Resistenza a La Ciofeca Reale II, Secondo capitolo

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lagrandefame
view post Posted on 20/8/2010, 01:34






CAPITOLO SECONDO


Il coprifuoco regnava annoiato sul silenzio del paese, silenzio spezzato solo dai passi stanchi dei militari di ronda che battevano irregolari sui sanpietrini della piazza; passi stanchi e pesanti accompagnati di tanto in tanto da deboli gemiti di donne in amore.
"LA CIOFECA REALE", nell'ora del coprifuoco, all'esterno assumeva un aspetto desolato e malandato: le saracinesche erano imbrattate di slogan antijuventini risalenti agli anni che precedettero lo scoppio del conflitto, mentre l'insegna spenta suggeriva ai cani vagabondi l'immagine di una vacca magra senza più forme. I cani erano a quel tempo gli unici esseri che potessero fare uso di sostanze stupefacenti per avere l'illusione di non patire la fame, in modo che non avessero l'intenzione di attaccare l'uomo.
Nessuno sapeva che la parte interna delle saracinesche del bar fosse tappezzata da cartoni delle uova atte all'insonorizzazione. Nessuno sapeva che delle voci borbottassero tra le fioche luci del locale. Nessuno, o quasi, sapeva che lì dentro pullulava della vita durante il coprifuoco.
Quella sera il Barbozzi era particolarmente euforico, l'incontro ravvicinato col temibile tenente Pertusi lo aveva rassicurato su una cosa: la resistenza all'esercito invasore non solo era appena cominciata, ma era anche già a buon punto. Era convinto che di lì a tre mesi tutto sarebbe finito. La strategia partigiana era geniale.
I compagni-avventori che prendevano parte alle riunioni serali erano una decina, ma pare che altri bar di paesi limitrofi stessero seguendo con successo l'esempio de "LA CIOFECA REALE", certamente il luogo meno sospettato dai militi per quelle adunate di sovversivi. Era il bar del centro, frequentato anche da ufficiali e sottoufficiali dell’esercito reale.
Oltre all'impianto d'insonorizzazione del locale il buon Barbozzi aveva anche pensato a un altro impianto che non facesse sprigionare alcun aroma dalle fessure delle saracinesche proveniente dall'interno. Aroma di caffè, naturalmente. Quello vero, quello puro, quello buono, quello d'una volta, s'intende. Tutto ciò supportato da un ennesimo impianto d'areazione e da casse di bombolette spray fragranza Ciofeca.
Il Barbozzi, in poco tempo, era riuscito a creare un ambiente ottimale non solo per ordire piani di resistenza al nemico, ma anche per tornare a godere di uno dei più grandi piaceri del glorioso passato: bere caffè.
La sua macchina da Ciofeca era in realtà truccata, bastava schiacciare un pulsanti rosso e l'aggeggio tramutava le sue funzioni, lavorando sublimi miscele di puro caffè nascoste al suo interno.
Quella sera i partigiani erano tutti seduti attorno ai rotondi tavolini del bar: tazzine orgogliosamente inondate da espressi napoletani e piattini ricoperti da grasse sfogliatelle del pasticciere sovversivo Carlonzo ruotavano magicamente sotto l'orgasmo dei loro sguardi.
Il professor Cazzimbocchio, insegnante di italiano Ciofeca, era già al suo settimo caffè e alla quinta sfogliatella e parlava col Barbozzi. Erano grandi compagni di lunga data.
- Mio caro Barbozzi, non c'è un solo mio alunno che scriva diversamente dalla massa. Ci sono effettivamente due o tre che ne avrebbero le potenzialità, ma i libri che leggono non li aiuteranno certamente a cambiare il modo di esprimersi - disse mestamente il professore.
- Perché, che leggono?
- Saggi dei consiglieri del re, trattati di strategia militare del colonnello Culotti e romanzetti rosa di quella baldracca della Cefalozzi. E poi si sciacquano la panza con due litri di Ciofeca al giorno, e un litro solo durante le ore di lezione! Mi creda, che tristezza!
- Le credo, le credo, ma non è colpa loro, sono solo ragazzini. Ne faccia venire qualcuno qui, professore.
- Non sarà facile, sono perennemente controllati dai genitori.
- Mi dica una cosa, professore, c'è qualcuno che sospetta di lei?
Il professor Cazzimbocchio guardò il Barbozzi col moccio che gli colava indignato dal naso a punta.
- Barbozzi, nonostante la nostra grande amicizia, le ricordo che sono stato il primo ad avere idee sovversive in questo paese di ciofeche. So bene quello che faccio. Inoltre, ho buon occhio per le menti perplesse. Per esempio, ci sono un paio di bidelli che parlano da soli, recitano rosari di bestemmie tra i denti, puliscono i cessi con fare stizzito e bevono al massimo quattro cinque Ciofeche al giorno, segno che tra un po’ saranno dei nostri. E' gente che ha bisogno di un buon caffè.
- Faccia attenzione, professore.
- Stia tranquillo, caro Barbozzi, come se bevesse rum su un'amaca.
- Che dice, riusciremo nel nostro intento, professore?
- Non ne dubiti. La società di oggi abbonda di ciofeche, ma c'è ancora del buon caffè che uscirà fuori imperioso al momento giusto. Non ne dubiti, non ne dubiti.
- A proposito, che mi dice di questo caffè, eh?
- E' quasi meglio de "I Fratelli Karamazov". E io sono un grande estimatore dell'amico Dosto.
- C'è qualcuno che lo legge ancora, professore?
- Lei lo legge, Barbozzi?
- Devo leggerlo?
- Lo legga , lo legga, quel fetente le succhierà piacevolmente la psiche. Poi, se vorrà, le farò leggere la parodia del celebre romanzo.
- Uh?
- "I Cugini Sarchiapone", l'ho scritto io. Vedrà, dopo la guerra avrà il suo meritato successo.
- Un altro caffè, professore?
- Molto volentieri. Dove lo prende?
- Ho amici partigiani a Caracas che lavorano per il regno.
Il professor Cazzimbocchio sorrise portandosi la tazzina alle labbra.
- Fottono il sistema entrandovici dentro, penetrandolo come una bella pollastrella consenziente. E' la perfezione. Ha mai letto "Il banchiere anarchico"?
- Devo leggerlo?
- Lo legga, lo legga. Davvero speciale questo caffè.
- Davvero speciale, sì.

In un angolo del bar, in compagnia degli aromi che fumavano dalla sua tazzina, un ragazzo occhialuto strimpellava una chitarra. Era il musicante dei sovversivi, il cantore della resistenza, il chitarromane della rivoluzione macinata e tostata. Suonava il suo "Moka blues" con le mani che schizzavano impazzite sulla tastiera e sulle corde. Era il più accanito bevitore di caffè del paese. Qualcuno gli portò una sfogliatella: con una mano iniziò a divorarla, con l'altra continuò a suonare. Non parlava mai, suonava e cantava e le sue idee erano chiare a tutti: espresso napoletano al potere.
In un altro angolo, seduta da sola, una ragazza dai capelli rossi e dal generoso petto disegnava modelli futuristi di macchinette del caffè. Lei non ne beveva, aveva disturbi allo stomaco, ma per lei erano la mentalità e la cultura del caffè che contavano. Concordava con quello che diceva il professor Cazzimbocchio: "la società di oggi abbonda di ciofeche".
Il bluesman e la disegnatrice si guardavano spesso, lui con un assolo in La maggiore, lei con un giocoso scrollare dei seni.
Finita la guerra si sarebbero forse sposati.

- Dobbiamo tenere duro, professore - diceva il Barbozzi rosso in viso - la resistenza è appena iniziata, ma se facciamo quello che ci siamo prefissati di fare, tra tre mesi sarà già tutto finito.
- Tra tre mesi? - disse un nuovo interlocutore, Scappellazzi, il parrucchiere del paese. Da tempo faceva bere caffè alle sue clienti mettendolo nelle fialette per la ricrescita dei capelli.
- Sì, tra tre mesi esatti, quando il re farà visita al nostro comune.
- Il re verrà qui, in questa ciofeca di paese? - chiese incredulo Scappellazzi.
- Lei dimentica che sguazziamo in un regno Ciofeca, mio caro - intervenne seccamente il professor Cazzimbocchio.
- E che succederà quel giorno, professore?
- Non lo sappiamo ancora - intervenne il Barbozzi emergendo da un'ennesima tazzina - ora l'importante è incontrarci sempre più numerosi, la resistenza non possiamo farla soltanto noi. Berremo più caffè che possiamo per disintossicarci dalla Ciofeca e tra un paio di settimane sapremo con precisione cosa fare tra tre mesi esatti. Quel giorno noi saremo forti, il re cadrà dal suo trono e i suoi sudditi saranno schiacciati dal nostro furore.
- Barbozzi, che fa, recita un poema? - disse il professore.

Il chitarrista di "Moka blues" smise improvvisamente di suonare, adagiò il suo strumento sul bancone, prese la tazzina ancora fumante con sé e si avvicinò alla ragazza che disegnava macchinette del caffè, modelli futuristi. Lei ebbe un fremito, lo guardò negli occhi e sorrise. Lui bevve un sorso di caffè con un gesto grazioso, si passò la lingua sulle labbra e puntò l'indice della mano sinistra su un disegno.
- Ti piace questa macchinetta? - chiese la ragazza con un fil di voce.
Il ragazzo rispose con un "sì" in Mi maggiore rauco.
- Vuoi vedere gli altri modelli?
Il bluesman si chinò e la baciò.
Finita la guerra si sarebbero certamente sposati.

Qualcuno bussò alla saracinesca del bar, dieci colpi a raffica, come un assolo di rullante. Nessuno sussultò: era il codice acustico di riconoscimento tra i sovversivi.
Il Barbozzi si alzò pesantemente dalla sedia e si diresse sul retro del bar. Il caporale Linguazzi fece il suo ingresso appesantito da sacchi e pacchi, sudato e ansante. Il sovversivo Magnarozzi, il postino del paese, gli venne subito incontro per dargli una mano. Erano grandi amici.
Linguazzi era in borghese e indossava una maglietta della squadra locale di calcio con lo sponsor "LA CIOFECA REALE".
Come entrò nel bar respirò a pieni polmoni il forte aroma del caffè, tenendo il naso puntato verso l'alto per parecchi secondi. Quasi svenne, e il suo amico Magnarozzi prontamente gli servì una tazzina di buon caffè.
- Bevi, amico mio, rifatti la bocca.
- Grazie, Magnarozzi, è da ieri mattina che non ne bevo.
- Si segga, Linguazzi, si segga, la prego. Sarà stanco morto - gli disse il Barbozzi offrendogli un posto attorno al tavolino del professor Cazzimbocchio.
- Grazie mille, professore, ne ho proprio bisogno. E' dura trombarsi la moglie del tenente Pertusi tutte le dannate sere.
- Una sfogliatella? Sono state appena sfornate.
- Magari.
- Mi scusi, ha detto che si inchiappetta la mogliettina del Pertusi tutte le sere? Ha detto proprio così?
Il professore pareva divertito.
- Cosa crede, che mi diverta? Sono costretto a farlo. Il Pertusi è un pervertito. Ogni sera, terminato il servizio, mi invita a cena. Si parla sempre di come fare a stanare i sovversivi dai loro aromatici cantucci. Due palle! Poi mi ordina inesorabilmente di andare in camera da letto e di trombarmi la sua timida signora, mentre lui ci guarda centellinando Ciofeca, neanche fosse Armagnac. Pazzesco! Oltre tutto sua moglie è un gran cesso.
Linguazzi si ristorò dando un vigoroso morso alla sfogliatella e annegando le labbra nel caffè.
- La capisco la capisco. Ma cos'ha portato di buono, Linguazzi? Mi pare di averla vista sepolto da pacchi e pacchetti - chiese Cazzimbocchio iniziando a sputare gocce di caffè dalle orecchie. Ormai era alla sua diciottesima tazzina.
- Un po’ di generi alimentari, sigarette colombiane, piccoli aggeggi che ci serviranno per le nostre azioni sovversive. Ma soprattutto caffè. Vede?
Il caporale prese un pacco blu cobalto e strappò violentemente la carta avvolgente.
- Questo viene direttamente dalla torrefazione clandestina del mio paese, il gestore è un mio vecchio amico, un ragazzo molto in gamba. Ovviamente è dei nostri.
- Conosce bene la torrefazione?
- Una volta ci lavoravo, prima della guerra. Questa miscela è molto molto particolare, caro professore. Non serve solo a farci godere del suo gusto e del suo aroma che sono di un altro pianeta, ma anche, e oserei dire soprattutto, a darci la forza necessaria innanzitutto per difenderci da questo merdoso nuovo ordine costituito, e poi per distruggerlo. Bisogna annientare l'abbondanza di ciofeche in questa società. Vero, professore?
- Sono stato il primo a dirlo.
- Certo. Questa che ho portato, professore, è una raffinatissima miscela che abbiamo elaborato io e il mio vecchio amico della torrefazione - riprese il Linguazzi - Tutta roba naturale, s'intende.
- Ragazzo, lei è un portento d'ingegno.
- Grazie, professore.
- Non c'è di che. Barbozzi, faccia sollazzare un po’ la sua macchina infernale. Le schiaffi dentro questa roba e lavi un po’ di tazzine. Carlonzo, che cristo, altre sfogliatelle! Giovanotto con la chitarra, faccia urlare quello strumento, lo violenti, gli strappi le corde, faccia qualcosa, eccheccazzo! La notte è adolescente!

Il chitarromane sovversivo e la disegnatrice futurista si allisciarono a lungo. Poi lui prese dolcemente la mano di lei e la condusse nella toilette.
Qualcuno li vide, ma non osò dire una parola.
Erano tutti entusiasti.
Finita la guerra i due ragazzi avrebbero sicuramente avuto dei bambini.

- Come sta quella ciofeca del re, Linguazzi? L'ha visto? - chiese il professore sbevazzando con voluttà la miscela del caporale.
- Sono stato al Palazzo Reale tre giorni fa. Purtroppo sta benone. Si sollazza a deridere la servitù e i militari che lo circondano. Sembra che conosca più di mille barzellette e storielle stuzzicanti da raccontare alle belle domestiche.
- Nessun cedimento nervoso?
- Niente, professore. Ma non ci abbattiamo, conosciamo tutti il suo punto debole, ce ne accorgeremo quando verrà dalle nostre parti. Lo aspetteremo. E' qui da noi che schiatterà. Faremo esplodere migliaia di macchinette zeppe di questa miscela e l'aroma farà il suo devastante effetto.
- Com'è la situazione al vicolo Storto?
- E' il buco più sovversivo di tutta la provincia. Per ora la calma è soltanto apparente, poi faremo di tutto perché il corteo reale sfili ad oltranza nel vicolo tra tre mesi. Ammetto che i fratelli Cazzacci sono stati piuttosto distratti e avventati negli ultimi tempi, bevono caffè nelle ore meno indicate e il Pertusi ha annusato il sospetto. Oggi mi ha fatto mandare una pattuglia lì al quarto piano. Ovviamente gli abitanti del vicolo hanno capito tutto. Un bambino, dopo essere andato a pisciare nel serbatoio della macchina del papà, ha avvisato i Cazzacci. Hanno lasciato l'appartamento subito dopo che io e il tenente ci siamo allontanati dal vicolo.
- E dove sono, ora?
- Li ho fatti mandare alla torrefazione clandestina del mio paese. Organizzeranno la loro resistenza col mio caro amico. Come vede, esimio professore, c'è grande mobilitazione. Solo, dovremmo stare più accorti.
Il Barbozzi zampettava dietro al bancone per l'eccitazione. La miscela del caporale Linguazzi fu un autentico successo: le tazzine svolazzavano sulle teste nervose dei sovversivi, i commenti entusiasti correvano frenetici per il bar. Il chitarromane e la disegnatrice si fecero servire direttamente nella toilette, tra gemiti e scossoni. Ne bevve un sorso anche lei, malgrado la gastrite.
L'euforia era palpabile e non ci si accorgeva del frastuono che si stava inevitabilmente creando. Qualcuno gridacchiava come ubriaco, qualcun altro intonava un inno alla resistenza appena inventato.
La miscela della torrefazione Linguazzi e Company era una vera bomba.

 
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