Echi ...........le nostre opere

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AdminRemota
view post Posted on 7/9/2010, 08:08




Qui sono raccolte le nostre creature

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Il Doloroso parto del Topo


Ninfaeco


Qui raccolgo ciò che scrivo.
Il tutto avviene esclusivamente per costipazione.
Le mie creature sono tutte deformi Sorci figli di diversi padri,
gravose nel ventre ed espulse con grandi sforzi e miseri risultati per via rettale.
Provvedo sola al loro mantenimento, ma meglio sarebbe partorirle dall'alto di un ramo
come fanno i serpenti poichè manca completamente a tali creature amore per me
e rispetto per la forma.




Il Tempo delle Favole


Galoppava il Cavaliere senza Testa, tra gli eserciti dei corvi . I soldati dell’aria volavano neri e calavano gracchiando per contendersi le membra indifferentemente sparse di vigliacchi o valorosi.
"La prima ondata della guerra porta morte, la seconda fa pulizia" pensò dall’alto del suo cavallo.
Fu allora che udì una voce umana tra il gracchiare dei corvi.
"Oh duca di Borgogna….ma che brutta cera! Forse la urta riposare viso nel fango accanto ad un villico sgozzato? Imperdonabile promiscuità di ceti, ne convengo. Proprio non so dove andrà a finire il mondo… ma di una cosa son sicuro, mio Duca… anche lei che tanto sudò di carta e spada, per capire il mondo e farne il suo feudo, lo saprà mai! "
Esplose nell’aria una risata grassa che aprì un ventaglio nero di ali di corvi in fuga. Il Cavaliere senza Testa vide allora un uomo robusto, rude d’aspetto seduto a gambe incrociate su un mucchio di cadaveri. Portava pelli mal conciate in luogo di vesti, e stringeva nella mano destra una grande fiasca. Il Villano non badava a al Cavaliere, ma egli al contrario vi badò molto e si fermò a pochi passi per osservarlo meglio.
"Tanto bel ragionare, tanta spada e dove è finito ora signor Duca? A capo nel fango privo di braccia…Mio Duca vivere nel fango è meglio che morirci! Alla sua salute! "
Il Villano portò la fiasca alla bocca e ne bevve avidamente, lasciando che il vino tracimasse dalle labbra, rivoli rossi attraversarono la sua barba fino a bagnargli le vesti luride.
"Ah… generoso è il sangue della terra mio Duca, ben più di quello che scorre nel corpo dei Nobili… finchè sono vivi! "
Nella barba sia aprì una grande bocca con denti violacei come acini d’uva. Ridendo Il Villano si chinò sul corpo mutilato riverso accanto a lui. Lo girò e ne resse il capo con la sua grande mano callosa.
"Orsù mio duca, abbandoni almeno ora i modi cortesi che la condussero nel fango, e beva con un Villano!"
Così dicendo e senza fermare il riso, aprì a forza con le sue grosse dita le mandibole del morto e versò nella sua bocca muta una cascata di vino rosso. Dalle labbra del cadavere, come da quelle del villico prima, tracimò volgarmente vino, scorrendo sul viso e le vesti, fino a terra.
L’animo fiero del Cavaliere senza Testa arrossì per l’onta e si infiammò. Brandendo la spada si accostò al Villano intento a bere conversando amabilmente con il nobile morto.
"Alzati villico scellerato! La follia non ti sia di scusa per calpestar ciò che è sacro e fare del rispetto una parola vuota!"

"Mi scusi mio Duca, vorrei conversare ancora con lei che mai come oggi trovo saggio ed armato di forti argomenti, ma è sopraggiunto or ora un giovin signore che urla e blatera frasi curiose. Confido che continui ad attendermi qui sdraiato in questo luogo ameno. I miei ossequi………………………….Benvenuto mio giovane amico, la prima ondata non ti ha trascinato con sé, forse credi di aver trovato buone ragioni per perir nella seconda?"
Il Villano si alzò in piedi ed il tumulo di cadaveri sotto il suo peso scricchiolò orribilmente.
"Rumori di teste rotte, teste vuote … questo suono fanno se chiedi loro di reggere un peso."
Commentò guardando il Cavaliere senza Testa.

"Zotico senza vergogna, a fil di spada inciderò nelle tue carni le leggi del rispetto!"

"Come desideri mio giovane e fiero, Cavaliere.
Disse il Villano spogliandosi nudo ed offrendo il petto alla spada.
Conoscendo l’animo cortese dei cavalieri del tuo rango, confido nel poter sperare nel beneficio d’avanzare una semplice richiesta."

"E sia"
Convenne il Cavaliere senza Testa dall’alto del suo cavallo.

"Bene. Chiedo di avanzare una semplice domanda, prima che la falce del giusto asporti dal mondo la mia purulenta carcassa."

"Parla, e non por tempo in mezzo, poiché le parole di un villano non son nodi che posson legare a lungo le mani offese di un nobile."

"Mai scialacquerei il tempo datomi in dono, mio giovane Cavaliere. Evidenti sono in voi nobiltà d’intenti e animosità d’atti. Luminosi sono i vostri ideali, ma non altrettanto gli zoccoli del vostro cavallo, che al contrario trovo impolverati e luridi. Anche sulla vostra armatura, benché pregevole e finemente lavorata, vedo tracce di polvere e senza difficoltà immagino cosa essa nasconde. Un corpo bianco, credo, un corpo di ragazzo che ha due occhi come li ho io e li ebbe il Duca, ed un cuore che ne nutre le membra pulsando nell’ombra. Hai ancora due mani, anche se per la spada te ne basterebbe una, e hai due gambe, benché ora a Cavallo, potrei ingannarmi ed attribuirtene quattro."

"I Corvi gracchiano parole di maggior pregio, che non i tuoi farneticamenti!"
Lo schernì il Cavaliere.

"Oh.. senza dubbio è così nobile Cavaliere. La vostra mente è più acuta del vostro braccio. Cosa che mal si confà ad un eroe e molto più ad un mendicante, quale io sono."

Il Cavaliere senza Testa abbassò la spada senza però riporla nel fodero. Per scelta non ne possedeva uno, non certo per difetti di rango. La sua spada doveva essere sempre pronta a ferire, dividere e spartire. Quella era la sua missione, da che aveva memoria di sé.

"L’eroe agisce di braccio e di lama. Per questo guadagna le lodi dei cantori. I cantori però sono giullari dello spirito pagati al soldo dai Re, per curare la loro noia. I Re siedono troppo in alto per agire e dall’alto vedono troppo poco per capire. Così la misura dell’eroe è la sua gloria nel canto di un ipocrita ascoltato da uno stolto paralitico .Per questo vuoi morire o uccidere me in un giorno di sole?"

Il Cavaliere senza Testa restò sgomento. Era vero, era solo un ragazzo ma non aveva mai pensato di poter avere altra mano se non quella che reggeva la sua spada, e altra gambe che non fossero quelle del suo cavallo. Il suo incarnato era davvero pallido, ma se ne era dimenticato lavando di sé la sua preziosa corazza come fosse la propria pelle. Aveva ucciso per il rispetto e per alti ideali senza mai far caso se il cielo splendesse il sole o le stelle del firmamento. Aveva ascoltato talvolta i cantori, e desiderato divenire parte di quei versi, in cui gli uomini sembravano integri ed esisteva sempre un solo altissimo bene.

"La sorte ha voluto che la morte passasse di qui prima del tuo cavallo.
Ciò vuol forse dire che altro è ciò che ti aspetta, o semplicemente che anche lei si è dimenticata di te."
Il Villico rise. In un sol gesto, sempre senza abbandonare la fiasca, ebbe indosso i suoi cenci.
"I miei ossequi Cavaliere, non resti lì impalato troppo a lungo o i corvi potrebbero far confusione!"
Ciondolando sulle sue gambe storte e irsute si allontanò, finchè l’orizzonte non lo inghiottì.

Il Cavaliere senza Testa non se ne avvide. I suoi pensieri erano scossi e flagellati insieme al prato intorno,da un vento improvviso, innaturale che aveva preso a soffiare violento. Stretto alle redini del suo cavallo, il Cavaliere senza Testa si sentiva come di carta. Da che aveva memoria di se la sua missione era la spada. Il vento spingeva urla nell’elmo vuoto, sibili, fischi. Ricordava anche altro forse, o forse era un inganno del vento. Gli avidi artigli di un corvo addentarono la sua armatura. Il Cavaliere senza Testa passò l’ingordo a fil di spada assecondando un abitudine inveterata e riprese il cammino.
Cavaliere e cavallo risalirono il dorso della collina e scivolarono dalla sua vetta fino a valle, seguendo un sentiero di piccoli sassi dorati. La sera cadeva ed allungava le ombre. Il Cavaliere si osservava nella propria ombra, scarno e scuro. Era stanco e lo era anche il suo cavallo. Il sentiero curvò bruscamente e rivelò al Cavaliere senza Testa un villaggio. Era un grappolo di case di villani, strette intorno al piccolo sentiero di ciottoli dorati. La terra tutt’attorno era smossa, ma non seminata. I campi ben suddivisi, ma come dimenticati. Il Cavaliere comprese ed i villici stessi non furono restii a dire di sé e della propria storia. Tra la terra grassa, attorno alle case e lungo il sentiero giacevano i loro corpi , perduti nella fuga. Le piccole case erano state incendiate ma rimanevano in piedi nel tramonto rosso.
"La guerra è passata di qui"
pensò il cavaliere.
Conosceva bene l’abitudine alla razzia degli eserciti e l’ebrezza sanguigna che restava in corpo dopo un massacro. Per questo non si era mai messo al soldo di nessuno.
La notte calava con troppa fretta per proseguire oltre. il Cavaliere senza Testa attraversò il villaggio e scelse la casa migliore, quella che sembrava più stabile e meno intaccata dal fuoco. Smontò da cavallo e lo aggiogò ai cardini della porta. L’interno della casa era scomposto e in abbandono. Tutti gli oggetti che un tempo erano i protagonisti dei riti quotidiani di chi lì viveva erano a terra, rotti o dimenticati. il Cavaliere si chinò sulle ginocchia e raccolse una piccola ciotola di terracotta. Lo fece con grande pietà come se non si trattasse di una cosa. La lucidò con il mantello e dalla polvere emersero piccoli fiori azzurri. Il Cavaliere immaginò le mani che li dipinsero, mani di donna candide e delicate. La portò al cuore ed alle labbra. Mai aveva sentito prima nel suo cuore un calore tanto strano per un pensiero tanto piccolo. Il Cavaliere senza Testa la avvolse nel suo mantello, e si addentrò nell’ombra di quella prima stanza. Ammutolì. Quel buio custodiva una donna, accanto al grande focolare. Il suo corpo era appeso al muro, infilzato da una spada all’altezza del diaframma. Le sue vesti erano state lacerate con forza e l’oscurità copriva di misericordia i sui piccoli e bianchi seni, ora turgidi di morte. Dietro di lei, sulla parete colava sangue nero e così dalle sue gambe. Ed in questo strazio , lei risplendeva candida e silenziosa. Il Cavaliere le guardò il viso, cercò nei suoi occhi l’ultima cosa che vide , la sua mano con delicatezza li chiuse perché potesse dimenticare.
" Eri bella"
pensò
"lo sei anche ora. "
Sfilò la spada dal suo corpo e la donna di neve cadde tra le sue braccia. Egli ne sostenne il peso fino a sdraiarla sul grande tavolo di legno. Il Cavaliere senza Testa la vestì del suo mantello e le ricompose i capelli. Erano chiari, ma non come l’oro. Oro forse non ne aveva visto mai. Erano chiari come l’erba secca, un colore semplice, sincero come i prati d’autunno.
"L’oro inganna pensò, non il silenzio di questi prati. "
Il Cavaliere senza Testa desinò accanto a lei bevendo dalla piccola ciotola con i fiori azzurri. Il mattino lo portò via come accade ai vivi.

Il sentiero dorato proseguiva come il cammino del Cavaliere attraversando uno sconfinato oceano di prati. Cullato dolcemente dall’ondeggiare della schiena del suo cavallo pensava, pensava a tante cose, pensava ad un Villano ubriacone, ad una donna morta, pensava a sé dal giorno in cui di sé ebbe memoria. C’era stata una donna forse, se il vento non gli aveva mentito, la Dama di un Lago e duri esercizi. Si, ricordava non sempre aveva adoperato una sola mano. Un tempo ne usava due e fu duro educare una a dimenticare l’altra legandosi alla sua spada. Ma con due mani che ci faceva? Questo non lo ricordava. L’immagine della Dama occupava ora tutta la sua memoria, come un monito.

Giunse così ad un Bosco di Smeraldo, tanto fitto che il sole non poteva entrarvi che lottando al di sopra delle cime degli alberi. Sottili lame di giorno, poi scaglie, poi più nulla. Il Cavaliere ed il suo cavallo erano soli nel ventre verde della foresta profonda. Alberi enormi e nodosi colmavano il breve vuoto sopra le loro teste, stringendosi gli uni agli altri, contorcendosi e rigurgitando linfa. Sotto gli zoccoli del cavallo rumore di foglie spezzate ed oltre a questo solo il brumire delle fronde. Il Cavaliere non si sentiva in pace, ma non aveva nemmeno timore. Non gli era estraneo un tempo così lento e nemmeno lo era il pensiero di perdersi per sempre nelle profondità di smeraldo della foresta. Sorrise .
Solo io potevo scegliere di passare di qui
Non aveva ancora finito questo pensiero che scorse un uomo. La sua figura era esile ed allungata. I suoi occhi erano tristi. Una lunga tunica nera lo copriva scendendo fino a terra . Il Cavaliere Senza testa scese da cavallo per avvicinarsi. Era già la seconda volta che lo faceva pur potendo evitarlo.
"Abito in questo bosco."
Gli disse l’uomo sottile.
"Sono anni che vivo qui, mi sono perso ed attendo che qualcuno mi trovi."

"Io sono un Cavaliere, sono in viaggio ma non so più per dove."

"Capisco "
Disse l’uomo sottile con tono indifferente.
"Tutti passano e nessuno si ferma. Non cambia mai niente."
E si accovacciò ai piedi di un albero.
"Il bosco ha deciso della mia vita, sono figlio del suo ventre e qui resterò fino alla morte,solo.
Sono il monaco della Foresta di Smeraldo, ormai."

Il Cavaliere non aveva molto da dire ma immaginava di quest’uomo, rinchiuso come lui dentro qualcosa.
" Il bosco protegge, la fuori ho visto guerra e devastazione."

"Io non posso affrontarle, sono troppo fragile, ne morirei."

"Ah ..beh un buon motivo per morire qui suppongo!"
Quella voce grassa e ilare era nota al Cavaliere. Si girò e vide giungere alle sue spalle il Villano irsuto, le sue vesti luride e la sua grande fiasca.
"Una bella coppia davvero! Cavalier Orgoglio…. I miei omaggi e
l’Anacoreta delle Fresche Frasche… pace all’anima sua!"
Il Villano tirò una generosa sorsata di vino e scoppiò a ridere. A quel suono stormi di piccoli uccelli canterini presero il volo dalle fronde degli alberi invadendo l’oscurità di cinguetti d’argento.

" In questo bosco ci sono tante cose, c’è vita"
Esclamò stupito il Cavaliere, perdendo insieme al suo contegno un po’ del suo rango.

"Eh già!"
Si limitò a dire il Villano continuando ad amoreggiare con la sua fiasca.

"Non me ne ero mai accorto.. e si che ci vivo"
Disse il Monaco della Foresta di Smeraldo trasognato

"Chi guarda troppo in alto per la paura di cadere in basso, generalmente non vede nemmeno ciò che ha sotto il naso!"
Il Cavaliere si senti colpito in pieno petto. Il Monaco della Foresta di Smeraldo restò impassibile, ma iniziò a raccontare.
"Una volta guardai altrove… una volta passò di qui una donna. Anche lei non si fermò, diceva che la Foresta di Smeraldo era bellissima, ma che doveva andare. Anche lei. Lei diceva “Per di qua se vuoi uscire anche tu….ora lo sai….”. Io da solo non volevo… non capivo perché non potesse accompagnarmi…"

"Eh eh caro mio… allora la strada la sai? Di che ti lagni?
Se nel bosco passa una donna non sai quante ne passano appena al di fuori!
Lei ti ha indicato la via ed è tuo il mondo a cui essa porta."
Disse il Villano.

Il Cavaliere non commentava ma ascoltava tutto. Sentiva l’orgoglio ferito del Monaco della Foresta di Smeraldo come se fosse stato il proprio, ne intuiva la solitudine come parte della sua. Avrebbe forse sguainato la spada poco tempo prima, ma non si sentì di farlo. Le parole del Villano avevano un suono nuovo, mai udito. Erano dirette, erano feroci. Nulla risparmiavano delle leggi dell’onore in cui aveva sempre creduto. Erano ebbre, erano vive. Nulla temevano, neppure di mancar di rispetto.
"Ah ah… qua fermi state? Bene, bene gli uccellini vi faranno in testa il nido… sapete, in mancanza di alberi cavi il popolo alato predilige le teste vuote !"
Il Villano si alzò e ciondolando, senza fretta prese la via della luce.
"Chissà dove va e da dove arriva"
pensò il Cavaliere senza Testa.
Volse quindi il volto verso il Monaco . Non c’era più. Il Cavaliere sperò che non si fosse spaventato tanto da perdersi nei meandri più profondi del bosco per non essere più trovato. Qualcosa gli diceva che avrebbe scelto la via della luce. Con questo pensiero nel cuore proseguì il suo cammino.






Scaglie di luce. Lame di luce. Il giorno. Era uscito dal ventre della Foresta di Smeraldo. La luce gli ferì gli occhi. Per molto rimase cieco, e in quel buio il tempo cadeva goccia goccia. Il Cavaliere senza testa impugnò la spada tenendola bene stretta.

"Il Nemico… il nemico…. Non riesco a vederlo.. ma c’è … c’è sempre nell’ombra. Striscia tra i cespugli, attende nell’erba e quando attacca colpisce al cuore. Devo restare freddo... lucido…. Devo prestare orecchio ad ogni rumore, ad ogni fruscio… ad ogni respiro. Devo essere pronto a ferire… ferire per non perire. Subdolo inganno dell’ombra…. Nemico maligno….ti attendo armato di spada e della mia arte."

Nel buio il tempo si modellava attorno ai pensieri del Cavaliere, naufragati nelle memorie di guerre trascorse. Così quella divenne nel buio la misura di sè e del mondo, senza fiducia alcuna che la timidezza dell’occhio vincesse prima o poi il pudore avuto verso il sole. Ma anche mentre un Cavaliere cieco avanza nei suoi pensieri e nell’ombra, il mondo vive e fa rumore. Un fruscio. Era lontano ma la guerra aveva affinato i sensi del Cavaliere e nella cecità la sua intera ragione serrava le dita attorno alla spada.

"Erba calpestata, chiaramente. Deve essere lontano da me o ne percepirei l’incedere con maggiore regolarità. Soltanto se si avvicinerà di più dovrò temere…."

Ma il fruscio si fece più distinto. Era proprio suono di passi. Non doveva pesare molto questo qualcosa e nemmeno sembrava aver fretta. L’incedere era lento, regolare.

"Viene verso di me…lentamente. Sono questi i passi di chi non vuol destar vigilanza per meglio ferire, o l’andatura di chi non teme di perire perché male non porta? Non mi è dato di sapere… è troppo buio… Devo restare lucido"

Mentre così il Cavaliere meditava tra sé e sé, il fruscio si interruppe. Silenzio e poi rumore di erba strappata. Ancora lievi passi, ma più rapidi. Di nuovo silenzio e rumore di erba strappata.

"L’andatura si è fatta irregolare…Può darsi mi abbia visto solo ora… no.. non si tradirebbe. Deve aver scelto… si è preparato una strada… un arma."

La spada era pronta come la mente che la reggeva. Avrebbe ucciso senza pietà. Odiava la pietà. Il buonismo stantio che fa sopravvivere i malvagi e gli ipocriti, peste delle genti. I passi si fecero più rapidi. Sembrava correre ora quel qualcosa…. Saltellare. Frusciava l’erba sotto i piedi ma anche qualcosa tra le mani.

"È vicino molto vicino. Stringe un’arma tra le mani…. di fronte…è di fronte a me…"

I passi giunsero a lui ed egli colpì. Lo fece con furia cieca. Un lamento… una voce…Per un gioco strano della sorte fu in quell’istante che gli occhi del Cavaliere fecero pace con il giorno. Ai sui piedi giaceva una donna, identica alla morta del villaggio bruciato, con una lunga veste bianca. Anche lei era bianca, come il grande mazzo di fiori che teneva tra le mani. Nel candido lino della sua veste si allargava impietosa e rapida una macchia di rubino.
"Una donna… ho ucciso una donna… "
Trasalì il cavaliere. Saltò giù dal suo cavallo. Era la terza volta che lo faceva..lo fece d’istinto, lo fece in un lampo. Raccolse la donna tra le braccia e la scosse con foga…
"Perché .. perché lo hai fatto… perché non hai urlato! Perché…"

Lei lo guardò. La vita stava fuggendo da lei ma i suoi occhi restavano semplicemente stupiti, stupiti soltanto. La morte non era in quello sguardo più che un fulmineo fendente di spada, che non si coglie, non si fa in tempo a vedere. In quegli occhi stavano invece i prati attorno, il viso del cavaliere ed un mancamento che le bagnava il vestito.
"Volevo porgere fiori ad un cavaliere"
Disse in un soffio
"Non ne avevo mai visto uno… volevo farvi cosa gradita… una sorpresa………"
Morì così senza saperlo ed i fiori caddero su di lei e sul sentiero.

Il Cavaliere la depose a terra. Era arrabbiato, davvero arrabbiato e non sapeva perché. Era arrabbiato con quella donna tanto stolta da saltellare per i prati raccogliendo fiori in tempo di guerra. Era arrabbiato con i prati e i loro fiori. Odiava la luce del giorno che non illumina ciò che dovrebbe. Odiava l’ira che sentiva e sapeva esser compagna della paura. Non si sentiva degno di se “da che ne aveva memoria”. Non era degno d’esser chiamato cavaliere. L’idiozia di una contadina gli aveva tolto l’onore colpendolo con un mazzo di fiori. Spostò il corpo dalla strada e saltò a cavallo.
Non volle pensare ma i pensieri spurgarono nei suoi occhi sentimenti pungenti come sale. Erano lacrime. Non sapendo come,ne cosa, privo di capo e quindi di occhi, il Cavaliere vide il mare. Oltre il mare, venne il riposo. Il cavallo venne aggiogato ad un albero e sotto la sua volta di foglie il Cavaliere prese posto per la notte.
"Cavaliere, il tuo viaggio continua?"
Sobbalzò, appoggiato al tronco, dietro di lui sedeva il Monaco della Foresta di Smeraldo. Era chiaramente molto stanco. Molti giorni di cammino avevano ferito i suoi piedi scalzi e cerchiato di un viola livido il suo sguardo trasognato.
"Sei dunque uscito dal bosco….In quali lande hai vagato, dimmi,se per il tuo cuore ciò non è pena….."

"Oh, nobile cavaliere ciò per me non è pena più del mio stesso respiro, giacchè la stanchezza mi preme sul petto da giorno che nacqui. Ti racconto con piacere della mia strada e degli incontri fatti. Per uscire dal bosco me ci vollero giorni, forse mesi. Lo feci seguendo la luce, come il Villano consigliò, ma lo feci portando in cuore il sogno che avevo fatto di quella contadina di bianco vestita, nei solitari giorni del bosco."
La frase colpì il Cavaliere come un fendente. Una donna con una veste bianca… Tacque.
"La incontrai, sapete Cavaliere… fuori dal bosco. Ella raccoglieva fiori. Erano gigli, i primi fiori che bucano la neve al finir dell’inverno. Sorrideva. I suoi capelli avevano lo stesso colore della paglia su cui dormiva. Era una contadina ma era ricca di sorrisi per me. Parlammo molto e risi anche io, non senza fatica. Mi sedetti, come ora mentre lei continuava a raccogliere fiori cantando. Di colpo smise e si voltò “Sai perchè raccolgo fiori?” mi disse. Non compresi. Lei non se ne avvide. “Li raccolgo per un Cavaliere, sai, se dovessi incontrarne uno”. Mi sentii ferito. Le chiesi se sapeva distinguere o meno un Cavaliere da una pecora essendo nata e cresciuta tra le bestie di cortile. “Certo” rispose lei “Perché nel vederlo egli sarà cavaliere nel mio cuore”. Adirato mi alzai e me ne andai. Lei cercò di trattenermi perché amava la mia compagnia nel sole oggi più che nel bosco ieri. Ma me ne andai lo stesso."
Il Cavaliere era sbalordito. Forse l’aveva uccisa proprio quel giorno? Oh, infondo cosa contava!
"Per te non raccolse mai gigli?"
Domandò come se la cosa non lo toccasse.

£Non lo fece mai."
Rispose il Monaco della Foresta di Smeraldo con tono mesto.

"Sono convinto che sia scellerato chi ruba i fiori dal grembo della terra in un tempo di guerre come questo. Manca in tal anima il rispetto per il dolore dei molti morti e la cura della propria stessa sanità."

"Senza dubbio è così e ciò è ancor più vero se tali fiori raccogli confidando nel cuore e nei suoi inganni."

Villani scellerati, dimentichi del rispetto per chi di spada o di preghiera si arma, per essere d’utilità in quest’epoca di sangue.
Dopo queste ed altre parole il Cavaliere cadde in un sonno convulso, come un’infante stretto in fasce troppo aspre. Vide La Dama del Lago, un bambino che imparava a tirar di spada…vide una testa che cadeva. La sua…………. due grandi occhi neri spalancati…………per sempre aperti……….Si svegliò di soprassalto.
"Pessima notte, pessimi sogni"
Si disse.
Si voltò e vide che era solo. Ancora una volta il Monaco era sparito senza proferire verbo. Pur non avendo tratto dalla notte sufficiente ristoro, il Cavaliere si rimise in viaggio.

Era primo mattino. Un sole ancora assonnato si stiracchiava sbadigliando sui campi, invitando alla veglia i colori tutti. Tutto era fresco in quell’ora.
Non sembra che il mondo sia esistito prima
Pensò il Cavaliere senza Testa ridendo dell’inganno dei suoi occhi.
"La prima ora del giorno, è in tutto e per tutto simile alla creazione. A differenza d’allora però nel mondo esiste il peccato."
La voglia di ridere fu così forte che scompose i suoi modi cortesi. Il Cavaliere buttò indietro la testa e rise a piena gola senza riuscire a smettere. Rise in modo così prolungato e scomposto che l’elmo gli cadde dal capo, rotolando sul sentiero e poi più giù tra le erbe di campo. Il Cavaliere voltò per cercarlo in ogni direzione il suo corpo decapitato… ma non lo vide. Scese allora da cavallo. Era la quarta volta che avveniva, per ragioni che non fossero il riposo dal viaggio. Anche stavolta avvenne senza che egli se ne rendesse conto. Cercò il suo capo sul sentiero, lo cercò tra l’erba. Nulla. Un angoscia profonda gli salì nel petto. Un Cavaliere senza Testa non può combattere per il bene. Lo stigma della sua menomazione lo esporrà alla gogna e al pubblico dileggio, non certo agli onori delle armi. Senza il suo capo mozzato non era più che una deformità inquieta e senza speranza di pace. Nessuno doveva vederlo. Nessuno doveva sapere.

Una risata d’argento si levò dal campo di grano.
"Ehi… Cavaliere? Cercate forse questa?"

Tra le spighe mature, in piedi a braccia alzate stava una ragazza. La sua veste era bianca ed i suoi capelli di paglia. Il Cavaliere restò di sasso. Non era quella la donna morta nel villaggio bruciato? Non era quella la donna che lui aveva ucciso ?

"Scellerata ridammi quell’elmo!"
Urlò rivolto a lei. Era stupito. Era irato. Ancora una volta quella contadina si faceva beffe di lui.

"Bleah!"
Fece lei per tutta risposta, facendo boccacce come fanno i bambini.
"Vieni a prenderla la tua testa se proprio ci tieni!"

Il Cavaliere era furente. Quale onta! Quale disonore! Quella donna villana era il disonore del suo genere e l’aborto di qualsiasi forma di umano decoro. Mosse verso di lei passi furiosi. Il ferro dell’armatura faceva un gran rumore. La sua ira e la sua possenza avrebbero intimorito chiunque. La donna infatti smise di ridere, ma non per questo abbandonò l’elmo. Iniziò invece a correre, sollevano le vesti attraverso le onde scomposte del grano maturo. L’ira armava i piedi del cavaliere di grande velocità, nonostante il peso dell’armatura. La ragazza però era leggera e per questo riusciva a non farsi acchiappare. Corsero e corsero tra le spighe di grano, il Cavaliere senza Testa e la Donna con la Veste Bianca. Corsero finchè in cielo Qualcuno si divertì, o forse semplicemente finche lei non inciampò e cadde. Il Cavaliere le fù sopra. Stava per strapparle di mano l’elmo, quando lei si voltò. Il suo viso non era bello, ma sorrideva talmente che nei suoi occhi cadde il cielo intero. Il Cavaliere esitò un istante.

"Veramente avrei voluto portarti dei gigli…."
Disse lei facendo una smorfia buffa.

"Dei gigli? Cosa dici…. Non sai nemmeno chi sono………."

"Sei un Cavaliere è evidente…."
Rispose lei ridendo.

Lui si incupì.
"Un armatura può indossarla chiunque, come vedi, anche un uomo senza testa! Sei un ingenua!"

Lei lo guardò negli occhi e rispose
"Lo so, per questo non è in virtù di essa che riconobbi in te un Cavaliere……….."

"Fu in virtù dell’egoismo del tuo desiderio allora! La stessa superficialità imperdonabile che ti porta ad avventurarti nei boschi oltraggiando la preghiera dei saggi anacoreti e vagare da sola nei campi a raccogliere fiori cantando, senza rispetto per chi in guerra combatte, senza rispetto per chi di guerra perisce………"
Lei taceva e lo guardava negli occhi benchè non avesse testa. Il Cavaliere lo sentì e smise di parlare.

"Dici cose sagge Cavaliere."
Disse lei con dolcezza.
"So che tanto devo imparare. Ma una cosa la so anche io e non rinuncerò a dirvela."

"E sia"
Convenne lui.

"Questa è l’ora della creazione. Tutto è nuovo nell’ora prima. Tu e ed io siamo le prime creature di questo mondo. Il resto viene dopo di noi. Dopo di noi vengono l’uomo e la donna, il cavaliere e la contadina, la guerra ed il villaggio bruciato. Tutto può essere nell’ora prima se due creature vogliono animare un mondo diverso."

Le labbra del Cavaliere furono baciate e baciarono anch’esse pur non avendo egli un capo. Egli non capì come fosse possibile ma senti tutto. Sentì il profumo, sentì la morbidezza. Si lasciò avvolgere dal grano e dai suoi capelli.
Occhi aperti. Il Cavaliere si ridestò ed era solo. Era nudo nel prato, la sua armatura accanto. Non riusciva a capire per quanto poteva aver dormito. Si accorse che il sole della primavera aveva avuto il tempo di colorare il suo corpo pallido di una lieve sfumatura bruna. Lo guardò. Era il corpo di un uomo. Aveva molte cicatrici ed era privo di capo. Quello era lui stesso “prima che ne avesse memoria”. Si mise a sedere e si guardò attorno. La Donna con la Veste Bianca non c’era. Nessun altro aveva visto. Ne fu sollevato. Si alzò e reindossò l’armatura. Quando montò in sella era gravido di molti pensieri.
Percorse molta strada. Attraversò villaggi in cui sostò e si ristorò in altrettante taverne. Lo avvolsero fumo e risate. Il vino scaldò il suo ventre. Attraversò ancora boschi ed ancora prati, e dormì coprendosi con le stelle soltanto. Il tempo fluiva in modo strano, ormai lo aveva notato. Avrebbe dovuto avere mille anni almeno ed invece aveva sempre lo stesso aspetto. Lui come il suo cavallo. Era una cosa che aveva accettato. Il suo viaggio continuava e fu così che giunse al mare. Una volta sola lo aveva visto, nelle lacrime, ma mai il mare aveva visto lui. Gli si mostrò sfrontato, immenso e periglioso.
"Come la memoria, e come il futuro."
Pensò guardandolo. Si tolse l’elmo, per sentire le carezze della brezza salata.

"Eh già"

Il Cavaliere sussultò. Reindossò l’elmo più in fretta che potè mentre con la destra armava la sua spada.

"Ohi ohi… Colto sul fatto? A contemplare il mare come un qualsiasi uomo? E per di più senza testa?"

"Come fai a leggermi neri pensieri? Chi sei? Esci allo scoperto vigliacco. Cosicchè io possa vedere il viso di chi mi parla con tale insolenza!"

"Parla chi di volto non ne ha uno,e quel che crede d’avere in suo luogo,tiene celato nell’elmo!"
Una risata scrosciante seguì queste parole. E mentre ancora il riso fluiva infrangendosi contro il suono delle onde, da dietro una duna sbucò un uomo irsuto, di pelli vestito. Nella destra reggeva una fiasca di vino.

"Il Villano!"
Esclamò il Cavaliere senza Testa.

"Proprio così mio errante amico! Eh si che la mia voce è inconfondibile. La memoria inizia forse a farvi difetto?"

"Al contrario, ricordo bene voi e le vostre parole,e molto altro serbo nella mia memoria"

"Oh bene bene, smontate allora da cavallo, perché nulla sia addice di più gustar con il vino che le memorie"

Scese da Cavallo, il Cavaliere senza Testa, per la quinta volta. Sedette accanto al Villano, a gambe incrociate sulla sabbia. Bevette dalla stessa fiasca, raccontò del viaggio e della Dama del Lago, dei duri esercizi E di quella testa mozzata con due grandi occhi neri, aperti per sempre. Il Villano ascoltava, rideva e beveva. Il Cavaliere dimenticò l’armatura, la spada e l’elmo e giacque ebbro a corpo nudo nei raggi del sole della sera.

"Il vino scalda il cuore…"

"… e ristora le membra. Mi chiedo perchè i chirusici rimedino il male con salassi, quando tanto bene fa mescolare le nefandezze del nostro sangue a quello sano della terra…………."

"Dicono rinvigorisca il corpo...."

"Nulla che sprechi di te è bene, mio giovane amico,sia esso una goccia di sangue o una vita intera."

"Potrei averlo fatto Villano,poiché mi accorgo che passa il tempo,ma io resto il medesimo,ne invecchia il mio cavallo……"

" Oh questi eroi.. sempre tragici…sempre estremi..cantan di sé la propria ovazione o il proprio dileggio,con la prevedibilità di una marea,ed ogni volta credon d’aver fatto cosa nuova…. Il tempo poi! Dio boe! Dimmi del tempo che può sapere un uomo decapitato che viaggia eternamente?"

"So che il tempo passa e quando accade è perduto."

"So.. so… tu misuri il tempo con gli zoccoli del tuo cavallo… che ormai credo di essere sufficientemente sicuro di affermare che altro sian che le tue gambe. C’è una strada dietro la tua sella, già percorsa ed una di fronte… od altre e infinite. Quello è il tempo per chi erra eternamente………….Ma il tempo è invece ben altra cosa. Esso è un cerchio, come le aureole dei santi e nel contempo una sfera, come lo è il sole. In esso ogni cosa ritorna ma mai identica a se, eternamente nuova e accresciuta. Accadono molte cose assieme che nel tempo lineare si negherebbero a causa di una falsa consequenzialità. Il tempo ha molti livelli e spessore più che durata.. esattamente come le membra di un essere umano.
Neghi dunque il concetto di creazione e di fine dei tempi?"

"Io non affermo ne nego. Io parlo al mare e bevo vino. Così ogni volta creo o sono distrutto grazie all’anima che incontro. Ogni istante è un inizio e una creazione nello spessore infinitamente profonda del tempo."

Il Cavaliere restò in silenzio. Riusciva a comprendere quelle parole, benche il loro riverbero fosse ben differente da quello delle idee possedeva e portava con se da molti anni. Pensò allora al suo passato, pensò al suo futuro e al suo presente.
"Mi accadde nel mio viaggio un incontro strano…..In un villaggio bruciato trovai privo di vita un corpo di donna. Lo composi su un tavolo con cura e me ne andai. Vidi poi quella donna viva e la uccise la mia spada. Ancora poi la incontrai viva e si fece beffa di me, baciandomi poi tra spighe di grano maturo."

"Oh beh… niente di strano in realtà. Come ti ho detto, il tempo è tondo come il sole. Esso non procede inesorabile come una freccia ma pietoso come il ventre di una madre. Al suo interno stiamo tutti insieme, morti, vivi o più morti che vivi. Quella donna era morta prima e viva poi o ancora il contrario e il contrario del contrario? Tutto è vero rispetto al tempo, tutto è falso rispetto ad esso, mio giovane amico. Reale è ciò che i tuoi occhi hanno visto e il tuo cuore ha sentito. Ognuno di noi viaggia innanzitutto all’interno di se stesso."

"Oh … l’ho fatto ..ora lo so…. Ho provato tante cose……….ira profonda, paura, rabbia, angoscia, confusione, tenerezza…Ho usato due braccia e non solo uno, ho usato le mie gambe e non solo quelle del mio cavallo. Non distinguo bene ,ne so come percorrendo un sentiero come tanti, sia giunto in tale mondo"

"Questione di livelli, oh Cavaliere solo di livelli.."
Il Villico rise finendo il vino rimasto con un ultima avida sorsata. Poi si fermò pensoso.
"Anch’io vidi quella donna…. Non molto tempo fa…."

"Tu..la vedesti?"
Disse il Cavaliere sospendendo a mezz’aria il gesto che portava la fiasca alle labbra.

"Oh si… la vidi…la vidi una e poi più volte. Non è difficile ritrovarla. Ogni giorno si reca sul ponte di cristallo, al di sopra il mare, che congiunge questo mondo a quello oltre l’orizzonte."

"Il Ponte dei Due Mondi….."

Già Cavaliere, vedo che avete buone nozioni geografiche. Sono lieto di non dovervi fare da precettore su tali materie…. Trivio e quadrivio m’han sempre affaticato!"
"Conosco il luogo Villano e tu ben sai il perché. È un luogo quello da cui, pur errando per vita devo astenermi pena la morte. Non è dato ai Cavalieri senza Testa transitare su ponti, e men che mai sul Ponte dei Due Mondi."
"Questo lo so bene. Chi è senza capo perisce senza terra sotto i piedi!"
"È così."
Il Cavaliere bevve e restò un secondo sospeso. Tanto vino lo confondeva… ripassò la fiasca al Villico e domandò guardandolo negli occhi.
"Che fa ella ogni giorno sul Ponte dei Due Mondi, Villano? Non trovo nessun motivo logico per far di quel luogo meta di pellegrinaggio….."
Riprendendo tra le mani la fiasca il Villano rispose
"Oh, non di pellegrinaggio si tratta mio nobile Cavaliere. Non mi è parsa ella una donna che snoda per trascorrer le notti i grani del rosario…"
bevve
"… so che ella porta seco una piccola ciotola dipinta di fiori azzurri, colma d’acqua di sorgente. Giunta dove l’arcata del ponte raggiunge la massima altezza poi, intinge in essa una delle sue dita, la sporge sul mare al di la del parapetto e lascia che in esso cada una goccia."
"Assurdo.."
Rise il Cavaliere, lasciandosi cadere supino.
"Già … come il fatto che conti anche una goccia nel mare, amico mio, e che il mare intero sia diverso senza di essa…"
Il Cavaliere non trovò parole. A tutto questo non aveva mai pensato ed ora il vino lo abbracciava troppo stretto.
Se bevi vino, se la brezza del mare ti sfiora le guance, se puoi essere guardato negli occhi e baciato sulle labbra, amico mio, esistono buone probabilità che tu una testa ce l’abbia….
Si alzò e raccolse le sue misere cose voltando le spalle al Cavaliere.
"Tu la vedi?"
Chiese il Cavaliere troppo colmo di vino e di pensieri per alzarsi a sua volta.
"Ahhh non te lo dirò!Ti pare sensato da parte di un Cavaliere domandare ad un ubriaco per di più villico se possiede un capo?"
Il Cavaliere rise di se e il Villano gli fece compagnia.
".. comunque sia Cavaliere con la zucca o di zucca privo, se la cosa tanto ti preme, puoi recarti sul ponte….. Hai scoperto di avere due braccia e due gambe…. Altro potresti scoprire………… ed altro ancora. "
Sogghignò.
"Se invece nella morte di accorgerai che già sapevi… beh… non temere come sai nell’offrire vino non faccio differenza tra vivi e morti! "
Il Cavaliere ascoltò quelle parole, inchiodato com’era a terra dai fumi del vino. Si sentì quindi scivolare in un sonno profondo a cui non potè far altro che cedere.
"Crollato…. Un Cavaliere sconfitto da qualche acino d’uva spremuta!"
Commentò il Villano e canticchiando si allontanò nel tramonto.


Gennaio 2010


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Ode Alle divinità


Cloroformio



Anatema

Che i suoi fedeli non odano

questa forma di neopanteismo

(quelli che già sanno, mi odiano):

cadrebbe il loro perbenismo

sentendo simili proclami.

L’ira potrebbe accecar l’amor,

creando dei violenti villani.

E allora sì che sarà dolor!


No, evitiamo un’altra crociata!

Inutil stragi? Già compiute.

Niente violenza - anche carnale -,

neppur di fronte all’anatema.

Il verbo si è fatto carne, ma

pure pesce e ogn’altro animale:

ricca è la fauna! E la fantasia,

che ancora non è un’eresia

(almeno non ufficialmente),

amplia a tutto lo scibile umano

le associazioni della mente.

Ma un’eresia c’è: non invano,

sia chiaro, ma lo nominiamo.

Tra i mille binomi che creiamo

per accompagnare il suo nome,

ne va ricordato uno, in primis,

che i classici, tra cui Catone,

già allora usavano: devs canis.


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