ASPETTANDO ANTONIO

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cientje
view post Posted on 6/9/2011, 17:40




Appoggiati a me. Fa’ piano. Metti il braccio sulle mie spalle. Prova a stare in piedi. Ma guarda come ti hanno ridotto.
Aspetta che ti do il mio fazzoletto. Ti esce ancora sangue dalla bocca, eh? Se tua madre ti vedesse in queste condizioni, le si fermerebbe il cuore. Va bene, non ti sforzare a parlare. Vieni, avviciniamoci alla fontana; almeno è illuminata dal lampione. Consolati, pensando ai gladiatori che ci si lavarono dentro, dopo aver combattuto nell’Arena Flavia. Ma tu non sei un gladiatore. O forse sì? Però, uno dei nostri giorni; di questi anni settanta.
Quelli lì ti hanno pestato, al bar di Campo de’Fiori, davanti alla statua di Giordano Bruno. Be’, sei uno sbirro. Che ti aspettavi da loro? Che ti facesserro la festa? Sì, te l’hanno fatta a modo loro. Eh...? Hanno chiuso la saracinesca del bar; Mella è spuntato fuori dal retrobottega, con la faccia tipica di un mastino napoletano. Teneva una bottiglia di birra in mano. E certo che quei due che ti stavano dietro ti sono saltati addosso! E lui ha potuto rompere la Peroni sulla tua testa cocciuta, eh? Sì, perché tu ce l’hai sempre avuta dura, la testa, come un vero abruzzese. Anche il giorno prima che ti trasferissero nella Capitale. Avevi avuto la spavalderia di dire a tua madre: Mamma, vedrai che a Roma me la cavo. Come sempre...
Noi due ci eravamo incontrati sei mesi fa a Piazza Farnese. Ti ricordi? Io ero seduto sullo scalino di travertino, annesso al portone del vecchio palazzo, accanto all’edicola dei giornali. Qui la mia comitiva si riuniva ogni pomeriggio, ogni sera e spesso anche la notte. Difronte a me gli spruzzi d’acqua facevano traboccare l’antica vasca romana, incorporata nella fontana barocca; gli stridii acuti delle rondini trapuntavano lo sciacquio millenario, e il rombo di una macchina di passaggio non riusciva a soffocarli; la luce rosa del crepuscolo ornava il Palazzo Farnese, come una cornice divina.
Le urla dei ragazzini che rincorrevano un pallone, mi fecero cambiare la direzione dello sguardo. Tu, uomo giovane, robusto, con un pantalone jeans e una maglietta bianca addosso, tirasti un calcio al pallone, rispedendolo, insieme ai calciatori, dall’altra parte della piazza. Poi i tuoi occhi incontrarono i miei. I tuoi capelli pettinati all’indietro, le sopracciglia folte, gli occhi grandi e la barba incolta erano di color nero. Il viso era pallido. Il naso un po’ schiacciato, come quello di un pugile. Rallentando il passo e con aria investigativa ti avvicinasti a me. ‘’ Ce li hai i documenti?’’
’’No...!’’ ti risposi con paura.
’’Ah, bene...’’ aggiungesti tu, parandoti di fronte, oscurandomi del tutto. ‘’Lo sai che ti devo portare al comando?’’
‘’Eh...? Ma che sei uno sbirro?’’ ti domandai, tentando di non sembrare nervoso.
Ti mettesti a ridere, la tua risata rimbombava, con tutti i denti in mostra. Poi ti accomodasti sul gradino, vicino a me. ‘’Mi chiamo Antonio!’’
‘’Ah... piacere, Giovanni! Ma sei davvero uno di quelli...?’’
‘’E’ sì!’’ e spostasti lo sguardo dall’altra parte. Scorrevano due motorini, girando intorno alla fontana. ‘’Sono stato assegnato a questo quartiere, da qualche giorno.’’
‘’Ah, allora benvenuto nella fossa dei leoni!’’ aggiunsi io, alzando un pò’ la voce per farmi sentire: i motorini ci stavano passando davanti e coloro che li guidavano erano i leoni feroci.
‘’Li conosci ...?’’ mi chiedesti tu con aria seria.
‘’E chi non li conosce a Campo de’ Fiori?’’ risposi io, quasi sussurrando. Speravo che tu non mi sentissi.
‘’Quel ciccione è di certo il capo, eh?’’ mi domandasti tu, indicandomi con la mano destra Mella: ci avevi azzeccato, il boss di Campo de’Fiori sedeva comodamente sul primo motorino, facendo strusciare i cerchioni sui sanpietrini.
‘’Be’, ora devo andare...’’ esclamai, e feci per alzarmi.
‘’Aspetta!’’ E la tua mano scese a bloccarmi la gamba. ‘’Non avrai mica paura...?’’
‘’Be’, chi non ce l’ha nel quartiere?’’
‘’Io, per esempio!’’ affermasti tu, con una sicurezza che non poteva essere autentica.
‘Mah... ti voglio rammentare che sei a Roma e soprattutto a Campo de’Fiori...’’ aggiunsi io, tenendo d’occhio i giri dei motorini, rumorosi e veloci.
‘’Aspetta e guarda...’’ Ti alzasti di scatto e sollevasti la maglietta. Avevi la pistola d’ordinanza infilata nei jeans. Cominciai a sudare freddo. Per istinto indirizzai lo sguardo verso i motorini che ci stavano ripassando davanti. Tu, fermo come un gladiatore nell’Arena. Loro, come leoni impauriti, accelerarono e sparirono per via Monserrato.
Da quel pomeriggio i miei rapporti col quartiere cambiarono. Un’ansia incombente prese a perseguitarmi. Ogni volta che mi avvicinavo a quell’angolo di Piazza Farnese, cominciavo ad ansimare, il cuore mi batteva sempre più veloce e i miei occhi azzurri erano spauriti mentre ti cercavano. Sì, Antonio, avevo paura di rincontrarti. Il tuo modo di fare, spavaldo; la tua figura in un certo modo straniera, in quel quartiere romano; la tua professione di tutore dell’ordine- ma di un altro ordine, diverso da quello che regnava a Campo de’Fiori- avevano provocato in me un senso di ripulsa per lo sbirro che eri. Ormai convivevo con la gente del quartiere, e la gente erano anche i malviventi sui motorini. Certo, sia io che i miei coetanei, sapevamo che erano loro a farla da padroni. Neanche i tuoi colleghi erano riusciti a impedire gli atti di criminalità. Quindi, noi ci facevamo gli affari nostri e loro i propri: scippi dei turisti; furti negli appartamenti di lusso; taglieggiamenti dei negozianti; ricettazione e spaccio della droga. Gestivano tutto loro. A capo della banda c’era Mella: un uomo di mezza età, grande e grosso, avvolto dalla ciccia, con una moglie e due figli, uno peggio dell’altro. Una faccia da mastino napoletano incuteva rispetto a chiunque gli si avvicinasse. Io, per pura coincidenza, avevo fatto le scuole medie col figlio maggiore, grosso e brutto come il padre. Promosso a pieni voti: insegnanti e alunni avevano avuto paura delle rappresaglie.
Qualche mese dopo il diploma, incontrai Mella davanti al bar all’angolo di Campo de’Fiori e via dei Baullari. Era in compagnia del figlio diplomato, ma di qualche anno più vecchio di me. Erano seduti a un tavolino e si godevano il sole di Agosto, sorseggiando due birre alla spina. Mi obbligarono a fargli compagnia. Mi feci portare una coca-cola. In silenzio ascoltai la loro conversazione. Avevano nelle mani una partita di droga leggera, proveniente dalla Colombia, e volevano venderla nel quartiere. Dovevano disfarsene al più presto. Prima che i tuoi colleghi, Antonio, ne venissero a conoscenza. Il figlio di Mella avrebbe dovuto occuparsene. Lo fece, ma non come avrebbe dovuto.
Due giorni dopo ci fu un blitz dei tuoi, Antonio, in tutto il quartiere. Lui riuscì a fuggire. Al suo posto, i tuoi colleghi, presero me.
Ritornavo a casa per la cena. Camminavo al buio per via Monserrato. Un passante s’infilava in un portone e un altro in un’osteria all’angolo di Piazza Farnese. Improvvisamente, un botto secco di uno sparo echeggiò per la via. Un lampo mi passò sopra la testa. Fermo, fermo! furono le grida di uno sbirro dietro le mie spalle. Poi due mani mi spinsero in avanti. Mi ritrovai col mento sui sanpietrini e con le mani ammanettate dietro la schiena. Ora mi ricordo solo della mezza luna, circondata di stelle, in alto nel cielo scuro della sera. Riaprii gli occhi in una stanza illuminata al neon, vuota e pitturata di bianco. Mi risvegliai, ammanettato a una sedia di legno, da un incubo: che proseguì per ore e ore in quel luogo ambiguo.
Sei libero... te ne puoi andare! furono le ultime parole di un tuo collega, Antonio, prima di togliermi le manette. Uscito nel corridoio, mi trovai davanti a una porta aperta. Riconobbi uno spacciatore della banda di Mella: a mani libere, sorseggiava una tazzina di caffè. Poi sentii una risata amichevole di colui che lo stava interrogando. ‘’Quanti chili?’’
‘’Solo un paio...’’
‘’Be’, a noi il settanta e a voi il resto!’’
‘’Eh...?’’
‘’Altrimenti, Regina Coeli... ah, ah, ah...’’
‘’Va be’! Ma a Mella glielo dite voi?’’
‘’No! Sarai tu a dirglielo...’’
‘’Uhm...ci proverò. Ma se si arrabbia, sono affari vostri!’’
‘’I suoi e anche i tuoi!’’
‘’E dove li volete i soldi... qui al comando?’’
‘’No! Uno di noi verrà a prenderli al bar di Campo de’ Fiori!’’
‘’Uhm, speriamo bene...’’
‘’Siamo d’accordo!’’
Dopo avermi trattato come uno spacciatore, i tuoi, Antonio, finalmente si resero conto di aver preso la persona sbagliata. Da quel giorno nacque la mia diffidenza in quelli come te. I pugni presi in faccia e i calci nel sedere mi fanno ancora male, sai? Comunque, il giorno dopo ero seduto sullo stesso scalino di travertino a Piazza Farnese. Mella e il figlio giravano per il quartiere sui motorini, come se nulla fosse successo. Pensai che erano riusciti a vendere la partita di droga e a spartirsi il bottino con i tuoi colleghi. Prendendo me, i tuoi pensarono di aver sgominato la banda?
Ma tu eri giovane, Antonio. Arrivasti da un paesino dell’Abruzzo. Con pochi anni di servizio. Ti fu assegnato il compito di sgominare la banda di Mella. Nessuno, prima di te, era riuscito a dargli fastidio. Non fui il solo a essere stato fermato per sbaglio in una retata. Mella e il figlio, indisturbati, si godevano il sole romano a un tavolino del bar di Campo de’Fiori. Tua madre ti aveva avvertito. Tu firmasti lo stesso il trasferimento a Roma. Eri diventato uno schiavo dello Stato, costretto a fare il gladiatore nell’Arena del Teatro di Pompeo.
Ti ricordi dell’altro giorno, quando arrivasti come una furia, per sedare una battaglia a base di uova fresche? Da una parte i drogati; dall’altra loro, gli spacciatori. Mella in prima fila a sghignazzare. Il figlio lanciava a intermittenza le uova sulle teste dei suoi clienti, raggruppati come sempre sotto la statua di Giordano Bruno.
Io ti stavo osservando, da un lato della piazza. Come un fratello minore, di bassa statura, magrolino, un volto da adolescente con i brufoli sul mento, i capelli biondi, lunghi e gli occhi azzurri. Ansioso di assistere alle imprese eroiche del maggiore.
Avevi la pistola stretta nella mano destra. Ti mettesti in mezzo a quel volare di uova fresche, senza che nessuna ti colpisse. Lo sguardo di Mella invece ti centrò in pieno, con odio e desiderio di vendetta. Bastarono due colpi secchi, fuoriusciti dalla tua pistola e sparati in aria, a far terminare la battaglia. Tuttavia una nuova ti stava aspettando, Antonio, e non certo a base di uova fresche.
‘’Ehi, Giovanni!’’ Era la tua voce, mi avevi riconosciuto tra le decine di curiosi che si erano radunati sulla piazza.
‘’Ciao, Antonio! Ci mancava poco e diventavi una frittata...’’
‘’Sì, e poi a farmi cuocere in padella da quello lì...’’ Ridevi sarcastico, senza paura, indicandomi con la pistola Mella che si allontanava, seguito dal figlio e dal resto della banda.
‘’Lui non vede l’ora... Antonio!’’
‘’Ah, certo! Ma, molto presto, le uova in padella se le cucinerà da solo: in una cella di Regina Coeli!’’
‘’Uhm... lo spero per te!’’
‘’Giovanni! Lo sai che sono un gladiatore venuto a combattere i leoni nell’Arena?’’
Fino a questa sera, Antonio, non è successo nulla nel quartiere. Come la calma prima della tempesta. Campo de’Fiori mi è sembrata una piazza civile, in una città che lo è da millenni. Il mercato si è affollato di gente locale e di turisti. Si sono aggirati intorno alle bancarelle profumate di spezie, verdure e pesce fresco. Qualcuno si è seduto sulla statua di Giordano Bruno, per provare sulla pelle bianca il sole estivo. Anche in quel maledetto bar dell’angolo, tutto era tranquillo, come si addice a un luogo rinomato. Agli occhi del turista, la piazza è simbolo di storia e civiltà. Però, se ora ci fosse uno straniero a vederti, si renderebbe conto dell’altra faccia della città eterna. L’immagine della tua, Antonio, livida e insanguinata, gli rimarrebbe impressa sino al ritorno nella sua città. Per me, in questo momento, più civile di Roma.
‘’Ahi... che male!’’ balbetti tu, mentre ti asciughi il sangue dalle labbra col fazzoletto bagnato.
‘’Non parlare, Antonio, che ti fa male! Devo cercare un telefono...?’’
‘’No, Giovanni!’’ mi rispondi, appoggiandoti al marmo della fontana. ‘’Ci sono cascato...’’
‘’Eh?’’
‘’Sì...Giovanni... mi hanno fatto credere di essere un infiltrato...’’
‘’ Vuoi dire che i tuoi hanno organizzato tutto...? Allora, si sono messi d’accordo con Mella!’’
‘’Sì... sono andati a patti con loro... Giovanni.’’
‘’Ah... ora ho capito perché al comando si gustavano il caffè insieme agli spacciatori...’’
‘’Eh... se l’avessi saputo prima, non sarei finito così conciato...’’
‘’Antonio, i tuoi sono corrotti! Che cosa farai adesso...?’’
‘’Io... nulla! Saranno loro a darmi il trasferimento...’’
‘’Mah... non si posso lasciare impuniti!’’
Tu non mi rispondi. Continui a camminare, barcollando. Raggiungi il vicolo dei Cappellari, dove abita Mella. Poi sparisci ai miei occhi.

Che cosa accadrà domani? Io mi siederò, come sempre, sul gradino di travertino a Piazza Farnese. Deluso dal mio gladiatore. Antonio, avresti dovuto vincere l’illegalità degli uni e degli altri e riportare la legge nel mio quartiere e poi nella città. Domani sarai ripartito per il lontano Abruzzo, con l’unica consolazione di poter riabbracciare tua madre. Io, invece, resterò in piazza a godermi le ronde sui motorini della banda di Mella. Aspetterò l’arrivo del prossimo gladiatore? Riuscirà a battere i leoni feroci?
Oggi fa caldo a Roma. Alle sei del pomeriggio, l’unico refrigerio lo trovo accanto alla fontana di Piazza Farnese. Seduto sullo scalino di travertino mi godo l’ombra. In piazza non c’è quasi nessuno. I soliti ragazzini che corrono dietro al pallone e... Antonio? Ma non eri partito? Tutto incerottato, zoppicante, ma dove stai andando? Eh...? Il motorino di Mella ti si ferma accanto. Oh... ti picchierà di nuovo? Ma che: ti consegna una busta. Te la metti nella tasca dei jeans. Mella dà il gas e il motorino riparte in direzione di via Monserrato. Antonio, ti guardi intorno; ti dirigi dall’altra parte della piazza. Ma lì c’è il comando! Sparisci nel portone... non è stato un miraggio.
Antonio, ti sei inventato tutto! Ieri sera avevi messo in scena il pestaggio, insieme a Mella. E certo: se gli hai preso la busta dalle mani. Non può essere che così. Mi hai fatto credere di essere quel gladiatore che avrebbe riportato la legalità a Campo de’Fiori. Invece anche tu facevi parte del gioco. Antonio, sei uno sbirro corrotto e non il mio eroico gladiatore!

 
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MISTER NOBODY
view post Posted on 7/9/2011, 14:30




Davvero un bel racconto, avvincente scritto benissimo, ma l'ultima frase non mi ha convinto per niente, un po' troppo candida per un tipo di racconto del genere, fossi in te la modificherei.
Poi non ho compreso bene il passaggio della messa in scena del pestaggio, cioè:
Antonio si era convinto a collaborare per via del pestaggio o era già da tempo daccordo con la banda?
E, se è vera la seconda, che centrava il pestaggio?
Era perchè i "tutori della legge" avevano voluto il 70% dei profitti anzichè accontentarsi di una fetta minore?

Qualche perplessità di natura tecnica:
CITAZIONE
‘’Ah... ora ho capito perché al comando si gustavano il caffè insieme agli spacciatori...’’

Non sono di Roma, ma "gustare il caffè", specialmente nel linguaggio colloquiale, non l'ho ma sentito; sa di finto... poi boh.
CITAZIONE
‘’Mah... non si posso lasciare impuniti!’’

Hai aggiunto un'"H" in più che non serviva.
 
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cientje
view post Posted on 7/9/2011, 16:11




Sai mister, c'è un po' di autobiografico in questo racconto. Infatti all'epoca, e parlo metà anni settanta, la mala romana era molto rozza, astuta e violenta, Antonio in verità era un mero sbirro e il suo stipendio era minimo e il pestaggio avvenne veramente e non fu teatro... Però non era corrottto come l'ho fatto diventare io: per arrotondare il protagonista della storia si mette a fare il doppio gioco, ... il pestaggio è una messa in scena del Mella, per far credere agli sbirri che Antonio non è complice della banda. ( Vedendolo così pesto i colleghi sbirri non avrebbero sospettato che fosse in combutta con i malviventi...)

Per il resto hai ragione tu... e mi fa piacere che ti sia piaciuto!

Edited by cientje - 7/9/2011, 17:44
 
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2 replies since 6/9/2011, 17:40   53 views
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