| L'8 Marzo! Aveva aspettato tanto quel giorno e finalmente i suoi desideri erano divenuti realtà. Avrebbe incontrato la sua amata, dopo quasi un anno di attesa in cui non si erano potuti nemmeno vedere. Quanto gli mancava il suo profumo e la sua morbida pelle, quanto gli mancavano le sue carezze e i suoi sorrisi. Tutto intorno a lui sembrava trasudare della sua essenza, ogni ricordo lo conduceva a lei, in un turbinio di passione che lo portava allo sconvolgimento dei sensi. L'amava, la desiderava e finalmente sarebbe stata sua. Quella mattina Adam si era insolitamente alzato presto. Era suo solito infatti poltrire fin quasi a mezzogiorno, pronto per il pasto, qualche camminata, un po' di televisione e poi di nuovo a letto, in un circolo vizioso che finalmente stava per spezzarsi. Lei rompeva la routine quotidiana, lei lo faceva sentire unico e speciale tra i tanti. Anche lei era unica e speciale. In altre città ce ne erano tre o quattro come lei, ma lì, in quel paese, era la sola. E lo aveva scelto, proprio lui, che nulla aveva ricevuto dalla vita se non questo. Raggiante, dopo una breve quanto insolita colazione, si lavò con cura e scelse l'abito “buono”, quello per le grandi occasioni. Con altrettanta perizia, si sistemò i capelli e si annodò la cravatta. Sicuramente sarebbe stato notato, non poteva essere altrimenti. Velocemente discese le scale di quell'enorme condominio, che ospitava altri duecento individui come lui. Accidenti! Gli altri sembravano essersi dileguati già da tempo, tanto è vero che l'edificio era deserto e silenzioso. Maledì la dovizia che aveva avuto nel vestirsi, cercando di recuperare terreno sugli avversarvi. Correndo all'impazzata, uscì e si diresse verso il fioraio più vicino. Dopo averne visto uno, rallentò, lasciando libero accesso all'ossigeno, che finalmente poteva rientrare nei suoi affannati polmoni. Rifiatò per alcuni istanti ed impaurito varcò la soglia del negozio. La visione che lo colpì fu raccapricciante. Una simil-donna, ovvero un essere che tentava di imitare la magnificenza della sua amata, stava sconsolata dietro al bancone. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e le si leggeva stanchezza nei suoi piccoli occhi. Adam non aveva mai conosciuto la fatica, né mai avrebbe dovuto farlo finché esistevano quei surrogati. Nonostante ciò, non provava nessuna pietà per lei. “Dammi un mazzo delle più belle rose che hai” disse rabbioso. L'essere sembrò non dargli ascolto, meccanicamente prese cinque rose da un enorme cesto comune e le porse all'uomo. Quest'ultimo diede una scrollata ai fiori in segno di disgusto e si avviò fuori, senza pagare. Doveva fare in fretta, altrimenti non avrebbe mai ricevuto le attenzione della donna. Quasi senza guardare le vie, si addentrò a passo spedito verso il centro della città, dove sorgeva una costruzione all'apparenza piccola. La porta era aperta e Adam sgattaiolò dentro. La donna lo stava aspettando nell'adrone sotterraneo, dove ogni anno si riunivano centinaia di uomini per lodarla. Scese qualche piano più in basso e finalmente quella splendida visione gli si parò davanti. Un ammasso informe e gelatinoso svettava massiccio al centro della stanza. La sua mole era paragonabile a quella di cento di quegli uomini che stavano ai suoi piedi, mentre il suo tanfo non aveva eguali al mondo. L'odore era nauseabondo, eppure Adam non se ne curava, accecato dall'amore che provava. Estasiato, poggiò le rose nel cumulo ai piedi di lei, e altrettanto beato estrasse dalla tasca una piccola fiala, contenente liquido seminale, e la posizionò insieme alla altre. “La festa della donna” altrimenti detta “L'inseminazione della regina”. Numerosi tubi si facevano strada nel corpo di quell'imponente mostruosità, uno per ogni funzione vitale, quali il nutrimento, la riproduzione e ovviamente l'espulsione degli escrementi. A badare alla donna, a lavarla e a prendersi cura di lei, stavano centinaia di simil-donne, trattate come schiave dall'ingorda padrona. Gli uomini, invece, si accontentavano di vederla una volta all'anno, per permettere la riproduzione, mentre i più fortunati venivano divorati vivi dall'amata. Adam vide quattro dei suoi simili subire quella sorte e provò rabbia e invidia. Ancora una volta non era stato scelto, ancora una volta rimaneva un perdente. Mentre stava per tornare mestamente a casa, accade l'impossibile. I surrogati, stanchi dei soprusi e delle umiliazioni, smisero di lavarla e, uno per volta, cominciarono a staccare i tubi che la tenevano in vita. Scoppiò il finimondo. Gli uomini, troppo codardi per reagire, fuggirono all'impazzata dall'androne, mentre le simil-donne lottavano strenuamente per la libertà. L'essere deforme cominciò a dimenarsi e a strepitare, in cerca di aiuto. Lentamente si stava decomponendo, mentre liquami puzzolenti sgorgavano da ogni suo anfratto. Tuttavia, stoica, decise di portare nell'oblio quante più succedanee possibili, ingozzandosi con la loro carne o schiacciandole con il suo corpo. Infine, sfinita, cadde al suolo, sotto le fragorose urla che risuonavano nella stanza. Le simil-donne, anzi le vere donne erano libere. Non avrebbero più dovuto servire quell'abominio, né avrebbero dovuto lavorare alimentare i vizi degli uomini. Molte di loro erano morte per quella giusta causa, ma le sopravvissute sapevano che mai nessuno avrebbe ricordato quel giorno come un'occasione di onorare una donna con futili regali, mai più una di loro sarebbe stata maltrattata. L'8 Marzo sanciva la loro libertà, il diritto delle donne di vivere la loro vita. Sarebbe stato ricordato il loro eroismo contro il tiranno, e il loro monito non sarebbe stato dimenticato. Adam, dal canto suo, non aveva ancora capito la grandiosità di quella conquista, ma non riuscì a trattenersi dal fare quel piccolo e insignificante gesto. Camminando lentamente verso il centro della sala, raccolse una rosa dal viscido terreno e la porse ad una donna lì vicino. Quella, con la mente annebbiata, scordò quello che per cui aveva combattuto e, arrossendo, non riuscì a nascondere un sorriso di compiacimento.
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