vegliambulo |
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| Letto. Penso che l'articolo sia alquanto iperbolico e retorico in molte sue considerazioni. Riguardo i classici, invece, credo sia volutamente pessimista. Insomma, che senso ha sottolineare il fatto che siano i libri commerciali quelli più venduti? Ma dai? Così è ora tanto quanto fu negli anni '60 e '70. Senza contare la percentuale d'analfabetismo allora ancora molto alta nel nostro paese. Quanti comprarono Zavattini, per esempio? Il maestro Manzi faceva lezione in televisione e Citati vuole dirmi che allora le menti erano più allenate? In particolare, la locuzione "credo che sia molto meglio non leggere affatto, piuttosto che leggere Dan Brown, Giorgio Faletti e Paulo Coelho" l'ho trovata di un'ipocrisia e di una banalità sconcertanti; se da Coelho e Faletti non imparo molto, di certo senza leggere del tutto concludo ancor meno. Chissà, magari scorrendo la bibliografia in fondo a un libro di Dan Brown potrei trovare un titolo che m'incuriosisce e approfondire... e ciò indipendentemente dall'argomento, ché ognun si sceglie i suoi. Insomma, trovo che nulla sia da buttar via completamente se può fornirti un input. "Gli italiani non hanno mai letto Dickens e Balzac": ma di chi parla Citati? Dovrebbe innanzitutto sapere che la generalizzazione è sempre un argomento fallace - e, aggiungo, superficiale. Preferisco di gran lunga, a riguardo, le tesi di Calvino nel suo "Perché leggere i classici".
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