Ho scritto questo racconto insieme alla mia amica Erika Bissoli. Più precisamente, lei ha scritto la bozza di una storia e mi ha chiesto di svilupparla a modo mio allo scopo di confrontare le nostre versioni.
Per sua gentile concessione, posto la mia versione.
Una doccia. Una catartica e salvifica doccia. Che altro posso fare per rimettermi in sesto prima che lui torni?
L’acqua però non sembra lenire il dolore. Anzi, mi soffoca.
Sarebbe stato meglio non averla trovata quella lettera. Il coraggio di dirmi che mi lascia per lei non l’ha avuto ancora e almeno avrei vissuto quest’ultima settimana beata nell’ignoranza. E ogni giorno che passa è sempre peggio.
Cazzo, come mi bolle la fronte!
Ah, che sollievo! Vorrei che il mio cuore fosse solido e fresco come queste piastrelle. E ’ste gocce, sono acqua o lacrime? Che importa. Si mischino e scivolino via nel sifone, portandosi appresso pure la tristezza.
Starà tornando. Come lo affronto? Non posso lasciargli intuire i miei reali sentimenti.
Chissà se me lo dirà a voce o per lettera. Non ci credo che sparisca e basta. Forse una lettera dovrei scriverla io a lui.
Dio, dammi la forza.
Come ha potuto lasciare che quella stronza si mettesse tra noi.
Sì, devo dirglielo che lo so, altrimenti sarò complice del suo inganno e non…
“Ehilà!”
Cazzo, come ho fatto a non sentirlo arrivare. E adesso?
“Wow, sei così sexy in questa posizione!”
Se mi giro adesso, capirà subito che lo so. Se mi giro vedrò i suoi occhi azzurri e la paura di perdere quel corpo virile e glabro mi torturerà di più.
“Mi fai morire quando fai così!”
“Non sto facendo niente.”
Speriamo sia riuscita a mantenere un tono sereno.
“Infatti! È proprio questo tuo far niente che mi fa ingrifare.”
Mmmmm, ci siamo. Oddio! Quanto mi piace sentire i suoi muscoli sulla mia pelle, sentirmi abbracciare da dietro. Adoro le sue dita percorrermi i fianchi, come mi liscia il ventre, il tatuaggio tribale danzare sulle nervature in bassorilievo del suo braccio.
No, non posso resistere oltre.
“Sei splendida!” mi dice, paralizzandomi con quel meraviglioso azzurro che rende irresistibile il suo sguardo.
L’acqua gli scorre sulle guance ruvide fino all’addome scolpito. E giù. È così vicino. È con me. Gambe, non venite meno proprio adesso! Vorrei dire qualcosa, ma appena muovo le labbra già so che mi zittirà con dolcezza, proprio come piace a me. Lento come non dovesse finire mai. Lo sa che mi piace.
Ora provo… Ecco, lo sapevo.
Come mai, nonostante tutto, adesso sono improvvisamente felice? Lo so, è il suo tocco, il modo in cui muove le mani sul mio corpo che ha neutralizzato la mia amarezza.
Che fa ora? No, bagneremo per terra.
“Chiudi almeno la doccia.”
“Ma chi se ne frega della doccia!” esclama tutto eccitato, prendendomi in braccio.
Leggera e spensierata. Che bello sarebbe potersi sentire sempre così, sollevata da quel deprimente senso d’impotenza. Passare così anche le porte della vita, come stessi fluttuando nel vento! Sì, è lui il mio angelo.
Lo so dove mi sta portando. Del resto dove altro potrebbe depositare il mio corpo nudo e bagnato per rubarne forse l’ultimo piacere. Forse? Ma chi prendo in giro. Lo so che sarà l’ultimo. Quando mai ha parlato di ciò che mi ferisce. Ha sempre fatto così, perché ora dovrebbe cambiare?
Mi desse almeno una ragione per oppormi, così potremmo iniziare a discutere e magari verrebbe fuori. Sì, verrei io incontro al suo “orgoglio”. Comincerei io. Il suo sorriso però è più forte di quel silenzio vigliacco. È come avesse cancellato ciò che era scritto su quella maledetta lettera.
“Le lenzuola,” provo timidamente a innescare un dialogo fatto di parole, “le bagneremo tutte.”
Avanti, parla! No, non ammiccare con quell’espressione da affettuoso satiro.
Massì, dopotutto sta andando via. Sarà l’ultima volta. La sento la morsa di paura e presagio che mi stringe il cuore.
Ma perché deve essere così? Perché? Perché?
“Perché piangi?”
Non è vero. Non sto piangendo. Non voglio piangere. Non devo.
Si muove. Sarà mattina. Non lo voglio veder andar via.
Che starà facendo ora? Si starà vestendo. Sarà già pronto per uscire?
Cacchio, perché si è riseduto sul letto?
“Ehi.”
Devo fingere! Era meglio non me l’avesse detto. Non voglio vederlo uscire dalla mia vita.
“So che sei sveglia.”
Coraggio, vattene. Ti prego, non farmi piangere un’altra volta.
Un bacio. Un arrivederci.
È andato.
Quant’è oggi? Domani finisce gennaio… Già sette mesi che è partito.
Ancora un po’ e la vasca sarà piena. Forse dovrei tirarmi un po’ su, altrimenti l’acqua mi arriverà alla bocca. Ma poi, anche mi entrasse nelle narici? Ormai non sento più niente. Lacrime, urla, sorrisi: ricordi evirati da tempo. Le mie emozioni si sono spente del tutto da quando non c’è più.
Quella notte. La mia ultima notte con lui. La doccia. Già, la doccia! E ora la vasca.
Oh, l’acqua si è già tinta di rosso. Chissà quanto durerà ancora. Non pensavo ci volesse tanto.
Sempre lei, il messaggero più infausto e crudele. La televisione.
“Ucciso in un attentato in Afghanistan il Caporal Maggiore Luca Vicente…”
Il resto si è perso. Quelle poche parole seguitano a ripetersi all’infinito.
Sono così stanca.
Almeno sua madre ha potuto piangerlo. Dove sono finite le mie lacrime? Le avrò versate tutte quando mi confessò che avevano accettato la sua domanda.
Dio, come mi manca naufragare nel mare dei suoi occhi. Voglio ancora i suoi baci, ma quella stronza guerra me l’ha portato via. Ancora non ci credo che la trovava più affascinante di me.
Fammi vedere. Dai, e sollevalo ’sto braccio! Il sangue ha quasi smesso di uscire.
Sento qualcosa. Sì, la sento. È lei, Felicità.
Finalmente sorrido.
Amore, sto arrivando.
Di seguito aggiungo la bozza originale di Erika da cui ho tratto la mia versione.
NOTIZIE DAL FRONTE
L’acqua della doccia non sembra lenire il mio dolore, e non mi riscalda. Ho trovato quel biglietto nella tasca dei suoi pantaloni.
Mi lascerà. Lo so. Lo sento.
Appoggio la fronte alle mattonelle del bagno.
Sono a pezzi.
E lui sta tornando.
Non posso fargli capire i miei sentimenti.
Non posso lasciare che lui comprenda.
Lei è sempre tra noi.
Lei non lo lascia mai.
Sento la porta del bagno aprirsi, lui non parla. Credo che abbia già capito. Ho lasciato il biglietto sul letto.
Si spoglia e apre la porta della doccia, ed entra anche lui.
Non posso lasciare che mi tocchi: quando lui lo fa, tutto il mondo si ferma, e io perdo ogni parte di lucidità.
Abbasso lo sguardo per non incontrare i suoi occhi azzurri, che sono azzurri come il cielo della primavera.
Un nuovo errore.
Il suo torace muscoloso e virile mi sfiora e io non so già più se riuscirò a controllarmi.
Lascio vagare lo sguardo sulla sua spalla sinistra, dove il tatuaggio tribale parte per perdersi nell’incavo del gomito.
Altro errore.
Il suo respiro mi solletica le labbra. Non mi sono nemmeno resa conto che si è chinato.
Apro la bocca per dire qualcosa e lui mi posa un dito sulla bocca, zittendomi.
E poi mi bacia.
È dolce e gentile, proprio come sa che mi piace.
Lento come se non dovesse finire mai.
Le mani leggere non esitano, mi toccano, mi fanno dimenticare perché sono così.
Disperata.
Siamo bagnati fradici ma lui mi porta nel nostro letto, e riprende ad accarezzarmi.
Bagnamo le lenzuola.
E a chi importa.
Lui sta andando via.
Mi sento come se fosse l’ultima volta. Perché credo che sia l’ultima volta. Lo so. Lo sento dentro il mio cuore, stretto in una morsa.
- Non piangere.
La sua voce è bassa, carica di sentimento.
Io non sto piangendo. Non voglio piangere. Non voglio.
È l’alba quando lo sento muoversi, vestirsi, prepararsi per uscire.
Si è accorto che sono sveglia e torna verso di me, mi siede accanto e mi sorride.
- Torno presto.
Poi un altro bacio. Un ultimo arrivederci, e poi lui sparisce.
Sono passati sette mesi quasi, dall’ultima volta che ci siamo visti, prima che lui partisse.
Sono in bagno, immersa fino alla bocca nell’acqua calda. E’ inverno pieno.
Non riesco a piangere, non riesco a ridere. Le mie emozioni si sono spente da quando lui non c’è più.
La mia mente torna in continuazione a quella notte: l’ultima notte con lui.
L’acqua della vasca è tinta di rosso.
Non so quando durerà ancora.
Il dolore è scomparso.
Non sento più niente.
L’ho saputo dalla televisione... “Ucciso in un attentato in Afganistan il Caporal Maggiore Luca Vicente...”.
Il resto si è perso. Quelle poche parole continuavano a ripetersi all’infinito.
Sono così stanca.
La mamma di Luca è venuta subito, quella sera. Era distrutta. Piangeva.
Io non riesco più a piangere.
Voglio solo ritrovare Luca. Guardare i suoi occhi. Baciare la sua bocca.
Ma lei me lo ha portato via.
Sollevo la mano, mi guardo il polso. Le gocce di sangue escono lente e inesorabili dalle ferite.
E finalmente sorrido, sentendo le forze abbandonarmi.
Luca sto arrivando.