciolsero l'abbraccio e gli occhi nocciola di nonna si posarono sui miei. «Lily carissima». Mi strinse a sé e il profumo di rosa mi pizzicò le narici.
«Ciao mamma».
Mi scostai e lasciai che mamma la salutasse.
Entrati in casa il calore ci accolse. Percorsi il corridoio stretto, le foto appese alle pareti che mi osservavano; passai davanti al ritratto in bianco e nero di un uomo dai baffetti incurvati all'insù, cappello a cilindro e labbra serrate. Mi ammiccò? Rabbrividii, dannate foto inquietanti.
«Se intanto sistemate le vostre cose» disse nonna, lo sguardo diretto verso mamma «vi preparo la merenda». Voleva parlarle da sola. Poverina, non le avrebbe dato tregua nemmeno dopo sei ore di viaggio.
Tommy fece una smorfia. «Ma', devo prendere il borsone».
«Ho lasciato il bagagliaio aperto».
Afferrai il trolley dalla maniglia e salii le scale, le braccia tremanti per lo sforzo e i gradini di legno che scricchiolavano ad ogni passo. Con uno sbuffo posai piede sul pianerottolo; raggiunsi la fine del corridoio e spalancai l'ultima porta.
Sorrisi: la mia cara, dolce camera. Appoggiai lo zaino per terra e mi sedetti sul letto a baldacchino. Sulla scrivania di fronte, una confezione nuova di acquarelli attendeva di rendersi utile; grazie nonna!
Dalla mensola le bamboline di porcellana mi fissavano con i loro grandi occhi vacui, le boccucce rosse arricciate. Mi alzai e mi fermai davanti a Molly, i ricci biondi che le scendevano lungo il vestitino di pizzo bianco. «Ciao...» sussurrai. La voce era roca; quando avevo parlato l'ultima volta?
Lo sguardo scivolò sul comodino. Le gambe si mossero senza che io volessi e mi ritrovai inginocchiata di fronte ad esso. Cosa stava succedendo? Il cuore mi martellava contro il petto, gocce di sudore percorsero la fronte. Con mano tremante aprii il primo cassetto -ma io non volevo aprirlo!- e trattenni il respiro.
Il medaglione. Il dannato medaglione che avevo buttato prima di partire. Com'era finito nel comodino? Scattai in piedi, libera dalla forza invisibile. Uno scherzo idiota di Thomas? Impossibile, non aveva avuto modo di salire su. E poi, cosa dire che mi sono mossa senza volerlo? Porca puttana!
Le lacrime mi scivolarono lungo le guance, mi sedetti sul pavimento e presi la testa tra le mani; ero impazzita del tutto, avrebbero dovuto rinchiudermi in un manicomio.
Gli occhi scattarono verso il medaglione e serrai le mani: dannato affare d'oro. Lo afferrai, aprii la finestra e lo lanciai nel prato. Sparisci dalla mia vita!
Asciugai le lacrime con la manica del maglioncino e feci un lungo respiro. Calma Lily, sei sana di mente, davvero. Lo stomaco brontolò. Basta pensare alla tua salute mentale, c'è la merenda che ti aspetta.
Scesi le scale e mi bloccai sull'ultimo gradino.
«Quale psicologa? Lily si era rifiutata di andare». La voce di mamma giungeva forte e chiara dalla cucina.
«Avresti dovuto costringerla».
«Mamma, non sono come te». Il suono dell'acqua che scorre dal rubinetto. «Non obbligo i miei figli a fare quello che non vogliono».
«Infatti si vedono i risultati».
Qualcuno sbuffò, probabilmente mamma.
«Hai più sentito o rivisto... tuo marito?».
«No».
Salii le scale in punta di piedi, non avevo più fame.
Lungo il corridoio Tommy mi passò accanto senza degnarmi di uno sguardo, gli occhi nocciola fissi davanti a lui. Ero una pazza che necessitava di essere curata, figuriamoci se mio fratello voleva interagire con me.
Entrata in camera, abbandonai i vestiti sul parquet e mi nascosi sotto le coperte. I miei incubi non mi avrebbero dato pace nemmeno a Lakewood, ero stata una sciocca a pensare diversamente. Mi sfuggì un gemito. Ero pazza, lo diceva anche la mia nonna.
Serrai gli occhi, il petto scosso dai singhiozzi. Shhh, Lily, basta piangere, vedrai che tutto si sistemerà...

Ero in piedi.
Nuda.
Avvolta dal buio.
Acqua che gocciolava contro metallo.
L'aria fredda mi accarezzò il corpo.
Dove ero finita?
Un bagliore rosso nell'oscurità.
Il cuore mi balzò in gola. Mi sedetti sul pavimento gelido e abbracciai le ginocchia, le labbra serrate per non urlare.
Era buio e se non avessi fatto rumore non mi avrebbero scoperto.
«Non si buttano via i regali».
La voce di papà.
Beccata.
Mi irrigidii e il buio si schiarì.
I suoi occhi verdi mi stavano fissando.
Un brivido mi corse lungo la schiena.
Tese le labbra in un sorriso.
Allungò il braccio e dischiuse la mano.
La gemma rossa del medaglione brillò.

Sbarrai gli occhi e scattai seduta, il respiro affannato.
Il chiarore lunare entrava dalla finestra, rischiarando i contorni dei mobili: ero nella mia camera, lontana e al sicuro da mio padre.
Scostai i capelli madidi di sudore dalla fronte e presi fiato, le guance accaldate; mi sembrava di aver appena corso per chilometri. Dannati incubi.
Lo stomaco brontolò e mi mordicchiai il labbro inferiore. Chissà, magari avrei potuto azzardare un salto in cucina. Lanciai un'occhiata verso il comodino per controllare l'ora e mi impietrii.
La gemma rossa del medaglione brillò.
 
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