Il mio rapporto con il soprannaturale è un rapporto piuttosto complesso e, d'altronde, in una terra come la mia, carica di folklore e pervasa da una forte credenza religiosa, non è poi chissà quanto strano. Io non credo in Dio, e non sono neanche il tipo che "crere ai favole i Pinocchio" (un credulone), tuttavia sono molto possibilista riguardo a tutto ciò che concerne il soprannaturale perchè sono convinto che in ogni leggenda esista un fondo di verità... che poi la verità sia stata gonfiata, in alcuni casi, è un altro paio di maniche. Di questa storia io sono un testimone indiretto, vi posso offrire dei particolari sui luoghi, e raccontare la storia così come mi è stata raccontata a caldo dal diretto interessato, ma non posso darvi la mia parola che sia accaduto sul serio. Io, personalmente, ci credo perchè è un avvenimento che ho vissuto da vicino… ma, voi, siete liberi di credere o non credere...
INCONTRI INASPETTATI...
Qualche anno fa, qualche annetto prima di trasferirmi nella mia penultima dimora, vivevo nel paese di origine di mia madre e, siccome dalle nostre parti era parecchio in uso, tra parenti, di comprare casa il più vicino possibile gli uni agli altri, mi trovavo ad abitare al di là della strada rispetto ad una sua zia. Da me, in Campania, avere una zia che abita dall’altra parte della strada vuol dire praticamente viverci insieme e perciò dire che ci conoscevamo bene, tra di noi, è quasi un eufemismo.
Il figlio della zia, Gianni, è stato per me un fratello maggiore, e uno dei punti fermi della mia infanzia.
Gianni, al tempo ventenne o poco più, lavorava in una ditta edile e per raggiungere il posto di lavoro doveva recarsi ogni mattina alla stazione per prendere il treno, ovviamente a piedi, poiché ancora non possedeva una macchina sua.
Una di queste mattine, come suo solito, era uscito di casa alle sei e mezzo per poter raggiungere con tutta calma la stazione, senza rischiare di perdere il treno. Noi abitavamo in un bel corso che era un po’ l’anello di congiunzione tra tutte le zone della cittadina, e Gianni, per arrivare a destinazione era costretto a percorrere, come prima cosa, una piazzetta circolare che, oltre ad alcune abitazioni, raccoglieva il palazzo comunale e la chiesa più frequentata del paese. Era presto, e per strada si incrociava solo chi, a quell’ora, come lui, si stava recando al posto di lavoro o ad aprire i battenti della propria attività. Nella piazzetta, ad esempio, era facile incontrare Biagio “u’pallunaro”, un arzillo vecchietto che ora possedeva un negozio di giocattoli in piena regola ma che non aveva mai voluto abbandonare, da nonnetto arcigno qual’era, la sua decennale occupazione di venditore ambulante. Biagio infatti, nella più antica tradizione cilentana, possedeva un carrettino d’acciaio con cui vendeva palloncini ad elio ed un particolare tipo di cesta intrecciata che noi chiamiamo “panaro” e che oggi,con il cessare quasi definitivo dell’età contadina, è per lo più introvabile. Come da copione Biagio quella mattina era lì, col suo carrettino, seduto su di una panchina posta intorno ad un piccolo ritaglio di verde e con le mani impegnate ad intrecciar cesti.
Gianni si fermò a salutarlo, come ogni altra mattina, salvo poi riprendere il cammino che lo avrebbe condotto a superare la piazza e a proseguire per la discesa che conduceva dinnanzi alle Scuola Media cittadina, all’alimentari poco più lontano (che doveva la sua fortuna alla vicinanza alla scuola), e, un chilometro dopo, ad un enorme spiazzo, che era l'ultima traccia di un cinema andato in fiamme sul finire degli anni ’80, ma che ora fungeva da parcheggio e, di giovedì mattina, ospitava il mercato. Oltrepassato questo grande parcheggio si giungeva in una zona soprannominata “i case ru treno” per via della vicinanza alla stazione. Questa via di passaggio era dominata da una rotonda che la divideva in tre tronconi: andando a sinistra si giungeva ad un area di case popolari; a destra, invece, vi erano una lunga serie di palazzine che avevano dei locali commerciali al piano terra; mentre, andando sempre dritto, si raggiungeva, ad un quattro/cinquecento metri, la stazione. Pur essendo mattina presto, per evitare di incappare in automobilisti assonnati, Gianni si affacciò verso i due lati della strada per prevenire eventuali pericoli. Da sinistra non arrivava nessuno, e neanche da destra a dir la verità, ma in quella direzione non fu la strada ad attirare la sua attenzione, bensì un manifestino attaccato ad una saracinesca, la saracinesca di un negozio di giocattoli. Gianni, dato che non vi era nessuna auto in giro, attraversò la strada in diagonale, dirigendosi verso il negozio; era incredulo, non capiva come Biagio, il titolare di quell’esercizio, quando lo aveva incontrato poco prima non gli avesse accennato ad un lutto in famiglia, ma gli bastarono pochi passi per scoprire il perché glielo avesse taciuto.
Biagio, come recava il manifestino, e come ci sincerammo la mattina stessa, era morto la sera prima di cause naturali.
Spinto dalla paura, Gianni corse come un lampo (sulla corsa quando si ha paura ho una curiosa riflessione), questa volta aggirando la piazza, fino a casa, dove lo accogliemmo paonazzo e sotto shock.
Egli ci raccontò subito l’accaduto e, dopo una mezz’oretta, gli salì un febbrone per la paura.
La febbre durò solo una giornata, una giornata e mezza, ma superare lo shock fu molto più dura. Certo, niente di grave, per carità, ma per i due/tre mesi a seguire mostarva un atteggiamento abbattuto, atterrito, da rincretinito, che gli fu difficile scrollarsi di dosso.
Ora mi direte che è una cavolata, che non credete ai fantasmi, che il paradiso non esiste, che l’idea stessa di anima e di Dio sono di per sé assurdità prodotte da una mente incapace di spiegarsi ciò che realmente è la vita… mi trovate più che daccordo su tutta la linea, ma vi assicuro che quello che è accaduto quella mattina non può essere stato ne’ frainteso, ne’ tantomeno il frutto di uno scherzo. Io c’ero, ho accolto insieme agli altri Gianni sbigottito poco prima di andare a scuola, l’ho visto star male con la febbre a quaranta, e l’ho visto comportarsi da sbandato per nientemeno che un paio di mesi della sua vita. Io non credo in Dio, nel mostro di Lockness o alla fatina dei dentini… no, ma a questo IO CI CREDO.
Tuttavia, come sempre, ed è questa la vera fregatura in ambito sovrannaturale, non ho ne' prove da offrirvi, ne' una testimonianza diretta da proporvi.
Ma, come al solito, voi siete comunque liberi di credere o non credere.
P.S. Di aneddoti così ne conosco un miliardo (solo inerenti alla mia zona) ma questo è sicuramente il più eclatante, nonchè uno dei pochissimi a cui credo cecamente...