| Oddio, è un tema che andrebbe affrontato con molta calma. Per adesso, comunque, mi sento di sottolineare l'ultima parte dell'argomento da te lanciato, Roberto. Al di là delle reali mancanze, spesso grottesche, di moltissime case editrici, spesso sedicenti, mi sento, allo stesso tempo, di autoaccusarmi in quanto autore. Tantissimi aspiranti scrittori, e questo lo confesso, sovente esasperano alcune case editrici, parliamo di quelle serie, di quelle buone. Mandiamo a destra e a manca i nostri manoscritti senza nemmeno averci minimamente lavorato sopra; crediamo che sia una casa editrice a farci diventare scrittori di successo e non noi stessi. Spediamo formati grossolani, abbondiamo negli errori, l'impaginazione è ridicola, ci permettiamo di scrivere cose terribili nelle presentazioni dell'opera, partendo già con un piede nell'autopromozione più indecente. Spediamo il tutto a migliaia di case editrici, qualunque esse siano, che trattino pure di gastronomia quando invece abbiamo scritto un noir. Poi, quando una casa editrice, parliamo di quelle serie, ci risponde dettagliatamente che la nostra opera non può essere pubblicata perché il nostro lavoro (e dico lavoro in senso totale) non è stato curato, c'incazziamo come iene e ci permettiamo anche di rispondere con insulti, sproloqui, facendo trasparire una carenza culturale imbarazzante e sconcertante. La buona casa editrice cerca di farci capire come si dovrebbe lavorare a un manoscritto, ci fornisce consigli utili ma noi, nella nostra abominevole arroganza che è tipica dell'abbrutimento culturale odierno, ignoriamo lo sforzo che dovremmo fare, il vero lavoro cui dovremmo dedicarci, l'autentica passione cui abbandonarci. Facciamo finta di essere convinti che la nostra opera è perfetta così com'è, solo perché non abbiamo voglia di metterci al lavoro. Credete che Delitto e Castigo Dostoevskji l'abbia scritto senza lavorare sodo fino a rasentare l'esaurimento nervoso? Spero di no. Credo di no. Quando un editore di qualità ci rifiuta ci trasformiamo in belve frustrate. "La Fazi mi ha rifiutato il capolavoro...che casa editrice di merda!". E così che probabilmente ci troviamo a dire. Diventiamo nemici della qualità, solo perché essa, per una sola fottutissima volta, ci ha rifiutati. E invece quando una casa editrice di merda ci dà riscontro positivo...noi sguazziamo nella merda, e continuiamo a farlo. S'innesca un circolo vizioso. Evitiamo le cose buone, e si persevera ad accarezzare il cattivo gusto che, solo per caso e per comodo, ci ha scelti. Io credo che quando una casa editrice di prestigio ci rifiuta, con cortesia e professionalità, noi dovremmo soltanto ringraziarla, farne tesoro e rimetterci al lavoro molto più duramente di prima, cercando anche confronti che ci arricchiscano.
Una casa editrice di medio prestigio ha rifiutato il mio romanzo che invece sarà pubblicato da un piccolo editore indipendente. Mi ha gentilmente fornito gli spunti di riflessione per migliorare la mia opera. Li ho ringraziati, mi sono rimesso al lavoro e anche se il mio romanzo verrà pubblicato da un altro editore, sarò sempre grato a quell'altra casa editrice.
Certo è che di case editrici così ce ne sono poche, ma vorrei permettermi la presunzione di dire a tutti noi aspiranti scrittori di sposare la causa dell'umiltà, del confronto, dell'impegno verso il proprio lavoro. Perché uno che non mette serio impegno in ciò che scrive, secondo il mio modestissimo parere, non ha rispetto per sé. Evita il confronto con se stesso.
Forse ho detto un sacco di minchiate, e forse non ho capito bene il tema da te proposto, Roberto. Chiedo scusa per essermi dilungato.
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