Non ammazzare i cani per l'aia

« Older   Newer »
  Share  
Giovanni Pili
view post Posted on 25/3/2011, 19:55




1



Mamma gallina setacciava il terreno col suo becco paglierino. Ingoiò tutto per poi rigurgitarlo in bocca ai suoi piccoli, il liquido caldo e denso passava dalla sua gola a quella dei piccoli, i quali conoscevano già per istinto quella pratica, allo stesso modo in cui un cucciolo d’uomo è attratto dal capezzolo, nell’intento di distruggere il quale, ottiene l’appagante trasferimento del caldo latte materno. L’ultima settimana erano saltati fuori dal guscio in dieci. Presto sarebbero finiti in un contenitore apposito, una grossa scatola di cartone. Le generazioni passate vedevano la luce per poco, subito venivano trasferiti la dentro. Ora il padrone decise di far passare un certo periodo prima di allontanarli dalla madre, l’ultima volta ne perì la metà. Successe infatti che dovette disertare per alcuni giorni il pollaio, per cause di forza maggiore, così i piccoli batuffoli gialli e bianchi dovettero nutrirsi tra loro. Un essere umano, se dovesse capitare che un oggetto contundente, come un becco famelico, laceri le sue cornea, non sentirebbe dolore, il problema è quando questo becco comincia a tirare, strappando a morsi il nervo ottico. Il dolore dovrebbe essere simile a quello che si prova quando viene strappato via un molare. Ecco, questo è proprio quello che un pulcino dovrebbe provare in tutto il corpo quando il padrone del pollaio si assenta un paio di giorni e i suoi fratelli più grandi decidono che lui fungerà da cena. Se i pulcini potessero avere una cultura e informarsi, saprebbero che gli astici urlano come matti quando vengono messi a bollire vivi nei ristoranti di mezzo mondo. Succede anche ai gatti in Cina, ma non si dice, perché sono obiettivamente buoni. Chi ama la cucina etnica lo sa; purché non venga mai a sapere cosa c’era davvero negli involtini primavera.

Un giorno i cani del padrone riuscirono a trovare una scorciatoia, per uscire dalla gabbia dove erano solitamente rinchiusi, il terreno era dolce e friabile, e scava che ti scava, riuscirono a farsi una confortevole buca per aggirare le sbarre. Per mamma gallina sarebbe stata l’ultima volta che rigurgitava in bocca ai suoi piccini. Ma le due fiere non si limitarono alla madre, seminando scompiglio in tutto il pollaio; chi veniva sgozzato, chi si ritrovava le viscere all’aria, poi non paghi di tutto questo, passarono ai piccoli orfani. Nemmeno i fratricidi della grande scatola ebbero salva la vita. Tutto attorno era sangue e disperazione.
Arrivò finalmente il padrone. Il vecchio Oreste scese dal Pandino celeste, e dal cofano tirò fuori gli attrezzi del mestiere, si avviò fischiettando un motivetto imparato in una pubblicità televisiva, recava in braccio un sacco di sementi per i suoi polli e in spalla il piccone, ansioso di dare un’occhiata al suo orto.


2



Un paio di secoli fa esistevano gli harem. Esistono anche oggi, ma sono più democratici, infatti sono estesi a tutti. Il nome è cambiato, oggi si preferisce usare il termine agenzia interinale, non vi sono soltanto donne, perché adesso c’è la parità dei sessi: il sultano la da in culo un po’ a tutti. A guardia dell’harem erano posti gli eunuchi, degli uomini a cui erano state esportate le gonadi. Questo è quello che capita tutt’oggi a milioni di capre, montoni, ecc. Giovani animali di bestiame destinati al macello.

Vittorio e Marcello posizionarono il capretto-eunuco sul tavolo in marmo assicurando il collo con un laccio fissato alla parete, con pazienza Marcello provvide a tenere le zampe anteriori legate assieme, Vittorio fece altrettanto con quelle posteriori. Bene, l’operazione Pasqua 2011 poté cominciare. Fino a quel momento il capretto rispondeva bene agli stimoli, leccava la mano di Marcello amorevolmente, e si lasciava accarezzare come di consueto. Poi cominciò a rendersi conto che c’era qualcosa che non andava, a parte le sue palle, non aveva mai avuto motivo di dubitare di chi lo nutriva, senza mai chiedere niente in cambio.
Vittorio estrasse il coltello. Un bel pezzo: coltello serra-manico con manico in corno di muflone. Una rarità, faceva sempre la sua porca figura quando durante i pasti lo si piazzava di punta sul tavolo. Con gesto rapido ed esperto la lama penetrò la giugulare dell’animale. Marcello aveva appoggiato sotto, poco prima, un secchio dove ora il sangue scorreva copioso. Dovettero tenerlo immobile per le zampe, poi si assopì, ma gli occhi roteavano ancora nervosamente, come non volesse accettare l’idea di battere le cuoia. La carne di capra, come tutti gli altri animali, non è buona senza provvedere prima al dissanguamento, fatta eccezione, forse, per gli animali dalla carne rossa, come il vitello.

“Chiedimi come stanno i cani del vecchio Oreste,” disse Vittorio, mentre apriva il ventre del capretto.
“Non è che ci perda la notte, ma sono simpaticissimi, non stanno mai fermi … “
“Dai chiedimi dei cani del vecchio.”
Marcello allentò la presa sulle corna dell’animale, che non accennava a muoversi: “Come stanno i cani del vecchio Oreste?” Chiese cantilenando.
“Morti stecchiti.”
“Eh, mi dispiace, Com’è …?” il capretto con uno scatto si rimise in piedi, le viscere a penzoloni, accennando un ultimo belato, “diocane!” esclamò Marcello.

Il capretto cadde stecchito.

“Poco male,” disse Vittorio, “ormai il più è fatto.” Così dicendo fece un taglio poco sopra uno zoccolo dell’animale e nel buco vi infilò con forza un tubo.
“Scusa, com’è che sono morti?” Marcello fissò il tubo ad un mantice e iniziò a pompare aria sotto la pelle del capretto, che in questo modo prese a staccarsi con facilità dalle carni. Sbuffi di aria e sangue, dal rumore simili a scorreggie, partivano attorno alla parte lacerata del ventre. Vittorio intanto cominciò a srotolare le viscere in una bacinella. Non poté così evitare gli schizzi di sangue emessi dalla pancia, seguendo il ritmo del mantice, colorando così la fronte e le guance.
“Da non credere,” disse Vittorio scuotendo la testa, “il povero Oreste me lo ha raccontato tutto il giorno ieri. Pare che quei matti siano riusciti a scappare dalla gabbia. Hanno scavato un fosso con le zampe, sai.”
“Che bastardi.”
“Già, e puoi immaginare che casino hanno fatto. Quelli non lo sanno. Voglio dire … vanno per istinto, no? Vedono tutti quei polli e galline … gli sarà sembrato il paradiso terrestre.” Vittorio maneggiava le interiora della bacinella spurgandole della sostanza verdastra al loro interno, il procedimento è analogo a quello che si usa per il tubetto del dentifricio, solo che in questo caso si tratta di un tubo viscido e lungo qualche metro. “Invece è stato l’inferno, tutto un casino, è sopravvissuto solo un coniglio che Oreste teneva nella gabbia. Nemmeno i pulcini hanno risparmiato.”
Marcello rise: “come l’ha presa?”
Vittorio smise di lavorare e lo fissò con uno sguardo che valeva mille parole.
“No dai, non dirmi che ha ammazzato i cani … balordo!”
“Cazzo devono essergli scesi i coglioni di brutto,” commentò Vittorio. “Li ha ammazzati a picconate, il primo è morto subito, l’ha beccato bene, in mezzo agli occhi; il secondo invece deve aver sofferto parecchio.”
“Poverini, io me li immagino, che gli vanno in contro in festa, pensando fosse un gioco, magari gli hanno dato pure la zampa.”
“Ma sai come ragiona il vecchio, no? Quello ieri mi ha raccontato che lui ai cani glielo aveva detto … si proprio così, glielo disse, di lasciare stare le sue galline, altrimenti gliela faceva pagare. No, dico, ti rendi conto?”
Marcello rise con forza: “fuori di testa! Manco fosse in un film di Al Pacino.”
“Si, Tony Montana col piccone.”

Ormai il capretto era una partita di carne, lo appesero con un gancio alla bilancia e Marcello pagò il dovuto. Con quel che rimaneva delle interiora ci potevano fare tante cose, tra queste anche una pietanza prelibata; la treccia, ricavata anche con altre interiora, che se cotta bene, con piselli e patate è uno dei piatti più squisiti. La morte sua.


3



Il vecchio Oreste non aveva perso la voglia di ridere, nonostante tutto, non perse il piacere di una tazza di buon vino in compagnia degli amici. Sedevano tutti attorno al tavolo alla fioca luce della sera, che penetrava dalla veranda poco distante.

“La vita è sempre più difficile da queste parti Marcello,” disse Oreste, “quei cazzo di rumeni domani levano le tende, il negozio è fallito. Dicono che quel capannone è fuori mano. Niente più affitto, niente più entrate, e adesso non ci si può fidare nemmeno di chi ti sta vicino da una vita.”

La coda di paglia è un sentimento che prescinde dall’essere rei di qualcosa, si tratta piuttosto di un sentimento di colpa ancestrale, roba della prima infanzia, o cose di questo tipo.

“Perché mi guardi così Oreste? Cosa è successo che non so?”
“Siamo vagamente nella merda,” disse Vittorio, cercando con lo sguardo l’intesa di Oreste, “vedi, l’altro giorno ci siamo trovati la polizia, inizialmente pensavamo fossero cagate dei rumeni, invece …”
“Invece stavano facendo buche nel mio cazzo di pollaio, e non hanno risparmiato manco l’orto gli sbirri,” Oreste fece pausa finendo il suo vino, “ma io non sono un coglione Marcello,” sorrise guardando il fondo vuoto del bicchiere, “quelle bestiacce le ho fatte sparire, non mi metto certo a sotterrarle lì, ti pare?”
“Qualcuno ha fatto l’uccellino, e perché dovrei essere stato io?”
“La prima gallina che canta è quella che ha fatto l’uovo,” disse Oreste ghignando.
Marcello si alzò in piedi: “no, questa è una stronzata, non la tollero. Sei come un padre per me. Sono anni che ci conosciamo. Perché dovevo fare una stronzata del genere?”
“Non lo so, quando si comincia ad essere sotto osservazione, quando la polizia comincia a entrarti in casa per le solite perquisizioni del cazzo … si perde un po’ la testa. Tu poi ti sei messo a vendere quella merda.”
“Vabbé adesso non cominciamo,” disse Vittorio, “Marcello ha sempre pagato la sua quota alla cooperativa.”
“Chiudi quella fogna quando parlo io,” gelo. “La cooperativa è una famiglia Marcello, la famiglia è tutto. Chi fa la carogna, finisce come i miei cani.”
“Senti, vuoi che ti dimostri la mia fedeltà? Dopo tutti questi anni, devo ancora dimostrare …”
“Gli anni passano, si invecchia, e il cervello comincia a fare brutti scherzi.”
Marcello finì il suo vino d’un fiato: “Dai usciamo di qui, troviamo un cazzo di randagio, te lo ammazzo a picconate pure io. Se ho parlato, come minimo l’ultima cosa che farei è mettermi a fare la stessa cosa davanti a te e a Vittorio.” Fece una pausa, per prendere fiato, come se tutto il resto del discorso venisse dall’etere, poi concluse: “quel randagio che gira nella piazzetta qui attorno, andiamo. Io non ho bisogno di vendere informazioni così stupide agli sbirri Oreste, sono stati i rumeni, perché pensano che tu li hai fregati. Ma tu sei fatto così,” Oreste rise divertito, “già sei così, le responsabilità non ti intaccano.”
“Sciacquati la bocca. Vittorio vai con lui, e poi tornate a raccontarmi.”

Doveva essere un incrocio tra un pastore tedesco e un labrador, o chissà che cosa. Vagava senza meta tra un marciapiede e l’altro, senza essere notato dai pochi passanti. Vicino, in una piccola piazzetta stavano seduti dei vecchi a godersi il fresco della sera. D’improvviso sbuca a un angolo la siluette di Marcello, piccone in spalla, seguito da Vittorio. Con lunghi passi il curioso duo si avvicinava alla bestiola ignara.
Prima vibrò un colpo alle gambe, lasciando l’animale attonito. Cercò inutilmente di fuggire via guaendo e latrando, ma era stato azzoppato. I vecchi sbalorditi si alzarono di scatto restando impotenti a guardare l’insolita scena. Dall’altra parte della strada un ragazzino aveva già acceso il cellulare. Vittorio gli corse incontro.

“Cazzo riprendi? Riprenditi questa minca stronzetto,” così dicendo gli diede uno scappellotto al collo facendolo cadere a terra. Con un secco colpo di tacco, del cellulare non rimase più niente di utilizzabile. Aprì la giacca e gli gettò addosso un paio biglietti da cinquanta euro: “va e fatti i cazzi tuoi.”

Intanto Marcello si dimenava per cercar di dare il colpo di grazia, ma il cane non voleva saperne. Alla fine, stanco e sudato gli mollò un calcio ai reni, il cane rimbalzò addosso al muretto della piazzetta, esanime. Marcello brandì il piccone sopra la testa, per poi farlo cadere precisamente sulla testa del cane, che gli schizzò addosso materia grigia mista a sangue.

“Che schifo, guarda …” disse a Vittorio indicando la sua camicia, “è da buttare.”
“Dai lascia perdere la camicia e vieni via di qui. Hai già dato abbastanza spettacolo, pazzo idiota. Lo sai che il vecchio quando beve è paranoico, mica diceva sul serio.”

Si avviarono verso casa, Marcello trascinava stancamente il piccone a terra. I vecchi della piazzetta si esaltarono, quell’episodio avrebbe alimentato e reso sensate le successive riunioni nella panchina, ad aspettare chissà più che cosa.

“Cazzo, praticamente mi ha preso per una carogna.”
“Sei solo orgoglioso … anzi, sei orgoglione: un po’ orgoglioso e un po’ …”
“Vai a cagare.”

Mamma gallina, sei stata vendicata.

Edited by Giovanni Pili - 25/3/2011, 21:00
 
Top
MisticOccidentale
view post Posted on 3/4/2011, 22:22




Ho letto i primi due attentamenti e l'ultima parte proprio non ce l'ho fatta. Nella parte iniziale trovo che la narrazione sia un po' troppo pesante in questi punti (almeno parlo per me!!!).
CITAZIONE
Mamma gallina setacciava il terreno col suo becco paglierino. Ingoiò tutto per poi rigurgitarlo in bocca ai suoi piccoli, il liquido caldo e denso passava dalla sua gola a quella dei piccoli, i quali conoscevano già per istinto quella pratica, allo stesso modo in cui un cucciolo d’uomo è attratto dal capezzolo, nell’intento di distruggere il quale, ottiene l’appagante trasferimento del caldo latte materno.

Trovo sia un po' macchinosa e piena di ripetizioni 'piccoli', per dirtene una. E poi non ho capito l'inciso 'nell'intento di distruggere il quale'. Mi sembra un po' forzato.

Il secondo l'ho trovato più dinamico e con delle belle metafore (l'harem), ma sempre un po' troppo pesante per essere un racconto. Cioè, forse per me è pesante, perchè è un argomento di cui oggi si dibatte molto.
Il terzo, invece, non ce l'ho fatta a leggerlo. Dopo quei due mi sono fermato...tu stesso mi hai detto fermati all'8 riga :P
 
Top
Giovanni Pili
view post Posted on 4/4/2011, 12:36




Insomma dovrei prendere la seconda parte come modello per editare le altre eliminando forzature, tagliare ciò che va fuori dalla trama, ecc. Meno male che non hai letto il finale, perché trovo che sia la parte peggiore.
 
Top
MisticOccidentale
view post Posted on 4/4/2011, 15:16




CITAZIONE
Meno male che non hai letto il finale, perché trovo che sia la parte peggiore.

Potrei sempre leggerlo...occhio :P
 
Top
Giovanni Pili
view post Posted on 4/4/2011, 21:12




certo ... una sana martellata ai marroni ogni tanto fa sempre bene
 
Top
4 replies since 25/3/2011, 19:55   72 views
  Share