Dopo i Titoli di Coda
Rimasta sola nella stanza, la ragazzina scalza col vestito nero a fiori, lanciò un ultimo sguardo alle pareti, che avevano riassunto il loro naturale colore bianco, simili a schermi spenti, finito il film.
Sorrise, e nei suoi occhi non c’era più traccia di gelo - se mai ve n’era stato - ma un’antica comprensione, e un velo di maliziosa pietà.
Si avvicinò a piccoli passi alla palla rossa, che giaceva a terra, ferma nell’equilibrio assurdo prerogativa di ogni corpo sferico, compresi i pianeti, e la raccolse. La rigirò tra le piccole mani un paio di volte, sorridendo, poi la poggiò sul treppiede al centro della stanza, che era il suo posto naturale, da millenni.
Infine si diresse verso la parete opposta a quella della porta d’ingresso, e la sfiorò leggermente, in un punto a circa un metro e mezzo dal pavimento. Un rumore armonioso, come un diapason che risuonava nell’acqua, e la porta nascosta dell’armadio nel muro si aprì.
Scostando alcune scatole, e pile di indumenti, prese, e indossò, un paio di calzini bianchi e le scarpe da tennis basse, provandone poi la solida resistenza sul parquet di scuro ciliegio, tacco, punta e pianta, due, tre volte.
Chiuse l’armadio, spingendone l’anta con due dita, e si diresse verso l’ingresso, sempre sorridendo, e con passi che sembravano un balletto da carillon d’altri tempi. Uscì dalla stanza e serrò a chiave la porta, dietro di lei.
Mentre si allontanava lungo il corridoio, rischiarato dalle lampade liberty azzurre, e dal sole che iniziava a filtrare dai lucernari, invisibili finché era ancora notte, Calliope non poté fare a meno di chiedersi, ancora una volta, come mai dopo tutti quei millenni, gli Autori avessero ancora bisogno di Lei, e delle Sue otto Sorelle, per tirare fuor di fantasia, le loro stupide storie.