Una conversazione con..., Chiara Piunno

« Older   Newer »
  Share  
Terry78
icon12  view post Posted on 29/5/2013, 11:06




1) Ciao Chiara e benvenuta nel mio piccolo spazio virtuale. Ho già avuto modo di poter apprezzare la tua meravigliosa penna grazie al racconto “Griffon” che tra l’altro ha partecipato al contest letterario organizzato da “Due di cuori”. Una penna davvero molto prolifera! E oggi finalmente ho l’occasione di scambiare due chiacchiere con te. Dunque, tu non sei solo una scrittrice. Ho scoperto, leggendo la tua biografia, che non solo ami disegnare, ma hai anche studiato nella Scuola per Fumetto di Roma. Secondo te, lo studio, l’esperienza che hai fatto in questa scuola quanto influenza la tua attività di scrittrice? Quanto quindi l’agevola e quanto invece paradossalmente la separa? E che differenza tecnicamente parlando c’è tra scrivere una sceneggiatura per fumetto e un romanzo?
Ciao Teresa! Innanzi tutto, la premessa: grazie per avere dedicato il tuo tempo al mio lavoro. È stata una piacevolissima sorpresa. E le domande sono davvero interessanti. Pronta per la prima!
Fin da piccola, creare storie era il gioco che preferivo. Dopo aver conosciuto la lettura, però, mi sono appassionata alla cosa.
Viaggiare in altri mondi… un sogno! Volevo scrivere, ma non ero illusa: non sapevo neppure dove mettere le mani per farlo.
Non basta saper mettere in fila soggetto, verbo e complemento per essere “scrittrice”.
Così, a un certo punto della mia adolescenza – dopo aver conosciuto manga come The Magic Knight Rayearth - ho pensato di raccontare storie con le immagini, ritenendolo – a torto – un mezzo più semplice.
Nulla di più sbagliato.
La Scuola di Fumetto mi ha aperto gli occhi, togliendomi dalle illusioni di ragazzina. Fare fumetti – in modo professionale – implica non solo la padronanza della tecnica nel disegno, ma anche la perfetta conoscenza delle “regole narrative” del fare fumetto, che varia di zona in zona, se non di editore in editore. All’epoca, per me, fu uno shock. A distanza di anni, invece, ho trovato in quel rigore la base per scrivere. Si impara a disegnare leggendo gli autori di fumetti che sentiamo nelle nostre corde, acquisendone le tecniche, il tipo di inquadrature ricorrenti, il ritmo narrativo… Lo stesso accade nell’arte della scrittura.
In entrambi i casi, si DEVE LEGGERE, e MOLTO.
Creare su carta senza leggere è come cucinare senza sapere la ricetta: qualcosa uscirà fuori, ma non sarà quello che volevamo, e soprattutto non saremo capaci di rifarlo a dovere perché non sapremo COME lo abbiamo fatto.
Posso dire, dunque, che la Scuola Internazionale di Comics mi ha dato il metodo del professionista; l’esperienza su campo, invece, la tecnica personale (che è in continuo divenire).
Per questo i miei libri hanno avuto una genesi ibrida: alcune parti sono nate come appunti, altre le ho viste in testa e poi illustrate prima ancora di sapere in che punto della regia inserirle. La conseguenza immediata è stata che ho scritto dei romanzi che evocano immagini.
In sintesi: per me scrivere e disegnare sono due aspetti complementari dello stesso lavoro.
La differenza fra le due? Disegnare, richiede molta più concentrazione, a causa della pignoleria che non mi abbandona mai, ehheheheheh. Dal punto di vista tecnico, una sceneggiatura di fumetto è un canovaccio più o meno accurato della tavola finale; un romanzo è una tessitura, e i molti fili che lo compongono non è detto che si chiudano con il punto e la parola “fine”.
2) Ti sei avvicinata alla letteratura all’età di dodici anni. Grazie alla lettura dell’autore inglese Richard Adams. Ecco... vorresti brevemente parlarcene... quali opere hai letto di questo autore e perché ha catturato da subito la tua attenzione, quindi cosa ti piace del suo stile?
Ricordo bene quel giugno lontano… Presi il vecchio libro usurato di mia madre, “La collina dei conigli” di Richard Adams, e iniziai a leggere. Fu una folgorazione. Leggevo romanzi già dagli otto anni, ma mai avevo sentito una storia che colpisse così forte. Una epopea dove gli eroi erano… conigli. Una vera saga epica, ambientata ai giorni nostri: nelle campagne inglesi, fra orti e fossati. Ero incantata. Per la prima volta avevo trovato un libro che non era una semplice descrizione degli eventi: la tecnica narrativa permetteva al lettore di vivere le vicende come se fosse lì, presente nella scena. Una piccola rivoluzione nel mio mondo di ragazzina. Lo stile era semplice, diretto. Niente giri di parole. Niente aggettivi forbiti né esercizi di stile. Una delizia. E, soprattutto, per la prima volta mi innamorai dei personaggi, tanto da sentirmi infelice nel momento in cui chiusi il libro, concluso. Penso sia stato grazie alle avventure di Moscardo-rà, e degli altri conigli di Watership Down, che è penetrato in me il profondo amore per l’avventura e l’epos che nasce non da scudi e cimieri, né dai grandi nomi di eroi, ma dall’insignificante quotidiano. Lì, dietro la siepe che cinge la casa, inizia l’avventura.
Dopo Adams, ho letto molto, moltissimo, cercando in altre pagine lo stesso entusiasmo… ero come una innamorata respinta che cercava in altri il suo primo amore. Dopo circa quattro anni, incappai in Tolkien (anche lui in giugno), e lì la mia strada mutò.
3) Ma ci sono anche altri grandi maestri che hai letto. Primo fra tutti Tolkien, G. Martin e Stephen King solo per citarne alcuni. Credi che in qualche modo la lettura di questi autori abbia ispirato il tuo stile in generale, e la realizzazione del tuo progetto “Le porte di Eterna” in particolare?
Oh, sì! Assolutamente. Tolkien ha fatto da “bibbia” alla mia conversione al genere, direi. Senza, gli approcci precedenti al fantasy furono alquanto deludenti, caotici. Lui è stata la pietra miliare, un po’ come la scuola guida è la base dell’imparare a guidare l’auto. Con Il Signore degli Anelli, Lo Hobbit, Il Silmarillihon, I Racconti Perduti e Ritrovati, ho acquisito le regole… Ho imparato come si crea un mondo. Con l’età, invece, ho capito che le regole sono divertenti solo se le infrangi un po’. Ho letto King e Martin lo stesso anno… avevo 24/25 anni; le basi del mio mondo erano già solide, ma non avevo che appunti perché sentivo di non saper scrivere, e a me le cose piacciono solo se si fanno sul serio. Così, lessi i primi sei o sette libri de Il trono di spade e i sette de La torre nera. Tutto d’un fiato. E mi divertii tantissimo a studiare la loro scrittura. King è un genio pazzo, che rompe e crea, invertendo ciò che è scontato e tirandone fuori l’imprevedibile; Martin, mi ha aiutata nella regia e nel ritmo. Quando l’ho letto, mi son detta: “è così che voglio gestire il flusso del racconto”. Gli stacchi classici mi annoiavano e mi annoiano a morte. Il filo conduttore che lega personaggi ed eventi all’apparenza distanti, invece, mi ricordava molto il fumetto, o la regia di un film, quindi l’ho studiato a fondo, leggendo il leggibile. Risultato? Nella saga Le Porte di Eterna seguiamo le fila di tre esistenze molto diverse, ma che alla fine convergono e si legano. Tutto ciò che accade, sembra sempre un caso, ma le conseguenze di ciascun evento conducono alla creazione degli eventi futuri. Un po’ come nella vita reale, insomma.
4) Parallelamente alla tua attività di fumettista, hai lavorato ad un progetto che porti avanti da diversi anni e cioè “Le porte di Eterna”. Se non erro una trilogia fantasy. Nel presentarli hai dichiarato l’originalità della tua opera che consiste nella scelta di narrare la vita di tre personaggi. Vite distinte tra loro (infatti, ogni libro è autoconclusivo), ma che in qualche modo si legano e si saldano tra loro. Come sei riuscita ad inventare tutto ciò e soprattutto tecnicamente come sei riuscita a realizzare questo tuo intento?
Ci sono scrittori che pianificano; io chiamerei il mio modo di scrivere una “coltivazione di pensieri”. Molte idee che ritengo valide, spesso necessitano di anni di elaborazione prima di trovare collocazione. Non è un vezzo, né perfezionismo: solo che mi piace aspettare che vadano a incastonarsi nel punto del racconto che rende tutto più avvincente. Ecco, i miei romanzi – questa trilogia – è stata conclusa nel momento esatto in cui le idee sparse hanno trovato posto. Quello giusto. Una tessitura ad arazzo, insomma. Ovviamente, quando scrivo, conosco già i punti importanti, gli eventi salienti che daranno svolte… il bello, è che non so mai esattamente “come” fino a quando i personaggi e gli eventi secondari non mi mostrano il risultato. Dividere la saga in trilogia mi è sembrata la scelta migliore al momento dell’editing. Avevo tre protagonisti, con tre vite difficili alle spalle, di cui una aliena. Ognuno si era guadagnato un valore unico nello svolgersi delle vicende, che alla fine li uniscono. Io credo che le persone non cambino, ma allo stesso tempo, se non si cambia, si muore dentro, per questo ho dovuto dare ai tre protagonisti il tempo e l’occasione di mostrare la propria evoluzione fisica e morale. In ciascun libro, ognuno di loro ha dovuto lottare prima di tutto contro i propri limiti… gli eventi che li coinvolgono sono solo l’occasione che viene concessa perché questo accada.

5) Sempre nella presentazione dichiari che il tuo libro nasce dall’amore per la lettura, per la storia antica, per i grandi autori, per la scoperta e l’avventura, ma anche per il dolore. Parlaci allora brevemente di questo aspetto, il dolore, che hai inserito nella tua opera. Mi sembra di capire che è dolore dal quale si può imparare ad essere migliori...
Come accade a molti autori, la scintilla che mi ha convinto a mettermi al lavoro è stata una situazione dolorosa della mia vita. Il classico periodo in cui ti crolla un po’ il mondo addosso, senza troppi drammi. Senza neanche una tragedia così evidente, in realtà. Un colpo invisibile e silenzioso. Da lì, è nata una profonda riflessione. Mentre scrivevo, mi sono accorta che ognuno dei tre protagonisti si è fatto carico di una parte di me che non potevo gestire senza scoppiare; così, l’ho affidata a loro. Dolore, rabbia, paura… è facile essere buoni e bravi finché tutto va bene, finché siamo cullati da persone amorevoli, finché siamo protetti. Ma quando le nostre certezze crollano e il mondo reale ci distrugge, allora che si fa?
Si dichiara guerra al mondo? Si smette di amare? Si attacca tutto ciò che ci circonda? Oppure, consapevoli di questo immenso dolore, si decide di smettere di scappare e di essere disposti a provare altra sofferenza per andare avanti, malgrado tutto e tutti? È facile, facilissimo, diventare mostri: affilare la mente e chiudere il cuore per escogitare modi di sopravvivere che facciano male agli altri come gli altri ne fanno a noi. Il difficile, è smettere prima che sia troppo tardi. Il difficile è capire che c’è del valore anche dove sembra esserci solo disperazione. E solitudine.
6) Parli anche di “Caso” nella tua presentazione. Al di là dei tuoi libri, credi che esista davvero un Destino dal quale possiamo in qualche modo sfuggirgli?
A costo di essere tacciata di eresia, spesso penso che Dio sia un essere solitario che ha dato un canovaccio ai suoi personaggi ed essi si muovono su di esso, un po’ a Caso, un po’ secondo una trama già stabilita. Il destino, secondo me , è biologico: il Fato che impone il suo Volere mi sembra solo un modo presuntuoso con cui l’Uomo scusa le azioni eclatanti che compie, o con cui si gratifica. Per sfuggire al Destino, dovremmo sfuggire a noi stessi… ma nel momento stesso in cui lo facciamo, ne avremmo un altro da affrontare.
7) Parliamo ora dei libri della trilogia. I libri si intitolano sempre allo stesso modo e cioè “Le Porte di Eterna – il principe del drago”, cambia solo che c’è scritto VOL I e VOL II. Come mai questa scelta?
Come direbbe un editore, è stata una “scelta di mercato”. Mentre scrivevo, pensavo solo a rendere felice la “me” lettrice accanita: volevo creare un libro che avrei comprato senza indugio. Purtroppo per gli altri, io traggo grande soddisfazione soprattutto da libri corposi… Pertanto, la prima edizione era di molte pagine. Immagina i costi di stampa. Dietro suggerimento di un amico del gruppo Fantasy Selfpublishers ho deciso di dividerlo in due episodi, per contenere le spese di stampa e anche per non atterrire i lettori meno avvezzi ai tomi “all’americana”. Detto fatto! Per fortuna, il romanzo si prestava molto bene a questa suddivisione, così ne ho approfittato.
8) Perché hai voluto ambientare la tua storia ai giorni nostri? E come mai prediligi il genere fantasy?
Penso di poter dare una risposta univoca alle due domande.
Perché sono fuori posto.
Il mondo reale è troppo inquietante, e davvero molto sleale con chi è sincero.
Negli anni, questa mia insofferenza si è attenuata, ma di fondo rimane la sensazione che ciò che i miei simili apprezzano, io non lo sopporto, e che ciò a cui gli altri danno valore, per me è noia. Quindi, spesso nelle giornate buie spero davvero di incappare in qualcosa di avventuroso appena dopo la siepe che delimita il giardino, ehhehehe. Un bianconiglio che mi porti via.
9) La storia è davvero molto ben articolata. Anche perché si tratta di romanzi dalle trecento pagine in su. Parlaci un po’ tu, allora, dei tre protagonisti di questa storia. Che cosa li lega? Che cosa invece li differenzia?
Due ragazze e una ragazzo, ciascuno con la sua vita particolare e il suo problema da risolvere. A dividerli non è solo il carattere. Luscinia Linaioli è una liceale italiana che ha seguito “il bianconiglio” nel posto sbagliato… o giusto, a seconda dei punti di vista. Lei non ha quasi amici, è una emarginata tra i coetanei perché non si omologa ai gusti e agli interessi del gruppo. Niente vestiti alla moda, niente make up, studia sodo, ascolta musica classica e ama il disegno. Ha sempre la testa tra le nuvole, ed è molto curiosa per cose che ad altri parrebbero insignificanti. Ha, malgrado l’apparente sottomissione, un carattere forte: flessibile e infrangibile come l’acciaio di una lama. La paura la segue da sempre, e sarà questa la sua lotta nella trilogia: superarla.
Mèlas è il portatore del dolore. Lui ha un passato drammatico. La famiglia, sterminata in un agguato, è l’ombra che lo segue. La perdita lo ha privato dei sentimenti umani, e questo – unito al fatto che sia un ibrido mezzosangue – fa di lui un mostro. Gli ho dedicato questi due libri perché sarà il primo a dover fare i conti con il proprio passato per poter proseguire il viaggio verso la vera battaglia che attende i personaggi… e di cui non sanno nulla. Mèlas è un diverso tra i diversi: perseguitato per una colpa che non ha commesso, privato della vita che gli spettava, umiliato per il suo sangue metà elfico che lo segna come un outsider in un mondo ormai popolato solo da Uomini, ha un solo scopo a dividerlo dalla Morte che lo corteggia. La vendetta.
Saphina è la mia fiamma luminosa. Lei incarna la rabbia. Anche il suo passato non è semplice, e a complicare il tutto aleggia il sentore di una “voce” che fa ombra al carattere solare che – all’apparenza – la anima. Di solito, è la più amata tra i personaggi femminili… per me, invece, è la più pericolosa. Sarà la prima a legarsi a Mèlas, nel bene e nel male.

10) Per scrivere questa trilogia ti sei basata su una scaletta degli eventi, di schede personaggi, oppure hai scritto secondo l’ispirazione del momento? In generale, come scrivi una tua storia: prepari tutto a tavolino, oppure tutto è lasciato al caso?
Ahahahahahha, no, scalette no! Se si vuol far vivere i personaggi su carta in modo spontaneo, le scalette si fanno solo per elencare gli editori a cui si vuole sottoporre il lavoro. Diciamo che gli appunti li uso per ricordare una frase, o un nome che mi ha colpito… il resto, si riordina tutto nella mia testa, o in quella dei personaggi. Almeno finché la memoria ci assiste!
Schede dei personaggi mi sembra troppo da GdR, e mi riservo di non aggiungere commenti. Certo, se ci sono trecento figuranti secondari… in quel caso – forse – le abbozzerei. Ho una memoria pessima per i nomi. Tuttavia, non posso nemmeno dire di lasciare tutto al caso. Al massimo al Caos: e a quel punto, se entra in gioco lui, la cosa si fa interessante perché nemmeno io so cosa accade nella vicenda finché non è accaduto. Di solito, le parti migliori dei romanzi sono quelle “non previste”. Sai che noia se sapessi già tutto!
11) So che realizzi tu stessa, disegnandoli, i tuoi personaggi. Però... sogniamo un po’... Se diventasse un telefilm o un film la tua storia (proprio come Il trono di Spade di Martin), quali attori sceglieresti per rappresentare i tuoi personaggi principali? Perché? E quale regista?
Mmm… questa è la domanda più difficile! In tutta onestà, non ho ancora mai visto un attore adatto al ruolo di Mèlas. Né di fisico, né di bravura nella recitazione per interpretarlo. Dovrebbe essere molto alto, longilineo, asciutto e flessuoso come un esperto di arti marziali orientali, con il volto bello ma inespressivo di una statua antica, gli occhi tagliati a mandorla. Un elfo come neppure Peter Jackson nella sua trilogia ha potuto fare. Forse, se smettessi di non ricordare bene i nomi dei personaggi famosi, riuscirei a inquadrare qualcuno che mi colpisca.
Saphina… ci vedrei molto la Daryl Hanna degli anni’80. Tinta di rosso, però.
Luscinia non credo di averla mai incontrata sullo schermo, perché ha un corpo davvero troppo poco “da attrice”: bassa, sottile, priva di curve, grandi occhi. Credo che se un giorno per assurda casualità fantascientifica dovessero trarre un film/telefilm dal romanzo, pretenderei delle audizioni a 360°, aperte anche agli sconosciuti, pur di trovare una personalità che renda giustizia all’idea che ho di tutti i protagonisti. Se finissero per rendere uno dei miei personaggi male come hanno reso molti dei personaggi letterari nei film, preferirei nulla.
Come regista… Ron Howard =^__^=
12) Progetti per il futuro. Qualche anticipazione...
Malgrado gli impegni del mondo adulto mi mettano i bastoni fra le ruote, ho intenzione di continuare la revisione e la stesura degli altri romanzi della saga, e di quella successiva, già iniziata; inoltre, spero di trovare il tempo di finire il terzo albo a fumetti della serie A.D.1313, prima che i lettori decidano di farmi la pelle ^^’ La mia più viva speranza, infine, è di riuscire a trovare spazio nel lavoro reale per poter frequentare alcuni eventi a tema fantasy, come quelli di Belgioioso, Pandino e Mantova, in modo da proporre il libro anche a dei lettori “non virtuali”. Potersi confrontare con i lettori dal vivo è davvero una figata spaventosa! Ho riso fino alle lacrime con i vari fan-art che alcuni giovani mi hanno regalato a proposito dei personaggi della saga. Abbiamo riso insieme, facendo parodie assurde.

13) Vuoi aggiungere qualcos’altro prima di concludere...
Sì, vorrei di nuovo ringraziarti e congratularmi con te per l’ottimo lavoro che stai facendo come blogger.
Un ringraziamento, inoltre, a chiunque leggerà questa intervista e a tutti coloro che conoscono già Eterna perché ne hanno attraversato le Porte.
Non ho la pretesa di diventare famosa con questo sogno, ma solo di farlo vedere a più persone possibili prima della fine della mia storia personale. Ritengo, infatti, che ciò che ho descritto nei libri, sia meritevole di essere tramandato ad altri “viaggiatori dei mondi” indipendentemente da me.
Grazie a chiunque avrà il coraggio di aprire quelle Porte.
E alla prossima! ;)

Potete leggere l'intervista anche qui: http://terrysfantasy.blogspot.it/2013/05/u...ara-piunno.html

515T2BjAntL
 
Top
0 replies since 29/5/2013, 11:06   16 views
  Share