Frenesia - Parte 1

« Older   Newer »
  Share  
Lo Scribacchino
view post Posted on 29/8/2013, 20:05




Salve a tutti. Era un po' che non postavo su questo sito a causa di grandi incombenze scolastiche. Stasera vi vorrei proporre un racconto che mi è capitato di scrivere per un concorso letterario (nel quale non ho avuto fortuna). Tenendo conto che l'ho scritto in un giorno e mezzo, so che potrebbe essere migliorato sotto molti aspetti.
Mi piacerebbe, però, sapere cosa ne pensate (anche perché mi spiace lasciarlo lì nel dimenticatoio)

P.S. L'ho diviso in più parti perché non volevo fare un post troppo lungo.

Buona lettura :D

Un singolo latrato di corno: la sveglia.
L’alba non aveva ancora raggiunto le cime degli alberi quando l’accampamento si destò. I cuochi furono i primi a levarsi, presi nel loro compito di sfamare ottomila soldati. Il bestiame gridava in risposta al suono del corno.
Gherol aprì gli occhi nella penombra della tenda. Il calore cominciava a filtrare attraverso il sottile strato di pelli mentre il sapore di polvere premeva sulla lingua rendendola secca come una striscia di cuoio. Sapeva di avere al massimo venti giri di clessidra prima dell’allenamento mattutino.
Cominciò ad allacciarsi le cinghie di cuoio sopra la tunica di lana grezza. Il tocco ruvido del tessuto graffiava la pelle. Movimenti regolari, quotidiani, familiari.
La mente gli tornò a dieci anni prima. Ricordò il Saggio Wolom nelle vesti oro del consiglio.
Titanico, agli occhi di un bambino.
Divino, agli occhi di un bambino povero.
Ricordò le parole pronunciate di fronte al mondo intero. I messaggeri avevano cavalcato per giorni, in modo che tutti sapessero la buona nuova.
“L’uomo ha bisogno di nuove terre. Sono là, sono nostre… dobbiamo solo reclamarle!”
Fu così che cadde il grande Tabù. Mai l’uomo aveva guardato le Terre Nere. Mai le aveva toccate.
Lo sferragliare di un carro di vettovaglie lo riportò al presente. Raccolse il roam, la spada d’allenamento.

“Prima posizione! Difesa! Spade in alto!”
Gherol sollevò il roam sopra la testa. I muscoli tesi sotto il peso del legno appesantito. Una lama di ferro grezzo racchiusa in una guaina di Albero Nero. Pesava due volte di più rispetto alle armi usate in battaglia.
“Dividersi in coppie! Combattimento simulato!”
I soldati si affrontarono. I roam saettavano, alzavano la polvere quando colpivano il terreno. Secchi “tonk!” risuonavano nell’accampamento quando le lame cozzavano tra loro.
Gli uomini odiavano quell’allenamento.
Distrutti, spezzati.
Era il sacrificio per la guerra. Una volta usati i roam, le spade sembravano piume, semplici prolungamenti delle braccia.

“L’uomo ha bisogno di nuove terre. Sono là, sono nostre… dobbiamo solo reclamarle!”
I soldati si portarono l’acqua ai volti, lavando via la polvere.
Un pasto a base di carne secca e l’accampamento fu tolto.
Quindici miglia al giorno, mangiando colli e pianure. Il sole rendeva insopportabile il metallo al contatto con la pelle. I soldati spostavano il peso dell’armatura da una spalla all’altra, cercando un po’ di sollievo.
L’acciaio era più pesante del cuoio, essenziale contro gli attacchi a sorpresa.
La sera le corazze venivano riposte nelle tende appena montate e si contavano gli uomini. Non tutti sopravvivevano alla marcia. Molti cadevano nella polvere, senza più rialzarsi. Era una marcia forzata, ogni giorno ne cadevano di meno.
Gli uomini venivano così temprati. Vedevano amici e fratelli cadere e resistevano. Acquisivano la consapevolezza di essere più forti degli altri.
Dopo due settimane di marcia, dei novemila soldati iniziali, ne erano rimasti ottomila seicento.
La conta portava sempre nuovi dolori nell’accampamento.

***

Le notti erano popolate di sogni.
Nel sogno i tre saggi indicavano le Terre Nere.
La prima spedizione: nessun superstite.
Erano terre sconosciute, un rischio calcolato.
Una seconda spedizione, un superstite.
Un singolo cavallo, senza cavaliere. Macchie purpuree sopra il manto nero.

***

Un singolo latrato di corno: la sveglia.
L’allenamento, il pasto, la marcia, la conta, il sogno.
Nel sogno compariva il Re Cremisi. Il generale di tutte le armate. A tre anni dall’annuncio del Saggio Wolom, era scoppiata la guerra.
Nella prima, sanguinosa battaglia l’umanità conobbe il nemico.

L’allenamento, il pasto, la marcia, la conta.
Il sogno non giunse quella notte. Era da poco scesa l’oscurità quando il silenzio fu squarciato dal corno, un suono lungo, cavernoso: il nemico.

La tensione opprimeva l’accampamento, quella mattina.
Era il respiro prima del balzo, la battaglia incalzava. I soldati si guardavano gli uni con gli altri, chiedendosi quale fra loro avrebbe visto la sera.
Nella tenda del Re Cremisi i generali si davano pacche sulle spalle, parlando delle canzoni che avrebbero cantato i menestrelli su quella battaglia. I loro nomi sarebbero stati scolpiti nella storia, leggende sarebbero nate sul Re Cremisi ed i Novemila.
I soldati pregavano i loro dei. Gherol non pregava, non credeva. Sapeva che, comunque sarebbe andata quel giorno, nessuno avrebbe scritto odi su di lui. Nessun poema parlava dei fanti generici. Nessuna canzone ritraeva le gesta della prima fila, di chi cadeva quando ancora si sentiva l’eco del corno.
Le spade erano leggere. Leggermente arcuate verso l’alto, superavano in lunghezza il braccio dei soldati.
Le corazze erano lucide d’olio. Il primo sole mattutino veniva riflesso e feriva gli occhi.
Aldilà del colle muggiva l’esercito nemico.
Gherol si rese improvvisamente conto della propria fisicità. Il cuore batteva disperato contro le costole mentre i secondi venivano scanditi dai passi di marcia. Il sudore sulla pelle accarezzata dal vento. Il cuoio della spada stretta nel pugno.
Dopo il suono, l’odore.
Il tanfo delle schiere nemiche lo raggiunse prima ancora di vederle. L’odore dolciastro di morte, di putrefazione. I soldati in prima fila strinsero le cinghie di pelle degli scudi. Una selva di frecce era sempre possibile.
Due colli, uno dopo l’altro, formavano una conca tra di loro. La Pozza della Vita era stato un luogo magico, una fonte inesauribile di energia naturale.
Prosciugata dal tempo e dai combattimenti, oggi si mostrava come una landa priva di vita. L’acqua di un ruscello disegnava un cerchio attorno alla conca.
I due eserciti si trovarono finalmente di fronte.
I veterani erano schierati in prima fila. Avevano già visto. Avevano già combattuto contro il nemico. Mantenevano salde le file.
Gherol li vide.

 
Top
0 replies since 29/8/2013, 20:05   17 views
  Share