Roberto Sonaglia |
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| Io adoro Charles Dickens. Grandi speranze è nella mia personale top five dei libri che mi porto nel cuore, ma praticamente amo tutto quello che Dickens ha scritto. Un autore per certi versi assolutamente legato al suo tempo, ma che dello spirito del suo tempo ha saputo eternare gli aspetti più significativi. Dickens è il cantore dell'inghilterra al bivio del modernismo, della rivoluzione industriale, di una realtà sociale in mutamento, che portava con sè speranze (appunto) e scompensi, positivismo e disparità. Nessuno prima di lui (nessuno come lui) è riuscito a tratteggiare in maniera così completa personaggi che, di quel substrato, ne costituivano l'anima, spesso malata, spesso disperata, sempre descritta con una profondità e un'umanità che gli valsero le lodi di Dostoevskij. L'umanità di Dickens, già, per molti un 'limite', un eccesso di tenerezza che rischia sempre di sfociare nel pietismo. Ma basta leggere i cinque racconti di natale per comprendere quanto quel limite non venga mai superato, piuttosto sublimato nella ricerca della luce che brilla in fondo ad ogni tunnel. Perché è questa la forza di Charles Dickens: non credere nei vicoli ciechi. E anche nelle storie più cupe (La casa vuota, le parti iniziali di Oliver Twist e David Copperfield) c'è sempre qualcosa che illumina le 'vere' speranze. La forza di volontà, la consapevolezza di far parte di un'umanità che ha la sigla del Grande Disegno scritta nell'anima. Quella forza indomita che lo portò, negli ultimi anni della vita, ad utilizzare la fama acquistata come scrittore, per farsi messaggero dei diritti umani e civili, con conferenze e letture in giro per il mondo, proseguite anche quando le sue condizioni di salute peggiorarono. Fino alla fine, insomma. Nelle sue pagine brucianti quella forza umana continua ancora a vibrare, per questo se mi chiedono chi è il più grande scrittore contemporaneo, io rispondo ancora: "Charles Dickens".
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