Sickness

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Nawal_Grace
view post Posted on 7/9/2012, 11:39




Nel cimitero delle caramelle dorme il cadavere di una coccinella.
Le sue dita sono irrigidite dallo zucchero. La morte è il sogno deforme appeso sulle pareti spoglie della sua stanza.

Io sono malata. Io esisto. La mia malattia si alza in piedi e cammina per la stanza io la seguo come un ombra
scontrandomi con gli angoli del muro.
Questa stanza è chiusa, la morte non può entrare, perché Lui non vuole. Lui vuole che io stia qui. Con le braccia a brandelli e il cadavere
del sole che mi macchia il pigiama.
Lui ha promesso che ucciderà il sole. Chi è lui io non lo so. Ha tutti i visi del mondo appiccicati assieme. Tranne il viso di Gogol,
quello è nascosto sotto il mio cuscino.
Lui. Quando lo seguo nel corridoio, sento l'odore del suo camice, è l'unica cosa pulita qui dentro.
Io non esisto.
Le tue grida colano dal soffitto, il mio vestito bianco diventa rosso, lui si arrabbierà di nuovo. Con te.
Le ore non sono ancora passate, io le ho già finite, non so che farmene di questa bugia. Ci sono solo le mie braccia aperte sul letto,
i nastri di cerotto che le avvolgono mi dondolano nel cielo bianco senza sole del soffitto, sfiorando le ferite aperte sotto le mie unghie ,
allungo le mani verso i tuoi pensieri.
Mi sei indispensabile per continuare a stare qui, non so niente di te, solo che quando distruggo qualcosa, Lui va da te per cercare
la mia medicina. Tu sei la mia scatola di caramelle. Divoro i miei organi cullata dal rumore della pioggia.


Morire tra le viole: Lui ascolta sempre questa canzone nel suo studio. Io abbasso gli occhi sulle mie ginocchia piene di lividi. Non riesco a
non essere cattiva. La paura non basta più. Non vince contro la noia. Morirò davanti alle margherite. Loro amano il sole. Diventerò una stella
con la gola recisa come una preghiera al contrario.
Le margherite. Le odio da morire. Ogni volta che piove e posso affacciarmi alla finestra della mia camera vedo una distesa bianca
di margherite che fissa il vetro della mia stanza sporco di sangue. Le odio. Passo sul vetro la manica della felpa e cancello
l'orgoglio rotto che mi cola dalle braccia.
Io non esisto. Cosa vuol dire esistere? Nella mia testa c'è un vuoto terrificante, più cattivo della mia malattia. Cosa in realtà esiste? I muri?
Le margherite? Le infermiere? Sono come li vedo io o hanno un altra forma? Sono tutte cose che ho inventato io?
In realtà solo la mia malattia esiste. E Lui. Ma per quanto? Vorrei che sparissero. Ma sono terrorizzata all'idea che un giorno non ci saranno più.

Una malattia autoimmune sistemica. E' tutto quello che sono. Quello per cui Lui si interessa a me. Non so quale sia il nome di questa
malattia. Non sento dolore. So solo che quando ho delle ricadute le mie dita diventano viola. Non so se sono nata con questa malattia,
ma immagino di si. Sono cresciuta in questo ospedale, l'unico ricordo che ho prima del suo camice bianco, è una busta di plastica bianca.
La mia stanza è grande, al lato destro del letto c'è una finestra con delle pesanti tende marroni fissate al muro da una sbarra chiusa con
un lucchetto, la sera alle 19,30 un’infermiera fa scattare la serratura del lucchetto e scosta le tende, se piove viene di pomeriggio,
le lascia aperte fino alle 7 della mattina successiva. Dalla finestra si vedono solo le margherite. Per questo amo la pioggia,
quando piove mi avvicino alla finestra e guardo le margherite affogare.

A parte Lui e le infermiere non vedo altre persone. Potrebbero farmi male. Potrebbero passarmi dei virus e il mio sistema immunitario
andrebbe in frantumi. A volte vedo qualcuno dalla finestra e la mia testa si riempie di un senso di nausea. Loro giustificano la morte.
Sono prototipi difettosi e malriusciti di un pensiero che non è ancora riuscito a completarsi? Arriverà un giorno in cui Dio creerà
qualcosa di, forse, somigliante agli essere umani ma totalmente diversa. Loro, adesso, sono solo brutti pupazzi condannati al macero.

Sul pavimento qualcosa che sembra una macchia dai contorti sfocati, seguo la sua scia con lo sguardo fino alla tenda spessa della finestra
alle sue spalle, un pezzo di stoffa si è sfibrato, è da li che riesce a filtrare la luce del sole, il Suo amore per me si sta consumando.
Con le braccia ferme sopra il tavolo dei prelievi, i palmi delle mani aperti, aspetto che attraverso i polsi la vita mi vada di traverso.
Le sue mani si muovono nervose sui fogli, una crocetta accanto a ogni cosa che ancora non è riuscito ad aggiustare, una se il danno è lieve,
tre se è grave.
Sono nel posto sbagliato: dentro di me. Le sensazioni che riesco a provare, mi chiedo quante ce ne siano di cui non riesco neanche a
immaginarne l'esistenza, non ho idea in che cosa consistano e come ci si senta a provarle. Oppure è tutto qui?
Quanto è limitato il mondo. Sperimento modi per conoscere il dolore ma la mia testa e il mio corpo non rispondono. Sono immune al dolore.
Qualcuno mi ha rubato il dolore.
 
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