| Pensieri di Nebbia
E’ ancora lì quella stronza. Ancora lì a darsi da fare con quell’idiota, mentre io devo starmene chiuso in questa stanza a nutrirmi del suo odore e dei suoi ricordi. Ormai sono tre settimane che ci esce. Perché non mi considera? Dov’è che sbaglio? Certo non sarò un modello o un facoltoso uomo d’affari, ma lei è così giovane, ed io tremendamente assuefatto. La conosco da una vita, eppure, nonostante i nostri occhi si siano incrociati innumerevoli volte, non sono mai riuscito a penetrarli. Preferisce la compagnia di quella specie di eunuco alle follie di un romantico come me. Penso a lei, in questa stanza, tutte le notti. Non riesco a decifrare la percezione che nutro per il suo corpo. Mi addentro nel corridoio che porta al bagno, le riviste porno le nascondo nel solito posto; all’interno dello scarico del cesso. Quelle non osano tradirmi, mai. Certo, di donne qui ce ne sono per tutti i gusti, ma la mia mano segue le sinuosità delle sue cosce. Cazzo, non riesco a togliermela dalla mente. Quel patetico “ciao” prima di uscire, quel sorriso confezionato. Giuro che quando torna l’ammazzo. Si, così sarà solo mia, per sempre. Non mi frega di finire in galera, e nemmeno quello che penseranno i miei di tutta questa storia. Così voglio vedere chi ricatta, voglio vedere con quale scusa cercherà di frenare i miei istinti. Per quelli ormai non esiste controllo. Ed è sempre stato così, lei, io, le giornate passate a letto. < Se provi a fare il furbo lo dico a tutti, chiaro?> Sempre la stessa frase, lo stesso gioco di parole e catene mentali. E’ troppo piccola per me, questo lo so. Forse ho sbagliato, non dovevo lasciarmi andare in quel modo. Non mi serve molto tempo per macchiare di bianco le riviste che reggo sulle gambe. Le richiudo senza pulirle e mi alzo tirandomi su i jeans. Non mi lavo nemmeno le mani, non lo faccio mai. Ogni sera, di solito, mi faccio una sega e le rifilo la mia poltiglia bianca fra il secondo e il dessert, tanto non se ne accorge. Tra pochi minuti sarà di ritorno, meglio prepararmi, la casa è vuota. Mi affaccio alla finestra e osservo quella maledetta cinquecento parcheggiare davanti al viale. Da quando la vedo salire su quella scatoletta, quasi tutte le sere, odio il colore blu. Pochi minuti dopo suona il citofono, è lei. Apro senza risponderle e lascio la porta aperta. Assaporo ogni singolo rumore che emette, dal cigolio sino ai suoi passi sul parquet. < Ehi Roby, sei in casa?> Attendo dietro la porta della mia stanza, in silenzio. Lei la sorpassa lentamente ed io sbuco subito dopo dalla soglia, afferrandola per i capelli. La frenesia aumenta, le mascelle si serrano. La mano libera aderisce alle labbra, sigillandogliele per sempre. La trascino verso il bagno, il luogo più vicino. Sento l’odio vibrare attraverso le mie braccia. Sbatto con forza la sua faccia sul bordo del lavandino. Una volta, due, alla terza un rigagnolo vermiglio inizia a sgorgare dal suo naso. Continuo, non riesco più a fermarmi. Le sue ginocchia cedono, mentre sento il suo sorriso spezzarsi sotto i miei colpi, lo schizzo caldo del suo sangue sulle mie mani. La lascio cadere sulle piastrelle grigie che compongono il pavimento; un mosaico di perle bianche su sfondo rosso inebria i contorni della sua testa, mischiandosi al biondo dei suoi capelli. Un istante dopo mi ricordo di respirare. Il petto si gonfia e si sgonfia. Deglutisco l’aria viziata dai suoi odori. La divorerei, se potessi. Mi inginocchio, ascolto gli ultimi battiti, il suo respiro tramutato in aritmici rantoli. Accosto le mie labbra al suo pallido orecchio, macchiato da tre orecchini azzurri. < Visto, sorellina, te l’avevo detto che prima o poi l’avresti pagata…>
Edited by Matiè - 7/4/2011, 02:44
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