La sindrome di Baudelaire, Misure di morte

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EskerRidge
view post Posted on 6/6/2010, 02:59 by: EskerRidge




Grazie Giovanni. Senza saperlo hai messo in evidenza un problema che devo sempre affrontare quando scrivo: l'impegno. Riesco difficilmente a non scavare in profondità, a resistere alle mille nuove opportunità narrative che mi offrono le combinazioni di parole che scelgo per descriverne una, come altrettante porte che devo assolutamente aprire e superare. Mi perdo, e il racconto diventa presto incomprensibile, una mappa mostruosa che rintraccia le mie peregrinazioni in storie parallele che pretendo poi con molta arroganza di riuscire ad integrare al racconto iniziale. Ma non sono James Joyce.

Ne "La sindrome di Baudelaire" sono riuscito per la prima volta a resistere, a proseguire senza aprire alcun porta, a "disimpegnarmi", ad avere il massimo distacco e a tenere saldi i nervi. Sono molto contento della povertà – della crudeltà in un certo senso - della scrittura. Quando l’ho terminato ho capito che ero vicino a qualcosa che cerco di raggiungere da molto tempo. Mi piace scrivere pensando che sto attraversando un lungo corridoio senza porte né finestre, tipico dei sottosuoli di edifici industriali o di ospedali, accompagnato da tubi che entrano e escono dalle pareti e dal pavimento di cemento grezzo, e guidato parzialmente e per intermittenza da una luce artificiale e fredda che non mi permette di vederne la fine ma allo stesso tempo mi suggerisce di non tornare sui miei passi. Nessun impegno concreto, solo la paura di rimanervi per sempre. Quindi avanzo, e in fretta. E' una definizione abbastanza valida dell'efficacia. Non devo avere scelta, il meno possibile.
 
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16 replies since 15/5/2010, 02:11   1566 views
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