LA PICCOLA PATTINATRICE capitolo 3

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pulcino982
view post Posted on 3/5/2012, 10:42




TERZO CAPITOLO

Anna era risuscita, grazie ad Andrea, a passare alcune ore piacevoli nonostante tutto. Si fidava ciecamente di lui e riusciva ad infonderle sicurezza e serenità: era come un balsamo che poteva a lenire ogni ferita, anche le più brucianti. Ogni volta che lo guardava negli occhi riusciva a trovare il coraggio di affrontare ogni paura e di trovare l’energia per affrontare le gare e le interrogazioni. Mai come in quel momento aveva avuto più bisogno di lui.
La notte trascorse in fretta. Troppo in fretta. Ed era la penultima che i due ragazzi avrebbero passato nella stessa città. Il giorno dopo, infatti, Anna sarebbe partita per l’Inghilterra.
Erano le nove del mattino, quando la piccola sveglia quadrata sul comodino trillò. I due si erano addormentati verso le due del mattino. A malincuore Anna dovette salutare l’amico e tornare alla triste e cruda realtà: tornare a casa e affrontare la madre. I due si abbracciarono e si dettero appuntamento nel pomeriggio per andare all’aeroporto.
Quando rientrò a casa, Anna trovò con sorpresa la nonna Amelia, seduta al tavolo della cucina. Era appena arrivata da Milano. Si sentiva l’acqua della doccia che scorreva: la madre era in bagno.
La donna sarebbe rimasta da quel momento con la figlia Margherita. Era una signora di mezza età e nonostante il castano dei capelli si fosse un po’ ingrigito e la pelle non fosse più giovane e fresca, era ancora dotata di un certo fascino.
Anna non vedeva la nonna da tre mesi e sapeva che nell’ultimo periodo i rapporti tra lei e Margherita non erano stati idilliaci: la figlia stava sempre sulle sue e voleva essere indipendente, mentre Amelia non era mai stata d’accordo che lei si trasferisse a Roma con la bambina. Non si sentivano da prima dell’estate, quando le avevano fatto visita. In quell’occasione le due avevano litigato perché ad Amelia non piaceva il fatto che la nipote partisse per l’Inghilterra da sola e stesse via tutto quel tempo. Margherita le aveva risposto che non avrebbe mai impedito alla figlia di realizzare il suo sogno, perché era convinta che quella sarebbe stata un’esperienza che l’avrebbe aiutata a crescere. Inoltre, si sentiva tranquilla perché durante il viaggio la ragazza sarebbe stata accompagnata e al college c’erano gli insegnanti e altri studenti. Non era da sola.
Amelia poi l’aveva rimproverata per aver preso quella decisione senza consultarla.
“Mamma, Anna è figlia mia, non tua!” Aveva puntualizzato.
“Sei un’ingrata” Aveva ribattuto lei. “Ti ho aiutato io a crescerla!”
“Sì, ma appena ho potuto, abbiamo preso una casa per noi!”
Amelia, nonostante fosse contraria al loro trasferimento a Roma, nel 1988, aveva lasciato che Margherita facesse come credeva. Ma l’idea della sua nipotina in Inghilterra la faceva rabbrividire.
“Mai e poi mai!” Pensava. Fu allora che Margherita aveva interrotto la visita prima del previsto e non si erano più sentite. Data la situazione, però, Margherita non poteva starsene da sola e così aveva chiamato la madre e le aveva raccontato tutto.
“Mamma, sono molto malata. Abbiamo bisogno di te”. Le aveva detto: erano state le parole più difficili da dire, dopo il silenzio di quei mesi.
Amelia, addolorata, a quel punto aveva messo da parte ogni dissapore e si era precipitata dalla figlia per starle accanto.
Anna, felice di rivedere la nonna, corse fra le sue braccia e le due si lasciarono andare ad un lungo pianto.
Margherita uscì dalla doccia quando nonna e nipote stavano facendo uno spuntino con the e biscotti. Anna la guardò per qualche istante. Margherita era ancora in accappatoio e aveva i capelli bagnati. La ragazza abbassò lo sguardo.
“Anna, va’ da lei.” La esortò Amelia. Poi, per lasciarle da sole, andò a sistemare le valige nella stanza degli ospiti.
La ragazza si alzò dalla sedia e si avvicinò alla madre. Le parole in certi momenti non servono ed è meglio restare in silenzio. L’unica cosa che Margherita fece fu aprire le braccia e la figlia le si gettò, stringendola così forte da stritolarla. La madre le baciò i capelli e le chiese scusa.
“Non volevo mentirti, ma solo proteggerti.”
“Scusa tu, mamma.” Abbozzò un sorriso e le chiese come stava.
“Eh…insomma…non male finché gli antidolorifici fanno effetto.” Le accarezzò una guancia e aggiunse: “Vieni a stenderti un po’ con me?”
Era una cosa che facevano quando la figlia era ancora una bambina: se ne stavano stese sul letto, Margherita la stringeva per la vita e si tenevano per mano.
“Hai paura, mamma?”
La donna le baciò i capelli. “Sì, molta…”
La ragazza sospirò e si girò a guardarla.
“Ma in realtà non è la morte o il dolore a farmi paura..io ho paura per te…tesoro lo so quanto sei spaventata e lo sono anch’io.”
La ragazza scoppiò di nuovo a piangere. “Scusa mamma” Mormorò singhiozzando. “Io tento di reagire, ma non ce faccio…”
“Tesoro, è del tutto normale…ti ci vuole tempo…” poi, asciugandole le lacrime cercò di cambiare discorso.
“Dimmi, per te domani inizia l’avventura più emozionante della tua vita…”
“Sì, ma non so se…”
Ehi!” Ribatté pronta la madre, prendendole il viso fra le mani. “La Trinity School è il luogo che ti spetta, capito?”
“Sì, mamma.”
“Piuttosto…Andrea sta bene?”
“Sì, anche lui è triste.”
“Ci vedremo presto tesoro e staremo tutti insieme.” La rassicurò Anna. E rimasero, così, madre e figlia, a coccolarsi, mentre il sole del mattino, entrando furtivamente nella stanza, illuminava i loro visi.
Il giorno seguente, Andrea si presentò a casa di Anna per accompagnarla all’aeroporto come promesso. In macchina ci fu il silenzio totale.
Dopo la lunga attesa del check-in, si udì il primo annuncio del volo. La nonna e la madre riempirono la ragazzina di baci e di raccomandazioni.
“Telefona quando arrivi”
“Stai attenta”
La cosa certa era che avrebbe telefonato ogni giorno e se la madre avesse avuto il primo sintomo di peggioramento, si sarebbe precipitata a casa. D’altra parte gli insegnanti erano già stati avvisati che la ragazzina doveva avere il permesso di rientrare in caso di emergenza.
Le due donne poi, si misero in disparte per lasciare che i due ragazzi si salutassero.
Anna aveva gli occhi lucidi. Tirò su col naso e si sforzò di sorridere.
“Beh, eccoci qui…”
“Eh già…” Replicò lui.
Con voce spezzata, Anna aggiunse: “E’ arrivato il momento di salutarci.” Estrasse qualcosa dalla tasca dei pantaloni a pinocchietto e dopo aver preso la mano dell’amico, gliela porse.
“Mi sono sempre dimenticata di restituirti il portachiavi…è tuo..” Tenne la sua mano nella propria.
“Anche se ci separa il mare, io e te saremo sempre grandi amici.”
“Puoi contarci.” Prese un pacchetto dallo zainetto e glielo diede. Era piccolo e rettangolare, avvolto da una carta rossa.
“Questo è per te, ma aprilo in aereo, per favore.”
“Grazie…io però non ho niente per te…”
“Non importa.” Rispose lui, dolcemente. “Non l’ho fatto per avere qualcosa in cambio.”
La ragazza lo abbracciò forte, mentre non riusciva più a trattenere le lacrime.
“Sai…proprio in questi giorni ho pensato prima d’ora non pensavo esistessero gli angeli…come potevo…” Disse, dopo aver sciolto l’abbraccio, asciugandosi il viso col dorso della mano.
“Come potevo…sono senza un padre e solo due giorni fa ho ricevuto la bruttissima notizia di mia madre…ma poi ho capito che gli angeli devono esistere, altrimenti non mi spiegherei l’aver conosciuto te, così buono e straordinario.”
Andrea non fiatò. Si limitò ad ascoltarla, pensando a quanto le sarebbero mancati i suoi occhi di bambina.
“Ogni volta che ne ho avuto bisogno tu ci sei sempre stato” Continuò lei. “Hai ascoltato i miei sfoghi e mi hai risollevata…per questo SEI IL MIO ANGELO”
Corrugò la fronte in un’espressione affranta. “Peccato che proprio adesso che sto per affrontare un passo importante, saremo lontani..”
“Anna, questo capitolo si chiude e se ne aprirà un altro, ma non ci perderemo, tranquilla….se lo vorremo entrambi, la nostra amicizia continuerà.”
Anna annuì. “Qual è il momento più bello della tua vita, Andrea?”
Arrossì. “E’ stato ieri, quando ti ho stretta a me, inebriandomi del tuo dolce profumo. E per te?”
“Beh, ce ne sono stati più di uno in realtà sai…ma ricordo un bambino di sei anni che mi ha raccolto la giacca al palazzetto del ghiaccio e quel bambino è diventato il mio migliore amico.”
Andrea le si avvicinò, le accarezzò una guancia e le sfiorò le labbra con un bacio.
“Beh, è l’ultimo annuncio..devo proprio scappare.” Realizzò la ragazza. Riabbracciò la madre e la nonna e aggiunse: “Vi chiamerò con il nuovo cellulare non appena mi sono sistemata. Ciao!”
E corse verso il volo che l’avrebbe condotta verso la sua nuova vita.
Mentre si allacciava la cintura di sicurezza e l’altoparlante annunciava la partenza, prima in italiano e poi in inglese, Anna ripensò al fatto che lui l’aveva baciata. Era stato un bacio lieve e innocente, ma era stato il primo per lei ed era stato il suo migliore amico a darglielo. In quell’attimo non ci aveva fatto caso, ma ora che si trovava da sola non poté fare a meno di rimuginarci. La cosa la rendeva felice e davanti a sé non vedeva che il bel volto di Andrea. I momenti passati insieme le scorsero davanti in un turbine di dolcezza, mentre l’aereo cominciava il decollo.
Non appena ebbe preso quota, la ragazza estrasse dallo zainetto il pacchetto. Lo scartò strappando la carta e vi trovò una scatola con un biglietto. Diceva Alla mia bellissima pattinatrice, in ricordo dei momenti bellissimi passati insieme. Con amore Andrea.
Aprì la scatola e trovò una cornice in radica con una foto di lei vestita con l’abito della gara, il giorno in cui aveva vinto la borsa di studio. Nella foto sorrideva, abbracciata ad Andrea. Ricordava quello scatto: il momento più felice della sua vita. La strinse al cuore, mentre una lacrima le scendeva lungo la guancia.
Chissà che cosa ha significato per lui quel bacio. Pensò. In realtà non aveva capito che Andrea da tempo provava quello che lei solo ora cominciava a provare e che non aveva il coraggio di dirle per paura di distoglierla dalla sua passione per lo sport.
Con la foto al petto, chiuse gli occhi e si assopì. Li riaprì solo dopo un paio d’ore, quando l’aereo atterrò all’aeroporto di Heathrow.
Margherita, mentre tornava a casa dall’aeroporto, ripensò agli ultimi eventi. Avrebbe portato con quell’immagine della bellissima creatura a cui aveva dato vita, mentre si dirigeva verso un nuovo capitolo della sua vita. Era davvero molto fiera di lei, come sempre del resto: si stava per aprire davanti a lei un futuro radioso ed era sicura che quell’esperienza avrebbe reso Anna più forte e indipendente, cosicché quando se ne sarebbe andata, la sua bambina sarebbe stata coraggiosa. In realtà si rendeva conto che non si era mai pronti ad un evento così duro e disarmante quale era la perdita di un genitore, ma Anna avrebbe certamente trovato il modo giusto per affrontare quell’evento, reagendo con maturità.
All’inizio, mentre era da sola, Margherita aveva avuto degli attacchi di rabbia e di isteria, tanto che aveva buttato via il piatto sul quale stava mangiando, mentre sentiva la testa esploderle.
PERCHE’ PROPRIO IO? Aveva gridato, sperando che qualcuno la sentisse. Qualcuno più grande di lei. Mia figlia ha bisogno di me! Poi, con il passare dei giorni si era calmata e rassegnata, cercando di restare il più possibile serena per Anna.
Non era mai stata un cattolica praticante nel vero senso della parola, ma da quando aveva saputo della malattia si era aggrappata maggiormente alla fede, per ricevere un po’ di conforto e una piccola speranza. La speranza in un miracolo che non sarebbe mai avvenuto, ma in cui era bello provare a credere.
Londra si presentò grigia e umida, a differenza della soleggiata Roma.Un pullman giallo con la scritta in stampatello TRINITY SCHOOL aspettava le studentesse per portarle a destinazione. La scuola si trovava a Cambridge, capoluogo della contea di Cambridgeshire. Il luogo era piuttosto suggestivo: prati verdi erano costeggiati dal fiume Cam, dove in quel momento si stava svolgendo una gara di canottaggio e sullo spiazzo erboso Anna vide apparire il famoso King’s College, in stile neo-gotico, avvolto in una leggera foschia. I portici ad arco rendevano sublime ed elegante l’aspetto dell’edificio.
A pochi chilometri dal King’s College, sorgeva la Trinity School: un edificio a due livelli, recente e strutturato a ferro di cavallo.
L’accompagnatrice, Rose, una donna sulla quarantina, spiegò la storia della scuola e poi assegnò alle studentesse il numero di stanza.
Anna salì le scale ricoperte da moquette rossa e dopo due rampe arrivò al corridoio del primo piano.
Cercò la stanza n.30 e la trovò alla sua sinistra. Bussò educatamente, cosciente di avere una compagna con cui avrebbe dovuto condividerla.
La aprì una bella ragazza alta, dal caschetto ramato in tuta da ginnastica. La ragazza sgranò gli occhi verdi.
Hello!You must be one of the new students!Come on! Disse in un inglese veloce e poco scandito.
Le pose la mano e le disse di chiamarsi Bridget. Anna si presentò a sua volta, stringendogliela e scusandosi per il suo inglese incerto.
No problem!!My friend Rachel and I are studying Italian, so we can help each other! La rassicurò Bridget, promettendole che si sarebbero aiutate vicendevolmente con le due lingue.
La stanza era carina, arredata in stile antico: nel mezzo c’erano due letti singoli. A ovest un armadio a muro in legno di ciliegio copriva l’intera parete, mentre dal lato opposto c’era un comò dello stesso materiale e accanto adesso, una libreria e una scrivania con un computer portatile.
Anna si fece coraggio, sconfiggendo la timidezza e si preparò ad affrontare quella nuova realtà.
Bridget si rivelò subito essere una ragazza cordiale e simpatica. Le due parlarono allegramente delle rispettive scuole, soffermandosi sulle differenze tra l'istruzione in Italia e a Londra. Bridget parlava lentamente, per permettere alla sua nuova amica di comprendere e la informò che alla Trinity i professori tenevano molto alla disciplina e alla puntualità. Inoltre, le due scoprirono di avere in comune l'amore per lo sport: la compagna inglese, infatti, giocava a pallavolo.
Mentre chiacchieravano allegramente arrivarono anche due amiche di Bridget, Rachel ed Eliza, anche loro molto socievoli.
Erano tutte e quattro in corridoio quando passò una bella ragazza alta, dai capelli lunghi che le ricadevano sulle spalle, lisci in una cascata d'oro. Gli occhi castani, contornati dalla frangia, lasciavano trasparire un motto di presunzione e altezzosità.
"oh, guardate chi c'è..." Canzonò beffarda. "Testa di carota e le sue proseliti." Ridacchiò, andandosene. La parola "carrot-head" arrivò chiara alle orecchie di Anna.
"Ah, io non la sopporto!" Sbottò Rachel, irritata.
"Dai Rachel, fai il suo gioco se rispondi alle sue provocazioni." Cercò di calmarla Eliza.
"Ma chi è quella?" Chiese Anna.
"Oh, è Isabel, la ragazza più popolare della scuola." Rispose Bridget. "Riscuote molto successo fra i ragazzi e gode di un'ottima reputazione." Sbuffò e aggiunse:" A me sinceramente sta antipatica..solo perché i suoi genitori hanno stydiato qui si crede chissà chi."
"Già.." Seguitò Eliza "E poi spiacente per te, Anna, ma Isabel pratica pattinaggio artistico e quindi la troverai a lezione."
"Ho superato ben altre difficoltà e non sarà certo una presuntuosa come lei a fermarmi." Disse Anna.
Quando Anna mise la foto sua e di Andrea sul comò, subito Bridget le chiese maliziosa se il ragazzo raffigurato era il suo fidanzato.
“No, è il mio migliore amico.” Risposi, arrossendo. “Siamo praticamente cresciuti insieme.”
Bridget la punzecchiò con un dito. “Ah, secondo me non mi stai dicendo tutta la verità.” Anna le voltò le spalle, me sentì il sorriso sulla sua voce.
“Non saresti così imbarazzata, altrimenti” Incalzò. “Possibile che né tu né lui proviate qualcosa di più?”
“Dai Bridget” La contraddisse, voltandosi ma con lo sguardo basso. “Te l’ho detto: gli voglio molto bene ma è un amico.” Nonostante avesse proferito quelle parole, Anna si rese conto di non essere più così convinta.
“Sarà” Concluse Bridget “Però amicizie così strette solitamente sbocciano in amore quando si cresce…” Poi, beffarda aggiunse: “Comunque è un gran bel ragazzo…me lo farai conoscere?”
Anna per tutta risposta rise e le tirò un cuscino.
Il mattino seguente iniziò per Anna la dura vita della scuola londinese. Al trillo della sveglia, alle sette del mattino, Bridget emise un lamento con la bocca affondata sul cuscino. Anna sbadigliò e si sentì subito pronta per iniziare la giornata. A Bridget invece, ci voleva un po’ per carburare. Mentre metteva la camicetta bianca sulla gonna a scacchi blu e verdi (divisa londinese), Bridget si decise ad alzarsi. Aveva ancora gli occhi mezzi chiusi e i capelli sulla faccia.
Diversamente dalla nuova amica, Anna non era abituata a mangiare uova e bacon per colazione, così preferì le fette biscottate e il succo d’arancia. Dopo aver salutato Bridget, Anna uscì dalla mensa affollata e si immerse tra la calca del lungo corridoio che portava alle aule.
Mentre stava cercando di aprire l’armadietto, una voce la fece sussultare.
“Ciao bellezza, serve aiuto?” Anna si girò e si trovò davanti un bel ragazzo alto e biondo che le sorrise in maniera accattivante e aveva uno sguardo scuro molto profondo.
“Era il mio armadietto.” La informò, appoggiandovisi con una spalla. “Basta dare un colpo.” Infatti, diede un pugno leggero e lo sportello si aprì.
“Grazie.” Mormorò Anna, arrossendo. Se non fosse stato per il biondo dei capelli, avrebbe giurato di intravedere in lui una certa assomiglianza con Andrea.
“Non ti ho mai vista qui…sei nuova?”
“Sì, infatti sono italiana.” Non riusciva a reggere il suo sguardo magnetico.
“Ecco, mi pareva…” Mi porse la mano. “Io sono Nick Barlow.”
Gliela strinsi. “E io Anna.”
In quel momento passò Isabel, che la guardò con uno sguardo che avrebbe incendiato l’Oceano Atlantico. Era a dir poco furiosa. Si fermò a sussurrare a Nick una cosa che Anna non capì e poi se lo portò via sottobraccio. La ragazza fece spallucce ed entrò in aula, la IID, proprio mentre lo squillo della campanella annunciava l’inizio delle lezioni.
Le lezioni del mattino passarono abbastanza velocemente, anche se il tempo continuamente grigio non era certo l’ideale per il buonumore. Da quando era arrivata a Londra non aveva fatto altro che piovere ininterrottamente. Quel clima gettava Anna nella malinconia.
Chissà come sta la mamma pensava mentre la professoressa di letteratura inglese, Mrs. Johnson terminava di fare l’appello all’inizio della prima ora.
La mamma…Marco…anche se li porto nel cuore sembrano così lontani… Pensava mentre guardava gli scrosci alla finestra. Alla fine dell’appello, però, dovette prestare la massima attenzione alla lezione: seguire in lingua inglese non era affatto facile e soprattutto prendere appunti, perché oltre a scrivere, era necessario capire quello che spiegava l’insegnante, linguisticamente e concettualmente.
Gli insegnanti si dimostrarono tutti molto competenti e molto esigenti e le lezioni stimolanti.
Nel pomeriggio Anna ebbe modo d’incontrare anche la sua insegnante di pattinaggio, Carol Dunaway, giovane e bella nella sua cascata di riccioli corvini e gli occhi nocciola, ma altrettanto rigida e severa. Squadrò le allieve da capo a piedi, rimproverando subito un paio che secondo lei erano troppo sovrappeso. Prima di iniziare la lezione fece fare a tutte una prova. Al minimo errore non era indulgente come Cristina e incitava a rimanere in piedi. Era stata campionessa d’oro in Europa per ben tre anni, fino a che un incidente l’aveva tolta per sempre dalle gare. Tuttavia, Carol era di animo forte e abbandonare la sua passione per il pattinaggio era come togliersi un pezzo di sé e così si era buttata nell’insegnamento.
Quando fu il turno di Anna non fece nemmeno un sorriso, né un complimento. Si limitò a dire: “Ci siamo, ma dobbiamo lavorare ancora molto.”
Mentre allenava, le sue parole erano dure e aspre.
“Se volete andare alle Olimpiadi dovete lavorare sodo e imparare cos’è la fatica…” Strepitava battendo le mani “Justine, un doppio axel almeno! Siete troppo ammorbidite,, dovete fare le ossa!”
Anna notò che anche Isabel era molto brava, ma la ragazza non la degnava nemmeno di uno sguardo, neanche in spogliatoio, sebbene passassero diverse volte l’una accanto all’altra.
Alla sera la giovane rientrò molto stanca. I muscoli dell’intero corpo le dolevano come se le fosse passato sopra uno schiacciasassi.
Bridget leggeva un romanzo alla luce della sua abat-jour . JANE EYRE di Charlotte Bronte.
Si mise a sedere sul letto . “Giornata dura?” Le chiese, vedendole gli occhi infossati.
Per tutta risposta Anna, dopo aver lasciato di colpo la borsa dello sport, si gettò sul letto di traverso, con le braccia aperte.
“Abbastanza.” Sospirò. “Chiamo a casa e poi mi faccio un bagno caldo..sono distrutta”.
Prese il cellulare e notò che aveva una chiamata senza risposta di Andrea.
Il giorno prima a causa degli impegni aveva dovuto posticipare l’ora della telefonata e tra i compiti, il bucato e il pattinaggio non era ancora riuscita a farla. Provò a richiamarlo ma aveva il cellulare staccato. Delusa chiamò la madre, che la tranquillizzò dicendole che quel giorno era stata bene e anche con la nonna non litigava più.
Dopo averle mandato un grosso bacio, Anna si fece un bagno rilassante, immersa nella schiuma che rilasciava bolle dai riflessi arcobaleno. L’acqua calda la fece sentire subito meglio, agendo come lenitivo. Appoggiò la testa al bordo, con gli occhi chiusi, mentre la schiuma sfrigolava sulla sua pelle.
Mentre percorrevano il corridoio della scuola, Anna chiese a Bridget chi fosse il ragazzo biondo a cui Isabel faceva il filo.
“Si chiama Nick, frequenta il terzo anno ed è uno dei ragazzi più carini della scuola.” Fece spallucce e aggiunse: “Sa anche di esserlo perché si atteggia molto con le ragazze… stai attenta, però, perché Isabel stravede per lui e diventa una iena con chi gli si avvicina.”
“Ma stanno insieme?”
“No, perché Nick non è in cerca di una storia sera..flirtano.”
E poiché si dice che si parla del diavolo e spuntano le corna, Nick arrivò proprio in quel momento. Con fare da duro e pieno di sé, si avvicinò ad Anna.
“Ehi bellezza, come va?”
Anna non gli diede molta importanza. Non le piaceva quel tipo di ragazzi.
“Bene, mi sto abituando..ora scusa, ma la lezione inizia.”
Isabel che stava raggiungendo Nick, si accorse dell’interessamento del ragazzo e si sentì rodere dalla gelosia. Così, quando il professore della prima ora uscì, si presentò al banco di Anna.
“Senti tu!” Ruggì. “Non mi importa se sei nuova, ma Nick è il mio ragazzo, perciò lascialo perdere se non vuoi che renda il tuo soggiorno un inferno.” E se ne tornò a sedere, portando con sé un vento di guerra che sbigottì Anna.
Anna girò le chiavi nella serratura e non appena sentì lo scrocco si sentì sollevata. La lezione di pattinaggio era stata estenuante. Mss. Dunaway stava preparando una coreografia molto complicata e non si dimostrava per niente indulgente. Alla prima perdita di equilibrio costringeva le allieve a ripartire dall’inizio. La coreografia era di squadra e tutte le ragazze dovevano danzare e fare acrobazie sulla musica di La Isla Bonita. L’unica cosa che la risollevava era che l’insegnante aveva rimproverato Isabel quando le aveva tagliato la strada per mettersi in prima fila. Per tutta la lezione aveva dovuto subire le sue frecciatine e quella sgridata le diede un diabolico piacere.
“Fallo un’altra volta e sei fuori.” Aveva sbottato Mss. Dunaway.
Anna lasciò cadere la borsa e gettò la chiave nel cestino di vimini sopra alla scrivania, facendo canestro. Si precipitò subito a dare un’occhiata al cellulare, che aveva lasciato sul comodino. Inutile portarselo dietro, non avrebbe comunque avuto modo di mandare e ricevere messaggi o telefonate.
Sul piccolo schermo del Nokia, la scritta “2 Messaggi ricevuti” le portò un sorriso, facendole dimenticare per un attimo la stanchezza. Il primo era della madre e diceva: Ciao tesoro, qui non è cambiato nulla, stai tranquilla. Sono molto stanca e adesso vado a letto. Un bacione ti amo mamma.
Il secondo messaggio era di Andrea:
Ciao bellissima, mi dispiace che non riusciamo mai a sentirci telefonicamente, so che sei molto impegnata. Qui tutto bene, l’unica novità è che fra una settimana parto per la Francia per un viaggio di studio. Ti penso sempre e ti chiamerò presto Baci Andrea.
La notizia di quell’improvvisa partenza fu per lei un colpo al cuore. Quanto sarebbe durato il viaggio di studio? Si chiedeva. A fine mese voleva tornare a casa per stare un po’ con la madre e l’idea di non trovare il suo più caro amico la faceva stare male. Non parlava con lui da giorni e le mancavano le loro lunghe chiacchierate. Rilesse il messaggio più e più volte, tanto che lo imparò a memoria. Il desiderio di poterlo riabbracciare era molto forte e così si decise a provare a chiamarlo.
Era l’ora di cena e sperava di trovarlo. Fece un sospiro di sollievo quando sentì la linea libera.
“Pronto?”Le chiese una voce familiare.
“Cristina? Ciao!”
“Ciao tesoro, come stai?”
“Va abbastanza bene, è dura ma mi sto ambientando e con l’inglese va sempre meglio.”
Rispose, felice di risentirla.
“E’ severa e ci fa lavorare sodo, ma è brava.”
“Hai tenacia da vendere e non saresti lì se non fossi all’altezza.”
“Grazie” Sorrise, confortata dalle sue parole. “Tu e Andrea mi mancate molto.”
“Anche tu, Andrea non fa che parlare di te e del fatto che non riesce a telefonarti.”
“Lo so, purtroppo non porto il cellulare con me e solo adesso ho trovato un attimo per richiamarlo.”
“Oh tesoro, mi dispiace ma adesso lui non c’è, è all’allenamento di karate e si è dimenticato il cellulare a casa.”
Si morse il labbro. “Ah…capisco…” Mormorò delusa, con un filo di voce. “Puoi dirgli che l’ho chiamato’”
“Ma certo…quando ti può trovare?”
“Se riesce, mi trova anche domani a quest’ora.”
“Perfetto. Ciao cara.”
Dopo aver riattaccato, lo sguardo si posò sulla foto che lui le aveva regalato. Sorrise nel vedere quel bel viso e gli occhi azzurri. Accarezzò il vetro e ripose la foto al suo posto.
Inoltre, aveva una gran voglia di parlare con la mamma e raccontarle che dentro di lei stavano succedendo delle cose. Quei pensieri le fecero cadere una lacrima. Se la asciugò subito e andò a prepararsi per la cena. Bridget aveva una partita e quindi sarebbe rincasata tardi.
Subito dopo cena sentì il sonno renderle le palpebre pesanti e intorpidirle le membra già doloranti.
Stava per spegnere l’abat-jour quando sentì il cellulare vibrare e il display si illuminò.
Il nome di Andrea le fece venire il batticuore.
“Andrea?” Disse, agitata.
“Ciao carissima. Tutto a posto?”
“Sì, non c’è male e tu?”
“Sono pieno di compiti ma va tutto bene.”
Anna si sentiva strana: le sudavano le mani e si sentiva impacciata come ad un primo appuntamento.
“Mi hai…mi hai accennato del viaggio di studio…”
“Ah sì, sai che adoro il francese ed è stato somministrato un test per scegliere cinque studenti meritevoli per andare in Francia.”
“Mi fa piacere!” Esclamò.
“Davvero?”
“Sì, voglio dire…è un onore.” Asserì, cercando di ricacciare quello che gli avrebbe voluto dire.
“Starò via un anno, Anna e terminerò il liceo lì.”
Anna rimase spiazzata.
“Pronto?”
“Ah sì, ci sono.”
“Mi mancherai, Anna.”
“Sì, anche tu.” Non riuscì a trattenere le lacrime.
“Ti manderò mail su e-mail e tornerò per le feste, così staremo insieme.”
“Certo.” Ma sarà difficile stare tutto questo tempo senza di te-Pensò.
D’altra parte, Andrea non voleva rovinare la loro amicizia e così anche lui non trovò il coraggio di confessarle che i suoi sentimenti erano cambiati.
“Non sei arrabbiata, vero?”
“Per cosa?”
“Per…il bacio.”
“No, figurati.”
“Ah bene, sai temevo di aver fatto qualcosa di sbagliato.”
Ci penso ancora Sussurrava la sua mente.
“Non preoccuparti.”
“Bene allora. Ci vediamo presto.”
“Ti voglio bene Andrea.
“Anch’io Anna. Buonanotte.” E riattaccò.
Si rimise sotto le coperte ma nonostante la stanchezza, le emozioni le resero difficile il sonno. Immagini d’infanzia si alternavano ai primi turbamenti. Si addormentò solo un’ora dopo, in un sonno agitato e senza sogni.
Il tempo passava nell’uggiosa e grigia Londra. Dall’arrivo alla Trinity erano ormai passati più di dieci giorni e Anna continuava il suo cammino intriso di dure prove. In certi momenti le sembrava di impazzire e di non riuscire ad avere il controllo del tempo, che sembrava non bastare mai: lezioni fino al primo pomeriggio, i compiti e interi capitoli da studiare, gli allenamenti massacranti e i pensieri legati alle persone care occupavano l’intera giornata. La sera arrivava in un battibaleno e si trovava con la testa ciondolante e gli occhi socchiusi sopra il tema d’inglese o gli esercizi di algebra da finire. Il caffè riusciva a sollevarla un po’, ma il suo effetto durava molto poco. La luce restava accesa fino alle dieci e mezza di sera, prima di rilassare il corpo sotto le coperte. Eppure quella vita dura aveva un significato. Si correva, era vero, ma sempre per uno scopo. Prima di andare a letto guardava la posta se Andrea le aveva scritto e puntualmente trovava una sua mail ricca di faccine e di cuori. Era arrivato in Francia e anche per lui la nuova scuola era un’avventura, ma stava bene. Questo era l’importante. E soprattutto si ricordava sempre di lei. Le sue e-mail erano frequenti e le mettevano il sorriso prima di addormentarsi. Bridget e Rachel l’aiutavano non poco con l’inglese letterario ed erano diventate grandi amiche. Andare in mensa con loro era un vortice di gioia e ilarità, tra il quale, però, spuntava sempre il fiato glaciale di Isabel, gelosa della compagna di scuola. Anna evitava Nick perché tanto non le interessava, ma non sopportava la voglia di primeggiare di Isabel e il suo modo palese di adulare l’insegnante di pattinaggio, che per fortuna, non si lasciava fuorviare da certe bassezze. Ma Isabel era brava. Davvero brava mentre i pattini disegnavano figure sulla lastra di ghiaccio lucente, librandosi leggera nei salti, in un tutt’uno con la musica; una vera e propria poesia. Peccato che quella meraviglia atletica appartenesse a una ragazza così superficiale ed egoista. Di una cosa però Anna era sicura: inutile nascondere che Isabel era più avanti di lei, ma l’avrebbe vista sempre non come un’eclissi, ma come una montagna da scalare per arrivare in cima e ammirare il paesaggio; una spinta per mettercela tutta.

Can I compare thee to a summer…? Leggeva la professoressa Stevens nell’ora di letteratura francese. La classe era ammutolita. L’unico rumore era lo scroscio della pioggia, alla quale Anna si era ormai rassegnata. Non volava una mosca in classe e non solo perché si stava discutendo di un testo poetico, ma soprattutto perché la professoressa era molto severa ed era pronta a dare una nota di demerito a chiunque disturbasse e questo significava un punto in meno alla media. O le piacevi o eri segnato. Anna amava Shakespeare e quel sonetto era uno dei suoi preferiti. Prendeva appunti sull’intonazione e lo schema poetico, ma improvvisamente dei forti e secchi colpi alla porta ruppero quella quiete.
“Avanti!” Esclamò la professoressa.
Mr. Kids, bidello della scuola si avvicinò alla cattedra e mormorò qualcosa all’insegnante.
“Anna!”
La ragazza si alzò di scatto con un “sì?”
“Mr. Kids ti prega di seguirlo al centralino…” La informò con al sua voce impastata. “C’è una telefonata per te.”
Anna, agitata, seguì il bidello in un piccolo ufficio, dove c’era la scrivania con il telefono.
“Pronto?” Chiese Anna, con un fiotto d’ansia.
“Anna?tesoro, sono la nonna.” Disse la voce familiare. Nel suo tono però c’era tristezza e preoccupazione.
La ragazza ebbe un brutto presentimento. Lei e la mamma si facevano sentire di sera e una telefonata nel bel mezzo di una lezione presupponeva che qualcosa non andava.
“Nonna, è successo qualcosa alla mamma?”
“Sì, tesoro…è stata ricoverata.”
La ragazza sentì un colpo allo stomaco, che le si chiuse.
“E come sta?”
“Ha perso conoscenza e adesso le stanno dando qualcosa per tirarla un po’ su.”
Anna non ci pensò due volte. Aveva già stipulato un accordo con la scuola per cui in caso di aggravamento di salute della madre avrebbe potuto tornare a casa per qualche giorno. Con il volto grigio e gli occhi arrossati, si scusò con l’insegnante e dopo aver preso il necessario, chiamò un taxi per raggiungere l’aeroporto.
Il taxi si parcheggiò davanti all’ospedale. Anna pagò il trasporto, lasciando al tassista il resto e si precipitò all’entrata. La porta scorrevole si aprì e raggiunse il banco, dove un’infermiera bionda riordinava delle cartelle. Era giovane e i riccioli le uscivano dalla cuffia bianca.
“Mi scusi, la signora Levi per favore!” Le chiese, col fiatone.
“Lei è?”
“La figlia.”
“Stanza 116, secondo piano.”
Anna fece le scale di corsa, per non aspettare il lento ascensore.
Non appena arrivò al piano, l’insegna di rossa di ONCOLOGIA impressa sulla porta le fece sentire una fitta allo stomaco. Due frecce indicavano a sinistra il reparto femminile e a destra quello maschile.
110…111…andò avanti fino a raggiungere la camera. Quando entrò, vide la nonna seduta accanto al letto bianco della madre.
Quando la vide Amelia, visibilmente stanca, si alzò per abbracciarla.
“Anna, tesoro…ma quanto hai corso?”
“Come sta?”
Margherita era addormentata. La malattia le aveva scavato il volto, ora magro e le aveva regalato anche occhiaie nere. I suoi bei capelli erano spenti.
“Le hanno dato dei sedativi…ha avuto una forte pancreatite…purtroppo i medici dicono che dovremo fare i conti con giorni così e che sarà sempre peggio.
Margherita, sentendo la voce della figlia, cominciò a svegliarsi e con al voce impastata la chiamò. Anna si sedette sul letto e si chinò per abbracciarla.
“Ahi, piano piccola.” Si lamentò la donna.
“Scusa, mamma.” Le lacrime sgorgavano senza sosta.
“Anna, tesoro…non è ancora giunta l’ora, non ti preoccupare..ho intenzione di passarlo un altro Natale con te.”
“Ricordati questa promessa, mamma.” Sussurrò Anna, con un lieve sorriso.
Il week end trascorse velocemente; Margherita sembrava stabilizzarsi, anche se la debolezza e il dolore erano forti, ma insistette perché la figlia tornasse a scuola. Sapeva che i professori erano esigenti e aveva molto da studiare e scadenze relative a un paio di tesine da consegnare.
“Ma mamma, un voto non è la fine del mondo.” La tranquillizzò Anna.
“Tesoro, fra un mese ci saranno le vacanze di Natale e subito dopo la gara, non puoi perdere gli allenamenti”. Ribadì la madre. “Io verrò dimessa domani, perciò sta tranquilla”.
Anna si lasciò convincere e con tristezza salutò Margherita e la nonna per ritornare alla Trinity, dove l’aspettavano giorni di fuoco.
Gli insegnanti erano molto soddisfatti di lei: sapeva esprimersi correttamente, in un inglese che ormai era fluente e i suoi voti erano buoni, tanto che era una delle allieve migliori della classe.
Anche Carol, nonostante la sua severità, le aveva detto più di una volta che i suoi movimenti erano diventati molto più fluidi e leggeri.
Sentiva Andrea circa tre volte a settimana, per e-mail, dove le raccontava che tutto procedeva normalmente e bene, senza grandi novità. L’unica novità, anzi, che fece saltare Anna di gioia fu la notizia che sarebbe tornato a casa per Natale. Leggendo quelle poche e dolci righe in cui le scriveva Ci vediamo a Natale, non vedo l’ora di riabbracciarti le fecero pulsare il cuore a mille, mentre il sangue affluì al viso, facendola diventare quasi paonazza. Saltò per la stanza, tanto che Bridget le chiese persino se aveva la febbre.
Passò un mese e sentì che la madre era stata di nuovo ricoverata per una caduta, ma la nonna le aveva detto che dato che le vacanze si avvicinavano, di non precipitarsi perché era stabile. Anna avrebbe tanto voluto correre da lei, abbracciarla e stare con lei durante il suo viaggio verso quella triste meta oscura. Purtroppo dovette farsi forza e applicare il coraggio che lei le aveva insegnato: la gara era incombente e, inoltre, era piena di verifiche.
Il mese di dicembre passò in fretta e finalmente il Natale arrivò alle porte. All’aeroporto, il giorno della vigilia fu Cinzia, un’amica della madre , ad andarla a prendere.
La donna, coetanea della madre e altrettanto piacente, le fece i complimenti per lo splendore che era sbocciato in lei e le manifestò tutto il suo affetto per il difficile momento che stava attraversando. “Assomigli sempre di più a tua madre.” Disse. Anna la ringraziò, trattenendo a stento le lacrime.
Quando rincasò, Margherita era distesa sul divano, con una coperta di pail sulle ginocchia, pallida e scheletrica. Con uno nodo alla gola l’abbracciò forte, mentre sentiva il cuore spezzarsi nel vederla così sofferente, anche se la donna cercava di essere forte e di mantenere il sorriso.
Anche Amelia era provata: di notte non riusciva a dormire per le preoccupazioni e si sfogava con il pianto, in silenzio, quando nessuno la poteva vedere o sentire. Il mattino poi si alzava presto e si occupava della figlia.
Anna non aveva mai avuto il coraggio di chiedere alla madre quanto tempo le avessero dato i medici; non voleva contare i giorni. Sarebbe stato troppo. Dentro di lei, però, si rendeva conto che non doveva essere molto. Doveva però farsi coraggio e affrontare le feste con un po’ di serenità per amor suo.
Margherita le accarezzò le guance con le mani gelide, nonostante la fiamma alta e scoppiettante del camino.
“Non vedo l’albero.”
“Aspettavo te, tesoro…” Sorrise. “Sennò che Natale è”.
Amelia portò tutti gli scatoloni e lei e la madre (radunando le poche forze) iniziarono ad addobbare l’abete.
“Mamma, ma…”
“Lo devo fare.” La zittì. Era l’ultima volta e voleva farlo perché rimanesse quel ricordo di lei.
Nel frattempo attendeva anche un messaggio di Andrea che l’avvertiva del suo arrivo e si chiedeva cosa si sarebbero detti dopo l’ultimo incontro. Al telefono e per mail era facile parlare di scuola, ma vedersi e abbracciarsi dopo tre mesi era un altro paio di maniche.
Avevano appena finito di addobbare l’albero quando il campanello trillò.
Anna aprì la porta e l’incontrare gli occhi azzurri dell’amico la mandò in iperventilazione. Gli si gettò fra le braccia, stringendolo forte. Notò con piacere che era più alto robusto.
“Ciao piccola.”
“Ciao e buon Natale.”
Dietro di lui c’era Cristina, bellissima e raggiante come la ricordava. Baciò anche lei e li fece entrare.
Amelia preparò loro una zuppa di verdure e dello spezzatino e passarono una piacevole serata chiacchierando del più e del meno.
Anna e Andrea si ritrovarono a chiacchierare come i vecchi tempi e la ragazza fu sollevata nel vedere che non era cambiato niente.
Dopo cena, Anna e Andrea andarono in salotto, mentre le altre rimasero in cucina.
“Mi dispiace tanto per tua madre.”
“Lo so, però…per stasera voglio avere il sorriso, ok?” Lo pregò.
“Ok.”
Gli porse un pacchetto argentato. Andrea lo aprì subito e vi trovò un CD di canzoni miste che ricordavano il loro tempo insieme.
“Che bello, grazie!” Esclamò e lui le mise al collo una morbida sciarpa rossa che estrasse dalla borsa.
“Ti terrà al caldo.”
Anna lo abbracciò di nuovo. Il cuore le batteva talmente forte che aveva paura lo sentisse.
“Come va a scuola?” Chiese per combattere il nervosismo.
“Ah, con il francese bene e ci sono tante cose da vedere.”
“Sai, aspettavo questo momento per dirti che mi dispiace di averti lasciato all’aeroporto in modo così inconcludente quel giorno e…”
Andrea la interruppe. “Ah, ma non ti preoccupare, va tutto bene.”
“Davvero?” Le chiese, stupita nel vederlo così sereno.
“Sì, insomma…tu sei così indaffarata e ora anch’io….” Aggiunse. “e tra l’altro ho conosciuto una ragazza…si chiama Michelle ed è molto simpatica.”
Anna sentì raggelare il sangue nelle vene a quella notizia inaspettata.
“Ah…eh…. E state insieme?”
“Beh, non è così ufficiale ma usciamo da un po’.”
Si morse il labbro. “Non mi hai detto n-niente.” Farfugliò.
“Volevo dirtelo di persona”.
“Ok, l’hai fatto” non sapeva cos’altro aggiungere. “Sarà meglio tornare di là.”
“Anna, lei mi fa ridere e divertire e tu…noi…” Si giustificò.
“Va bene Andrea…lo capisco.” Voltò le spalle mentre gli occhi le divennero lucidi e senza guardare se la seguiva, ritornò in cucina.
Anna spiluccò il dolce in silenzio e anche Andrea fece altrettanto. Ogni tanto gettava qualche occhiata all’amica, quasi cercasse un dialogo silenzioso, ma la ragazza non alzava gli occhi. Attorno al muro che era sceso, risuonavano le chiacchiere di Amelia e Cristina e qualche risata di Margherita. La donna era spossata e indebolita dalla malattia ma lo strano atteggiamento della figlia non era sfuggito al suo sguardo di madre.
Dopo la cena si salutarono e Anna, con un macigno nel cuore si limitò a dire ad Andrea:”Beh, ci sentiamo e buone feste”.
“Anche a te” e intristito uscì assieme alla madre.
Margherita si stese di nuovo sul divano, invitando anche la figlia. Anna accolse l’invito e si sedette accanto a lei. La donna la portò a sé, facendola accoccolare con la testa al suo petto. Anna sentiva i respiri corti e accelerati.
“Cosa c’è che non va, bambina mia?” Le chiese, accarezzandole i capelli.
“Niente, mamma”.
Margherita schioccò la lingua, in segno di diniego.
“Eh no, mia cara, puoi imbrogliare gli altri, ma non me che sono tua madre”.
In poche parole le espresse la delusione per quello che le aveva detto Andrea.
La donna, in un dolce sorriso, le disse: “Sei gelosa mia cara, perché stai crescendo e i tuoi sentimenti stanno cambiando”.
“Io e Andrea non siamo più amici?” Chiese, confusa.
“Certo che lo siete, ma i sentimenti si evolvono”.
“Come faccio a capire quello che provo?”
“Tesoro, hai tutto il tempo per innamorarti e quando sarà il momento, il tuo cuore te lo dirà…” le baciò la fronte con le labbra fredde. “Ma non avere fretta”.
 
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