| Quando la polizia fece irruzione in casa, mi trovavo seduto attorno al tavolo in cucina, dondolandomi sulla sedia come un ebete e canticchiando stonato My funny Valentine immaginandomi un arrangiamento elettronico. Una bottiglia di vodka polacca quasi vuota sostava trasparente davanti ai miei occhi fuori dal mondo, un pacchetto di sigarette faceva compagnia a un mucchio di lettere. Quando la polizia fece irruzione in casa di Adriana, tutto già era stato fatto. Prima guardarono me, attoniti e quasi spaventati, poi guardarono la morte sul pavimento. Una donna e un bimbo, due giovani corpi immersi nel mar rosso. Quando mi intimarono di alzare le mani e di smettere di cantare, io alzai lentamente il capo verso di loro e, con voce impastata, risposi: - E perché? E' una bella canzone.
Sono due anni che sto ammuffendo in un carcere che non so nemmeno in quale posto del Paese si trovi. Condannato al carcere a vita, a morire lentamente in una cella sì quasi confortevole ma vuota e senza anima viva. Isolato, tenuto a debita distanza dall'umanità, per sempre, credo, anche perché non penso di essere ben voluto tra gli altri condannati alla merda eterna. Molti di loro mi dicono aspramente che avrebbero desiderato che fossi stato processato e condannato negli USA. Immagino per la faccenda della pena capitale. Non vedo e non sento nessuno, e forse i miei familiari non sanno nemmeno che sono qui, se ancora si ricordano di me. Alla fine mi sono trovato a imbattermi con la mia bestia nera di sempre, con quella bestia di cui ho avuto il terrore sin dall'infanzia, forse per mancanza di attenzioni materne: la solitudine. Ho quasi sempre tentato disperatamente, con metodi disastrosi a quanto pare, di scacciarla via come una serpe velenosa, ed ora mi ritrovo a dividere la cella con la sua orribile risata e il suo spaventoso contatto. Forse, in tutti questi anni, anche se pochi, l'ho cercata io la solitudine. Naturalmente non bevo più, la cura è stata infernale e ancora adesso non riesco ad abituarmi all'idea di non buttare giù neanche un goccio. Dieci anni di violenta dipendenza cancellati senza che io lo volessi. Nonostante non beva più, non faccio altro che pensare all'alcol. Come non potrei? Sarebbe l'unica ragione di vita passabile, e paradossalmente l'unico modo per redimermi. Ma ora che m'importa della redenzione? Che m'importa farmi mille domande sulla marea di cazzate che ho fatto? Che m'importa dirmi che ho sbagliato, mi pento, perdonatemi? Non c'è nessuno che mi venga a prendere alle porte del carcere, nemmeno Adriana e mio figlio, perché li ho mandati all'altro mondo, anzi no, li ho cancellati per sempre, perché un altro mondo non esiste. Li ho presi e li ho spazzati via dalla piccola cittadina del nord dove vivevano. C'è un unica persona che di tanto in tanto viene a trovarmi, e sapete chi? Un prete. Per carità, una brava persona, ma non può essere in grado di squarciare il velo della solitudine nemmeno per dieci minuti. Non è capace di farmi compagnia, non abbiamo nulla da dirci, non sa giocare nemmeno a scopa e io non ho voglia di insegnargli come si gioca. Ma non è colpa sua, è colpa mia, sono io il mostro, non lui. Gli chiedo di portarmi dei libri, e lui mi porta tutti i volumi immaginabili che riguardano la sua fede. Io gli dico che non mi servono, non possono servirmi, non ci credo, mi fanno imbestialire e allora sento ancora di più il bisogno e la voglia di bere una decina di bicchierini di vodka, tutti d'un fiato, uno dopo l'altro, a catena. - Dovrebbe provare a trovare pace e compagnia in Dio. - Cazzate, solo cazzate. Non si può trovare pace e compagnia fino a che non si tocca per mano qualcuno. La pelle, il calore che essa emana, il suo odore, la sua sensibilità, le sue carezze. Dio non ha pelle, non appare, non esiste. E il misticismo non è roba per me. - Allora almeno provi a tornare ad ascoltare musica. - La musica non ha corpo. - Torni a suonare uno strumento. - Uno strumento non ha occhi, e senza occhi in cui guardare non si può trovare pace. - Lei frustra tutti i miei tentativi di risollevarla. - Mi dispiace. Non è colpa sua. Però una cosa buona per me potrebbe farla. - Cosa? - Mi porti da bere. Va via sempre con aria afflitta. Non sono folle né un maniaco, altrimenti non avrei scritto queste brevi memorie, ma so di non essere più un uomo. Non avere quasi più alcuna passione per la musica (da molto tempo ormai) vuol dire che la mia anima si sta svuotando. Mi sto bevendo la mia anima, la sto vuotando proprio come una bottiglia di vodka. Ho vissuto gli ultimi mesi a ricordare, soprattutto di quando ero un uomo, perché sono stato un uomo. Ho vissuto gli ultimi mesi ricordando la mia antica sensibilità, perché ce l'avevo una sensibilità. Ho vissuto gli ultimi mesi ricordando le mie passioni, perché ce le avevo le passioni. Ho vissuto gli ultimi mesi ricordando la mia brillantezza, perché sono stato brillante. E ho vissuto gli ultimi mesi ricordando tutte le schifezze, soprattutto quelle che ho commesso. Tuttora vivo di ricordi, forse per non sentirmi solo, l'unica cosa da uomo che mi è rimasta. Ma vivere di ricordi, ora come ora, non è proprio come prendermi una bella sbronza. In conclusione, questa storia fa davvero schifo, perché io faccio schifo, perché sono un alcolizzato che ha ucciso la sua ex compagna e il suo bambino, che ha rovinato la vita a se stesso e agli altri, che ha stroncato sul nascere una probabile strepitosa carriera di musicista. Non m'aspetto certo che colui che raccoglierà questa storia in un libro provi compassione e simpatia per me, ma mi aspetto che venga almeno a trovarmi un domani per due chiacchiere, magari portando sotto banco una fiaschetta di rum o di vodka, anche una birra calda va bene, benissimo. Che cosa darei per finire così come ho cominciato: vomitare su un letto tutto l’alcol ingerito, e rischiare di morire soffocato dalla propria melma. E salvarsi.
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