Racconto di Alessandro Napolitano con i personaggi di Arthur C. Doyle
Disegno di Roberta Guardascione
Il taccuino del Dottor WatsonAntefattoUn mio amico ama ripetermi: "Il collezionista deve tener duro laddove gli altri si arrendono".
La mia passione è rivolta agli autori padri della letteratura fantastica e vi confesso che spesso mi ritrovo a spulciare tra le bancarelle dei mercatini, alla ricerca del pezzo da collezione.
Una ricerca minuziosa che nell'aprile del 1999 ha prodotto i suoi frutti: un taccuino dalla copertina di cuoio rosso, vergato con inchiostro nero e firmato John H. Watson.
Il taccuino, acquistato per diecimila lire, è stato analizzato pochi mesi dopo il suo ritrovamento da D. Estleman e N. Meyer, esperti holmesiani. I due studiosi non hanno avuto dubbi, quanto da me acquistato è stato giudicato autentico. Il taccuino contiene semplici note del Dottor Watson, pensieri sparsi, alcune poesie, disegni e il resoconto che vi propongo (denominato "Rivelazione") scritto esattamente centoquattordici anni fa e da me tradotto in italiano. Lo scritto narra dell'incontro tra il medico-scrittore e il professore James Moriarty, da tutti riconosciuto come il responsabile della morte di Sherlock Holmes.
Oggi, per mio volere, il taccuino del Dottor Watson è tornato in Inghilterra ed è esposto alla National Gallery di Londra.
"Il collezionista deve tener duro." dice un mio amico.
Nulla di più vero!
Alessandro Napolitano
Roma, 11 Settembre 2009
Rivelazione - di J. H. WatsonMi sono deciso a trascrivere queste poche righe, e spero che la loro rilettura possa alleviare il peso che avverto al cuore e che rischia di frantumare le mie emozioni. Il mio è un malessere crescente e ho bisogno che questo tentativo di esorcizzare i fatti accaduti, si tramuti per me in una fonte di sollievo. Solo l'Onnipotente può sapere quanto ne ho bisogno.
Ciò premesso, prometto a me stesso che mai queste parole troveranno la benché minima pubblicazione. Il contenuto di quanto segue non è frutto della mia fantasia, nessuna delle informazioni che seguiranno sul conto del mio amico Holmes può essere verificata. E la cosa grave, è che penso sia meglio così.
Il dubbio è un animale invisibile, lavora con perizia nell'animo umano, sconvolge le certezze assolute e infine piega la ragione. Per questo sto scrivendo, per cacciare quell'animale dalla mia testa, per soffocare il costante bisbigliare che tormenta le mie orecchie.
Un mese fa, Sherlock Holmes ha trovato la morte tra le Alpi svizzere, precipitando dalle cascate del Reichenbach, avvinghiato al più pericoloso criminale dell'ultimo secolo: James Moriarty.
Una morte orrenda, "necessaria" aggiungerebbe Holmes, visto che l'avrebbe condivisa con il suo acerrimo nemico. Poi, dieci giorni fa, mentre ancora piangevo la fine di quel genio che ho avuto l'onore di chiamare amico, mi è stato fatto recapitare un biglietto anonimo in cui venivo invitato a recarmi alla clinica Gaster Fell, alle porte di Londra. C'era un pacco di cartone a seguito della missiva, conteneva ciò che mai avrei sperato di ricevere: il copricapo di Sherlock Holmes.
Ho pensato, e confesso, urlato al miracolo. Che il mio amico ce l'avesse fatta? Che fosse riuscito a scampare alle acque gelide della cascata? Dio sarebbe stato così glorioso da restituirmi Holmes?
Quel berretto eccentrico che stringevo tra le mani, sprigionava una forza indescrivibile: il genio aveva battuto la morte ed era tornato tra noi.
Alle dodici e trenta dello stesso giorno entrai nella clinica Gaster Fell e le speranze di riabbracciare Holmes si infransero come il vetro di un bicchiere che cade al suolo. Nella camera 110, ad aspettarmi sdraiato sopra una lettiga d'ospedale, c'era un uomo magro, circa cinquanta anni, denutrito, calvo, pallido come la cera, ma con occhi vivi, neri corvino, attenti a ogni mio movimento.
— Sapete chi sono? — Domandò l'uomo con un filo di voce.
— No, Signore.
Mi rendo conto solo ora di quanto siano state stupide quelle parole. Avevo tra le mani il cappello di Sherlock Holmes e solo un'altra persona, diversa da lui, sarebbe stata in grado di recapitarmelo.
— Voi siete il professore Moriarty. — esclamai stupefatto.
Non ebbi risposta, non ce ne fu bisogno.
Devo aver sussultato e gridato tutta la rabbia che ebbi in corpo, mi sono avventato sopra quel criminale con la forza di un toro e con l'intenzione di ucciderlo. A fermare la mia furia incontrollata, mio sconosciuto lettore, fu lo sguardo magnetico di Moriarty: avvertii una forza indicibile sprigionarsi dai suoi occhi, capace di esaurire in un colpo solo tutta la mia forza.
— Non volete conoscere il motivo per cui vi ho convocato qui, Dottore?
Tenevo stretti i polsi del criminale, incapace di proferire una sola parola.
— Non volete sapere il motivo per cui io, il malfattore, ho sempre dato la caccia a Sherlock Holmes e mai è avvenuto il contrario?
La voce di Moriarty, affascinante e terribilmente sensuale, sarebbe stata capace di ipnotizzare qualsiasi platea.
— So bene, — continuò — che Holmes vi ha inviato una lettera poco prima che ci scontrassimo a Reichenbach. Gli ho concesso la possibilità di spiegarsi, di raccontare il motivo per cui lo braccavo e di lavarsi la coscienza. Mi disse che avrebbe confessato il suo terribile segreto. Ma a quanto pare non l'ha fatto, non ha avuto il coraggio di rivelarsi per ciò che era.
Allentai la presa e i suoi polsi sgusciarono lontani; cercai un filo logico nelle parole di Moriarty, una spiegazione razionale alle parole che stavo udendo.
— Holmes mi ha scritto, mi ha raccontato che razza di furfante siete, questa è l'unica…
— Certo, — m'interruppe — conosco il contenuto di quella lettera, ho persone che lavorano per me alle poste centrali, non è stato difficile leggere il contenuto di quella missiva. Vi assicuro dottor Watson: Sherlock Holmes non ha fatto il minimo accenno alla scomoda verità che lo riguarda.
— Ma di cosa parlate?
— Parlo che il grande eroe, l'investigatore celebrato nei suoi racconti e acclamato in tutta Europa, altro non è che un codardo e un assassino.
— Come osate?
Non ricordo altro episodio in cui mi vidi costretto a colpire un uomo evidentemente malato. La mia mano scattò rapida e terminò la corsa sul volto di Moriarty.
Anche in questo caso, il professore non ebbe la benché minima reazione. Si passò la mano sulle labbra, e continuò a raccontare.
— Conobbi Holmes dieci anni fa, per via di mia sorella Pamela. Lei aveva compiuto vent'anni, era una ragazza malata, soffriva di dolori alla testa, sveniva frequentemente, sfioriva ogni giorno che passava. Solo Sherlock Holmes, con le sue storie al limite del paradossale, sembrava capace di distrarla. Nostro padre non vedeva di buon grado l'amicizia tra i due, e neanche io a dire il vero. Ma la felicità di Pamela era il mio unico interesse. Una sera acconsentii a farla uscire di nascosto, sapendo che si sarebbe incontrata con Holmes alla spiaggia di Exeter. Mio padre non si lasciò ingannare; accompagnato da quattro amici li sorprese alla spiaggia. Io arrivai pochi minuti dopo, spaventato da quello che mio padre avrebbe potuto fare accadere.
Gli occhi di Moriarty s'inumidirono, un lieve porpore macchiò il volto pallido. Fece una pausa, e quando ebbe ritrovata la concentrazione, proseguì: — Holmes, vedendosi in trappola, prese mia sorella e salì sopra una barca di legno abbandonata sulla riva. Il mare era mosso, remarono per qualche minuto mentre gli uomini cercarono di raggiungerli a nuoto. Un'onda ha sorpreso Pamela; vedo ancora il suo corpo esile oscillare nella barca e perdere l'equilibrio. È caduta in acqua, non l'ho più rivista viva.
Ancora oggi la sento urlare il nome "Sherlock Holmes", il vostro grande eroe. Lo supplicava di andarle in soccorso e salvarla, finché non ha più avuto la forza di lottare ed è annegata. Sherlock Holmes è rimasto sulla barca, al sicuro, condannandola a morte. La corrente del mare e le onde hanno favorito la fuga di quel codardo.
Il professore non piangeva più. Per la prima volta da quando ero entrato nella stanza spostò lo sguardo lontano dai miei occhi.
— E io ho annegato lui.
— Non può essere vero, Holmes non si sarebbe mai tirato indietro. — balbettai.
— Dottor Watson, si è mai chiesto il motivo per cui Holmes non si avvicinava mai a una donna? E quel disperato bisogno di eroina, secondo lei, quali urla deve placare? E quando il vostro grande eroe…
Non riuscii ad ascoltare altro, scappai di corsa dalla stanza, stravolto. Un'ora più tardi, denunciai alla polizia la presenza di Moriarty alla clinica Gaster Fell. I poliziotti accorsero sul posto, ma del criminale non c'era più traccia.
Ho fatto l'unica ricerca possibile: James Moriarty aveva effettivamente una sorella, Pamela, morta nel 1884, annegata davanti a Exeter. Troppo poco per sospettare di Sherlock Holmes, abbastanza per tormentare tra le mani il suo cappello.
John H. Watson
Londra, 11 Settembre 1894