Ti dirò cos'è la bellezza - terza ed ultima parte

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falug
view post Posted on 30/1/2012, 11:27




6. Alla ricerca della dama perduta

Ma non era così. Il ricordo di Sara, piccolo ologramma mentale, era custodito in quell’area remota del cervello, fra coscienza ed inconscio, sulla riva del fiume dell’oblio. Era lì e talvolta agiva; per esempio, quando Francesco entrava nel bar, talvolta la sua testa girava a destra e a manca, a cercare una zazzera bionda e luminosi occhi azzurri. Un gesto, di cui Francesco nemmeno si rendeva conto. Poi un mattino, l’azione dell’ologramma fu più decisa: mentre Emilio gli serviva al tavolo il cappuccino con la solita brioche, Francesco si ritrovò a chiedergli:
“Senta, Emilio. Qualche mese fa ho conosciuto qui una signora bionda, con occhi azzurri, che mi ha detto di fare la domestica a ore in un palazzo qui vicino, verso l’incrocio. Non l’ho più vista. Lei l’ha presente?”.
“Ma certo, la signora Sara, veniva spesso qui, al mattino o alla tardo pomeriggio. Non è più a Milano. L’ultima volta che è venuta mi salutò dicendomi che tornava al paese, in Veneto, perché la sorella non stava bene”.
“Ah, ecco”, disse Francesco turbato da quell’inaspettata notizia, ”peccato, era molto simpatica. Grazie, Emilio”.
“Si figuri”.
E così Sara se ne era andata senza nemmeno avvertirlo; forse per un’emergenza, ma avrebbe potuto telefonargli anche dopo. Quel fatto, stranamente, irritò Francesco, che ci ripensò più volte durante i giorni successivi. Va detto che Francesco, quando si metteva in testa una cosa, non si rasserenava finché non l’avesse realizzata, e anche rapidamente. Ora voleva trovare Sara e chiederle perché s’era comportata così maleducatamente, da lei non se lo sarebbe aspettato.
Ed il suo cervello cominciò a macinare piani.
I dati in suo possesso: Sara Zanon, di Portogruaro. Portogruaro: vicino a Latisana, dove aveva sede il cliente vinicolo di recente acquisizione. Ergo: il prossimo incontro con il cliente, già previsto nella settimana successiva, invece che a Milano, sarebbe potuto avvenire a Latisana, magari di lunedì, così lui avrebbe avuto tempo, nel weekend, per cercare e incontrare Sara.
Si mise all’opera.
Col cliente non ci fu alcun problema, fu ben felice di risparmiarsi il viaggio e l’incontro fu fissato a Latisana per il lunedì successivo.
Restava il problema di trovare Sara. Gli sembrava improbabile che in così poco tempo un numero telefonico a suo nome fosse stato inserito nel elenco telefonico. L’agenzia aveva le guide telefoniche di tutte le principali città italiane, anche quella di Venezia e provincia. Chiese alla sua segretaria di portargliela e, sotto Portogruaro, cercò Zanon,.
Ce n’erano almeno una trentina, e, come previsto, nessuna Sara. Gli restava l’opzione di chiamare degli Zanon a caso, sperando d’incappare in qualche parente. Cominciò subito.
“Sì..?”.
“Buon giorno, cerco Sara Zanon”.
“Ha sbagliato numero”. Click. Buca.
“Pronto?”.
“Buon giorno, cerco Sara Zanon”.
“Qui non c’è nessuna Sara”.
“Per caso conosce Sara?”.
“No, mi spiace”.
“Mi scusi, allora”.
“Prego”. Click. Buca.
Andò così per altre due telefonate. Poi:
“Pronto”.
“Buon giorno, cerco Sara Zanon”.
“Guardi che non abita qua, sta da sua sorella Laura”.
“Lei per caso potrebbe darmi il suo numero?”.
“Mi dispiace, non lo so, non siamo parenti, solo conoscenti.”.
“Ma non c’è nessuna Laura Zanon sul elenco telefonico”.
“Sarà sotto il nome del marito”.
“Lei sa come si chiama?”.
“So che di nome si chiama Ferruccio, ma non so il cognome”.
“Va bene, signora, la ringrazio, buon giorno”.
“Buon giorno”. Click. Una traccia.
Ferruccio non era certo un nome frequente. Chiamò la stagista che da qualche settimana era ospite dell’agenzia.
“Come va, signorina? Come trova l’esperienza in agenzia?”.
“Bellissima, meglio di quel che m’aspettavo, siete fortunati a fare un lavoro così interessante e vario”.
“Sono d’accordo con lei. Senta, ho bisogni di un favore, ci vogliono occhi buoni”.
“Mi dica”, rispose la ragazza.
“Vede quest’elenco telefonico di Portogruaro, una città del Veneto? Ho bisogno che lei mi scriva tutti i numeri telefonici ed il cognome dei signori che hanno nome Ferruccio, non dovrebbero essere tanti, ci vuole solo pazienza e, appunto, occhi buoni, perché i caratteri sono abbastanza piccoli. Io adesso ho una riunione, può lasciare i dati dalla mia segretaria”.
“Senz’altro, lo faccio subito”.
“Grazie”.
Quando finì la riunione, la segretaria gli consegnò un foglio con tre nomi e relativo numero telefonico.
Lo mise sulla scrivania, davanti a lui, e lo guardò a lungo.
Era l’ultima possibilità per fermarsi, per fermare quella ricerca di cui non capiva bene il motivo e che gli appariva un poco infantile.
La notte porta consiglio, ci penserò domani, si disse e se ne andò a casa, lasciando il foglietto sulla scrivania.

7. Io so cos’è la bellezza

Durante la notte non ci pensò affatto; in realtà, nel suo intimo, la sua decisione era stata presa già da tempo. Infatti, il mattino seguente, dopo aver sbrigato le faccende più urgenti, si chiuse in ufficio e prese in mano il telefono, chiamando il primo Ferruccio dell’elenco.
“Pronto?”
La sua voce!
“Buon giorno, cerco la signora Sara”.
“Sono io, chi parla?”.
“Sono Francesco, si ricorda, a Milano?”.
“Si..., certo. Buon giorno. Cosa..?”
“Lo sa che sono arrabbiato con Lei?”.
“Perché non Le ho telefonato? Non m’è sembrato il caso”.
“Perché no? Non è stata gentile. Ho dovuto attivare FBI, SISDE e Cia per rintracciarLa!”.
“E perché tutta questa necessità di trovarmi?”.
“Non lo so, ma ho voglia di rivederLa. Inoltre, abbiamo da finire un discorso, ricorda?”.
“Che discorso?”.
“Sulla bellezza. Le avevo detto non rispondevo apposta per avere motivo di rincontraLa”.
“Sì, ora ricordo. Ma ormai sono a Portogruaro e non so se e quando tornerò a Milano”.
“Se la montagna non va da Maometto, Maometto va alla montagna! Ho un incontro di lavoro a Latisana lunedì prossimo. Pensavo di venire a Portogruaro sabato, così mi potrà fare da guida nella sua cittadina”.
“Scherza?”.
“Sono serissimo, Sara, se no perché l’avrei cercata?”.
“Ma…non so che dire… mi sembra così strano”.
“Senta, Sara, non mi piace tirare le cose per le lunghe. Se non ha piacere di rivedermi, dica no e non mi sentirà più. In caso contrario mi dica dove possiamo incontrarci”.
C’era stato un piccolo cambiamento nel tono di voce di Francesco e Sara ne fu scossa.
“Non s’arrabbi. Va bene. Al sabato mattino non posso, ho trovato un lavoro a ore. Va bene alle tre del pomeriggio?”.
“Va benissimo, faccio un’abbondante colazione alle 11 e poi parto. Alle tre, dove?”.
“Direi nella piazza principale, dove c’è un monumento con il cavallo”.
“Ottimo. Senta, mi può consigliare un albergo?”.
“Sempre in centro c’è lo Spessotto, è molto comodo”.
“Grazie, Sara. Allora a presto”.
“Sì, a presto, buon giorno”.
“Buon giorno”. Click. Missione compiuta.
Sara mise giù la cornetta lentamente, sotto lo sguardo incuriosito della sorella.
“Chi era ?“, chiese Laura.
“Un signore di Milano, che passa di qua sabato e vuole vedermi”.
“Non mi hai mai detto niente di signori a Milano!”.
“Non c’è niente da dire, siamo usciti una volta sola, è una cosa senza senso”.
“Perché? Se ti ha cercata vuol dire che tu gli piaci”.
“Senti, lui è un megadirigente, sapientone, e io sono una domestica ignorante. Non gli avevo nemmeno detto che ero tornata qua.”.
“Però! E’ vecchio, brutto e antipatico?”.
“No. E’ gentile. Ha circa quarant’anni. E’ rimasto vedovo qualche anno fa e ha perso anche una figlia di quattro anni, insieme alla moglie. Ne soffre ancora molto.”.
“E cerca consolazione con te?”.
“Non mi sembra il tipo, ma non si sa mai”.
“Come va con Sante?”.
“Ogni volta che mi vede mi chiede di uscire, non ne posso più. L’ultima volta gli ho anche risposto male, ma lui è sicuro di convincermi”.
“C’era rimasto proprio male quando l’hai lasciato e sei andata via. E’ uno che crede che le donne lo ammirino, e invece non ne ha più trovata una, dopo di te”. Poi Laura aggiunse:
“Allora dovrai andare dalla parrucchiera, prima di sabato!”.
“Dici?”.
“Certo, è sempre bene lasciare almeno un buon ricordo”.
Fortunatamente Laura stava meglio e Sara aveva potuto accettare un lavoro a ore presso una famiglia, che la teneva impegnata per tre mattine alla settimana. Era ancora troppo presto per pensare se tornare a Milano o no, ci volevano ancora alcuni mesi per essere sicuri che Laura avesse superato la sua depressione.
Come aveva detto alla sorella, Sante la pressava continuamente perché uscisse con lui, ma proprio la sua molesta insistenza rafforzava il suo rifiuto. Era arrivato persino ad aspettarla sottocasa per dirle che lui aveva diritto a riprovarci, che lei era stata troppo severa e poco comprensiva nei suoi confronti. Lei gli aveva detto che al momento non era interessata a creare un nuovo rapporto con un uomo e che la lasciasse in pace una buona volta.
A Francesco, sino a quel giorno, non aveva più pensato, lo aveva giusto considerato una conoscenza casuale e fugace, anche se piacevole.
La sua telefonata l’aveva colta totalmente di sorpresa.
Il sabato pomeriggio, mentre si vestiva per andare all’appuntamento nella piazza col cavallo di marmo, si guardava allo specchio e non capiva cosa potesse trovarci di così interessante Francesco in quel viso irregolare e in quel corpo ben diverso da quello delle flessuose modelle che apparivano nelle riviste ed in televisione e che lui avrebbe potuto facilmente incontrare a Milano.
Gli farò fare un giro per i portici, pensò, poi si vedrà.
Alle tre in punto arrivò in vista del cavallo e lo vide subito, che si guardava attorno a cercarla.
“Eccomi”, disse Sara, arrivandogli alle spalle.
“Oh, buon giorno, beato che si rivede”, rispose Francesco, tendendole la mano.
“Ancora arrabbiato?”.
“Penso che accetterò le sua scuse, ad una condizione”.
“Sarebbe?”.
“Che passiamo ad un più semplice “tu”.
“Ha sempre su gli stivali delle sette leghe, vedo!?”.
“Sarebbe un no?”.
“Ma no, è un si, ma guardi,..guarda, che farò fatica”.
“Spero di no. Ok, archiviata la fuga, cosa facciamo ora?”.
“Portogruaro è carina, se Le piace, scusa, ti piace camminare, possiamo fare un giro lungo i portici. Ci sono tanti palazzi antichi, anche se non saprei dirLe, dirti, di che periodo”.
“Benissimo, approfittiamo finché c’è luce”.
Così presero a passeggiare per la città, chiacchierando di ciò che era accaduto in quei mesi in cui non si erano più sentiti. A poco a poco, il “tu” divenne più naturale anche per Sara, che si ritrovò a raccontare senza remore i problemi di sua sorella, la simpatia del piccolo Giovanni, il suo nuovo lavoro.
“Ora potremo bere quel famoso tè”, disse Francesco verso le cinque. Così si accomodarono in uno dei bar della piazza centrale.
Francesco capiva sempre più chiaramente perché aveva sentito tanto desiderio di rivedere quella signora che conosceva appena. Da lei irradiava un aura rasserenante, i suoi gesti erano aggraziati, pacati, i suoi occhi esprimevano onestà morale e la sua figura, pur lontana dai canoni estetici dominanti, esprimeva una decisa femminilità, che aspettava solo di potersi rivelare con spontaneità. Per stare bene con Sara, bastava essere un uomo moralmente onesto come lo era lei come donna.
Sara non pensava a nulla di particolare, solo sentiva che stava bene, il darsi del “tu” aveva ridotto la distanza intellettuale che la intimoriva; sentiva che poteva permettersi di essere semplicemente sé stessa, senza crearsi inutili problemi.
Verso le sei concordarono che ognuno sarebbe andato al proprio alloggio, lui all’albergo Spessotto, lei da sua sorella. Si sarebbero ritrovati poi alle sette e mezza per andare a cena. Francesco insistette per andare a prenderla a casa, non lontana dal centro-città e lei alla fine accettò:
”Così ti faccio conoscere Giovanni, il mio amore”, disse Sara.
Quando suonò il campanello, gli venne ad aprire una signora somigliantissima a Sara, solo più giovane.
“Ah, buona sera, dottore. Si accomodi”.
“Grazie, signora, ma la prego, lasciamo stare in pace i dottori. Mi chiamo Francesco, posso chiamarla Laura?”.
“Sì, certo. Ecco Ferruccio mio marito. Saaaraa!!”
“Venga, Francesco”, disse Ferruccio, un bel giovane, dal viso aperto e modi sicuri.”Ecco, questo è Giovanni”.
Il piccolo dormiva pacifico in un piccola sdraietta
“Un vero cappellone!”, disse Francesco sorridendo.
“Spero che Lei accetti un calice di prosecco?”, chiese Ferruccio, ”da noi è usanza. Si accomodi su quella poltrona”.
“Volentieri. Buona sera, Sara”, aggiunse Francesco all’entrante Sara.
“Buona sera, ti sei riposato un po’?”.
“Ho letto il giornale”.
“Cosa ne pensa della nostra cittadina?”, chiese Laura, che lo guardava con occhi pieni di curiosità ed interesse.
“Bella, mi piacciono le città con i portici, sembra che vogliano abbracciare i loro abitanti, danno calore. Ci sono poi dei palazzi rinascimentali davvero belli”.
Dopo che ebbero bevuto l’aperitivo, Ferruccio domandò a Sara:
”Dove andate a mangiare?”.
Intervenne subito Francesco:
“Ho chiesto in albergo, mi hanno dato due o tre possibilità. Io propenderei per un locale tipico, dove mi hanno detto che si mangia bene e che si trova incassato nelle mura cittadine, mi pare a San Giovanni”.
“Ah, ho capito. Sì, non è male, è un posto tranquillo, una cucina famigliare condita con un pizzico di fantasia; sai dov’è, Sara?”, chiese Ferruccio.
“Sì, non ci sono mai stata, ma so qual è”.
Dopo aver salutato Laura e Ferruccio, s’avviarono verso San Giovanni, una bella camminata nella serata piuttosto fredda. Trovarono senza problemi il locale e anche un tavolo ancora libero.
Fecero l’ordinazione e poi si guardarono.
“Mi hai detto che mi hai cercata solo perché dovevi finire il discorso sulla bellezza. Ti ascolto”, disse Sara, con un leggero sorriso sulle labbra.
“Speravo di scansare l’argomento, perché non sono molto preparato, anche se davvero penso che sia fondamentale, per sperare in un mondo migliore, essere capaci di riconoscere e godere la bellezza”.
”Avrei detto che per un mondo migliore ci volesse il bene, non la bellezza”.
“Ma è proprio questo il punto; secondo me chi apprezza la bellezza è automaticamente sulla via che porta al bene. Chi ammira la bellezza della natura, la bellezza delle parole, dei sentimenti, dei comportamenti, dell’arte vera in genere, significa che ama l’armonia e non vi è armonia nel male. Il male può essere affascinante, ma difficilmente è bello e armonioso”.
“Se ricordo bene, però, mi avevi detto che la bellezza va imparata e che ci vuole una guida per poterlo fare”.
“Sì, la percezione della bellezza è solo in minima parte istintiva. Gli animali non gustano la bellezza, possono talvolta avvertire disarmonie nel contesto in cui si trovano, è una capacità che fa parte dei loro strumenti per la sopravvivenza. La percezione e il gusto della bellezza in senso lato sono invece un fatto culturale, a cui solo l’uomo ha accesso, e possono essere un piacere fine a sé stesso, senza una particolare utilità pratica. Farsi rapire dalla bellezza di un paesaggio è una capacità solo umana e marca davvero la distanza fra noi e gli altri esseri viventi sul pianeta”.
“Ma non è che qualcuno t’insegna ad ammirare un paesaggio; tutti sono capaci di dire: che bel paesaggio”.
“Apprezzare la bellezza non è semplicemente dire mi piace o non mi piace. Non è solo guardare, ma è soprattutto vedere. Se io ti guardo, mi dico: bella donna. Ma in verità non ho detto nulla di te. Se guardo con attenzione e con desiderio di capire, allora vedo che hai degli occhi azzurri pieni di luce e limpidezza, vedo che ti muovi con grazia, vedo che tutto il tuo corpo esprime, nella sua gestualità, un’interiore sollecitudine verso il prossimo, vedo che hai una pelle chiara che deve essere bella da accarezzare. Ora sì che ho visto e goduto davvero della tua bellezza”.
Parlando di Sara, Francesco si era come acceso, aveva alzato la voce e gli occhi brillavano. Sara lo guardava e pensava - ma cosa dice questo qui?- ed era preoccupata per i clienti degli altri tavoli, che sicuramente ora udivano le parole di Francesco.
“Ssst, Francesco, abbassa la voce”.
“Cosa?..scusa, ogni tanto mi infèrvoro. Comunque hai capito cosa voglio dire: guardare oltre, vedere”.
“Sì, sì, ho capito, ma ora cambiamo discorso. Domani…”.
“Ho già pensato a domani, se hai tempo e sei d’accordo”, disse Francesco, tornando ad un volume di voce normale,”mi piacerebbe andare a vedere le grotte di Postumia, m’hanno detto che sono stupende”.
“Vedo che insegui sempre la bellezza”. replicò Sara, ”Domani sera, alle sei, devo essere a casa, perché Laura e Ferruccio devono uscire”.
“Va benissimo. Sei mai stata a Postumia?”.
“No”
“Allora è fatta. Il giro delle grotte inizia a mezzogiorno, alle sei siamo sicuramente di ritorno”.
Continuarono a mangiare tranquilli, ma Sara risentiva nella mente le parole che Francesco aveva detto su di lei, parole che nessuno le aveva detto mai. Mentre lo ascoltava parlare del suo lavoro, cercò anche lei di “vedere” Francesco. E vide che lui emanava bontà, semplicità, affidabilità. Seppe che lui si serviva della sua intelligenza e cultura per rendere gli altri partecipi della bellezza, come la chiamava lui e non per tenersela tutta per sé. Seppe che Francesco era un uomo che le piaceva e non la intimoriva.
Erano ormai gli ultimi clienti rimasti ai tavoli dell’ala ristorante, mentre lungo il bancone del bar s’avvicendavano coppie nottambule e uomini solitari.
Francesco, con un segno, chiese il conto, poi si rivolse a Sara:
“Ti riaccompagno a…?”.
Un trambusto ed una voce alterata lo interruppero. Un uomo dall’aria stravolta, con lunghi cappelli brizzolati e scompigliati, s’era fermato davanti al loro tavolo, su cui aveva appoggiato una mano, mentre agitava l’altra davanti al volto di Sara:
“Eccola, quella che affermava di non volere più avere uomini intorno. Chi è questo damerino, uno di fuori, eh, che viene a rubarci le donne, perché ha i soldi. E tu, brutta troia, mi hai piantato solo per soldi, eh, ti faccio vedere io chi sono”
Così dicendo, Sante, perché era lui l’energumeno che s’era improvvisamente materializzato davanti a loro, afferrò il coltello che Sara aveva usato per tagliare la costata che aveva appena mangiato e l’alzò per colpirla. Francesco, che per un attimo era rimasto come folgorato da ciò che vedeva e sentiva, si riscosse e s’intromise fra Sante e Sara, cercando di afferrare la mano armata dello sconosciuto; ma la lama gli penetrò nell’avambraccio, poi Sante la risollevò e colpì con forza Francesco appena sotto il collo. Francesco cadde in ginocchio accanto al tavolo, mentre Sante fuggiva, gridando frasi incomprensibili. Il sangue coprì in un attimo la camicia e la giacca di Francesco, che era ormai riverso a terra, senza sensi. Sara si chinò su di lui urlando e piangendo di paura e vergogna, mentre l’oste raccattava tovaglioli puliti per fermare il sangue e gridava alla cuoca, accorsa al rumore e alle grida, di chiamare il 118 per un’ambulanza e la polizia. In quindici secondi era avvenuta una mutazione radicale dello scenario, come a teatro, fra un atto e l’altro delle tragedie.
L’oste non aveva perso la testa, e i suoi tovaglioli avevano funzionato, il sangue era ormai solo un rivolo; l’ambulanza arrivò dopo pochi minuti e gli infermieri chiesero a tutti di allontanarsi. Tagliando via lembi di giacca e camicia, poterono vedere una ferita da taglio lunga ma non troppo profonda e, mentre caricavano Francesco sulla barella, rassicurarono Sara:
“Ha preso solo muscoli, la giacca ha attutito il colpo. Gli faranno tanti punti, ma sarà presto come nuovo, signora”.
Intanto i poliziotti, arrivati poco dopo l’ambulanza, si facevano raccontare dall’oste l’accaduto e seppero anche il nome dell’aggressore, abituale cliente del bar. Dissero a tutti di tenersi a disposizione e corsero via, a cercare di catturare Sante, prima che combinasse altri guai, magari anche contro sé stesso.
A Sara fu permesso di salire sull’ambulanza, accanto a Francesco, che stava riprendendo conoscenza.
Era sconvolta e piena di vergogna e anche profondamente disperata. Per la prima volta, dopo anni, provava interesse per una persona che sembrava essere a sua volta interessata a lei, ed ecco che un uomo accecato dall’egoismo, dall’invidia e dalla gelosia aveva introdotto la tragedia nella sua vita tranquilla. E riportato il dramma nella vita di Francesco, come se non ne avesse avuto già abbastanza nel suo passato.
Sara prese la mano di Francesco e gli sussurrò, piangendo:
”Mi dispiace, mi dispiace, io…,io…,non so…”.
Lui le strinse leggermente la mano e, a fatica, sussurrò a sua volta, voltandosi verso di lei:
“Io…lo..so”. Tacque un attimo.
“Per..me..la...bellezza…del..mondo…sei..tu”.
Sara lo guardò con occhi velati, tese la mano verso la sua guancia per una leggera carezza, poi si chinò e gli diede un bacio, il primo, sulla punta del naso.




Fine



 
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lagrandefame
view post Posted on 30/1/2012, 23:39




Ho letto tutto il racconto con vivo interesse e piacere. Delicatamente struggente, così come lo stile con cui hai forgiato questo testo. Devo ammettere però che ho preferito la prima parte, più suggestiva e pregna di intriganti significati impliciti. Ma è solo un'osservazione personale.
 
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falug
view post Posted on 31/1/2012, 11:41




Ti ringrazio per la pazienza che hai avuto nel leggere il racconto. E lieto che ti sia un pò piaciuto. Il mio stile, anche nelle poesie, è di solito scarno e diretto e spesso per tale motivo poco coinvolgente, ma non so fare altrimenti. Mi piace pensare che l'amore nasca così, quasi per germinazione spontanera, quasi in opposizione ai protagonisti, che hanno solo il merito di lasciarsi trasportare senza preconcetti o diffidenza, con onestà morale ed intellettuale, e agire di conseguenza. Non tanto noi che cerchiamo e troviamo l'amore, ma lui, l'amore che trova noi. Ciao, Fabricio
 
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lagrandefame
view post Posted on 31/1/2012, 12:11




Il tuo racconto, Fabricio, mi è piaciuto più che un po'. Del tuo stile apprezzo moltissimo proprio l'onestà, la spontaneità, il che, di per sé, già coinvolgono. C'è qualcosa che non mi ha proprio convinto nella struttura nell'ultima parte ma non sono un tecnico né un recensore né un critico, non so spiegarlo, è solo sensazione. Ma nel complesso ho provato sincero piacere nel leggere il testo. Spero di rileggerti presto.
 
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Giovanni Melappioni
view post Posted on 6/2/2012, 01:40




La storia di base è davvero di una sensibilità particolare, mi piace. I dialoghi sono serrati ma scorrevoli. L'unica cosa, se posso (ardire?), secondo me dovresti utilizzare più punti e meno ; , ecc. Mi è sembrato di notare che usi molte "affermazioni" nel narrato, un pò come Hemingway. Io credo che se le distanziassi con il punto non perderesti ritmo ma anzi, le struttureresti di più. Solo un consiglio, ovviamente. Ciao
 
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falug
view post Posted on 6/2/2012, 14:39




La punteggiatura è il lavoro di cesello dello scrittore e la barvura sta nel trovare l'equilibrio. Credo che la tua osservazione sia centrata e ne terrò conto. Grazie e ciao, Fabricio
 
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5 replies since 30/1/2012, 11:27   70 views
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