AL MILLESIMO PASSO, racconto un po' lungo!

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lagrandefame
view post Posted on 16/8/2010, 12:15




AL MILLESIMO PASSO


L'aroma del soffritto si mescola con la puzza terrificante dell'oleoso contenuto delle migliaia di sacchetti dell'immondizia squarciati e buttati senza ritegno sui sanpietrini del vicolo. I due odori s'inseguono nell'aria afosa, appiccicaticcia; si scontrano, si schiaffeggiano all'altezza dei balconi angusti e tristi ricoperti di cartacce che svolazzano di tanto in tanto da una casa all'altra. I panni stesi sventolano mosci mostrando buchi toppe lacerazioni e macchie incancellabili in ogni dove. Le incrostazioni delle case si scrutano sprezzanti; i vasi senza fiori preferirebbero farsi buttare di sotto per ammazzare un passante, così, per divertimento, anziché restarsene morti e inutili tra le ringhiere arrugginite a guardare bambini che piangono e cani che pisciano.
Nel vicolo riecheggiano in maniera allucinante cento voci lamentose di cento cantanti neomelodici. La cantilena è opprimente, è come il caldo appiccicoso del Sole del Sud. Ma tra il tormento delle voci neomelodiche si distingue un qualcosa di diverso: c'è qualcuno che, in modo irriverente, si permette di ascoltare Idioteque dei Radiohead. Non si sa bene da dove provenga quella musica diversa che sembra suonare da un altro mondo, decine di volti infastiditi si guardano a vicenda duramente dai balconi per scoprire chi è l'assassino.
Ma, probabilmente, colui che sta ascoltando la voce di quella strana musica ha le persiane chiuse e se ne sta sdraiato sul lettuccio con le mani dietro la testa a desiderare di voler stare in un altro posto.
E' domenica. E' ora di pranzo e nel vicolo, oltre la musica, si sente il terremoto delle pentole e delle posate, delle mamme che apparecchiano frettolosamente la tavola e dei papà che sistemano sedie qua e là, confusamente. I bambini urlano, hanno fame, i cani abbaiano, sono irritati da tutto quel frastuono assordante in un'ora così critica per il caldo estivo spietato e strafottente.
In casa Scarnecchia tutto è in movimento. Mamma Sofia, nella sua pesantezza sudaticcia, va avanti e indietro nella piccola cucina tra la tavola e i fornelli e il lavandino e il frigorifero. Papà Mimì, a petto nudo e magro da far paura, butta vecchi giornali in un angolo per fare spazio attorno alla tavola e fuma una sigaretta la cui cenere cade spesso sulla tovaglia già chiazzata di sugo e di caffè. Peppino, vent'anni, è in camera sua ad ascoltare una voce neomelodica a volume infernale e canticchia e dà delle martellate a un pezzo di motorino. Ilaria, quindici anni, non sopportando le martellate e la musica del fratello, cammina per il corridoio a testa bassa e con le manine dietro la schiena. Conta i passi nella sua mente. Da qualche parte aveva sentito dire che quattromila passi al giorno fanno bene. E' quasi all'ottocentesimo passo, decisamente ancora troppo poco. Ma c'è ancora tutto il pomeriggio e la sera, pensa.
- E' pronto! - urla Papà Mimì con voce arrochita. Poi è lì lì per scatarrare qualcosa sul pavimento, ma si trattiene.
Si siede per primo a tavola, impugnando già il cucchiaio. Mamma Sofia, con una certa fatica, si siede anch'ella. Poi è la volta di Ilaria, che continua a tenere la testa bassa.
- Alza la testa - le dice dolcemente mamma Sofia accarezzandole i capelli. Ma Ilaria fa cenno di no. La mamma la guarda dispiaciuta.
- Ha sentito quello? E' possibile che dobbiamo chiamarlo sempre una decina di volte prima di presentarsi a tavola? Sofì, fammi il piacere, dagliela tu una voce, va’- dice papà Mimì sofferente. Mamma Sofia annuisce paziente, si alza ansimando, si dilegua nel corridoio. Apre una porta, la voce neomelodica continua a piangere a tutto volume e così anche le martellate. Poi, improvvisamente, tutto si spegne. Mamma Sofia rientra in cucina seguito da Peppino. Ilaria alza la testa per guardare suo fratello. Lo guarda con attenzione, gravemente. Peppino, che non s'è accorto dello sguardo fisso della sorella, a sua volta guarda il padre con severità, il quale, senza aspettare, ha appena cominciato ad affondare colpi nella minestra. Peppino scosta la sua sedia facendo intenzionalmente rumore, e si siede, continuando a fissare suo padre, mentre sua sorella seguita a fissare lui. Mamma Sofia, sospirando con santa pazienza, comincia anch'ella a mangiare, lentamente, piluccando dal cucchiaio.
Peppino si versa un bicchiere di vino e lo manda giù in un colpo solo, poi, finalmente, dopo aver sbattuto il bicchiere sul tavolo, guarda il contenuto del suo piatto.
- Un'altra volta! - dice spazientito.
- Un'altra volta cosa? - dice papà Mimì non togliendo gli occhi dal piatto.
- Ancora sta bubbazza! Ancora pasta e patate! Un'altra volta! - dice ora alzando la voce. Papà Mimì non replica, Mamma Sofia fa finta di non aver sentito, Ilaria lascia affondare il cucchiaio nella minestra e si tiene la testa con tutte e due la mani. Sembra rassegnata.
- Sono quattro giorni che andiamo avanti a pasta e patate!
- Questo c'è da mangiare e questo ti mangi - dice papà Mimì col cucchiaio a due centimetri dalla bocca, a testa bassa. Peppino lascia cadere stizzito il proprio cucchiaio per terra. Papà Mimì smette di masticare, alza lentamente lo sguardo e lo rivolge gelido a suo figlio.
Mamma Sofia continua a piluccare piccole patate dal suo cucchiaio; Ilaria non mangia più, anzi non ha nemmeno assaggiato. Si tiene la testa abbassata tra le mani ossute.
- E se non me la mangio? - chiede Peppino in tono di sfida.
- Ti fotti. Muori di fame. E riprendi il cucchiaio da terra - replica papà Mimì riprendendo a masticare.
- Perché non si mangia mai qualcosa di diverso in questa casa?
- Perché stiamo passando un brutto periodo, e tu lo sai benissimo. E poi non c'è niente di più buono della pasta e patate.
- Sarà buona per te, ma a me fa schifo, soprattutto se te la butti in corpo cinque giorni alla settimana.
Peppino non ha ripreso il cucchiaio dal pavimento e continua a fissare duramente e con astio suo padre.
- Non fare storie Peppì, non sei un bambino. Lo sai bene come vanno le cose. Non peggiorare la situazione.
- E lo so bene sì come vanno le cose. Mi dici perché vai a lavorare? Per mangiare ‘sta schifezza tutto l'anno? Non ti sei stufato?
- Rispetta almeno tua madre che la cucina questa roba.
Ma Peppino sembra non averlo ascoltato, non degnando nemmeno d'uno sguardo sua madre.
- Che vita di merda è questa?
- E' la vita di una famiglia onesta.
Papà Mimì si versa anch'egli un bicchiere di vino, masticando rumorosamente e a bocca aperta. Peppino ridacchia sprezzante e irriverente.
- Basta con questa storia della famiglia onesta. Non ci crede più nessuno a queste cazzate. Che significa essere una famiglia onesta?
Ora anche mamma Sofia guarda marito e figlio, col cucchiaio a mezz'aria. Papà Mimì torna a fissare severo suo figlio.
- Significa non mettersi nella merda come tantissimi in questa città, vivere senza dare conto a nessuno. Significa andare avanti con le proprie forze senza fottere l'altra brava gente come noi. Vuol dire non rischiare di finire in carcere o al camposanto, non immischiarsi nelle brutte storie. Significa non leccare il culo a nessuno. E’ chiaro?
- E finiscila! E sei contento così? Vuoi dirmi che sei contento così?
- Contento non lo so, ma sono libero. Questo è sicuro.
Peppino, sadicamente divertito, scosta di lato il piatto che ha davanti, appoggia i gomiti sul tavolo e intreccia le mani. Fissa suo padre che è seduto di fronte a lui.
- Libero? E da che cosa?
- Da tutta la schifezza che conosciamo bene.
Papà Mimì sembra interpretare l'affronto con calma, continuando a mangiare.
- Ti credi migliore degli altri?
- Questa è una domanda idiota.
- Però ti credi d'essere migliore degli altri, vero? Sei stato sempre così, non ti sbilanci mai per non comprometterti poi però parli in tono di superiorità, come se gli altri fossero tutti merda al tuo confronto.
- Prima di tutto ho la coscienza pulita e parlo col tono che mi pare. Seconda cosa non è vero che mi sento superiore agli altri.
Peppino scoppia a ridere agitando una mano sotto il naso del padre che seguita a masticare a testa bassa.
- La coscienza pulita! E' arrivato il missionario! Gesù cristo è arrivato! Sant'Antonio!
Ilaria, alla risata e alle parole di suo fratello, alza di scatto la testa per guardare sua madre, come per chiedere spiegazioni su quello strano atteggiamento. Anche mamma Sofia guarda sua figlia, con lo stesso intento.
- Non fare l'imbecille - dice tranquillo ma secco papà Mimì.
- Perché, gli altri non ce l'hanno la coscienza pulita?
- In questo vicolo sono in pochi ad avercela.
- E che ne sai tu?
- Lo so e basta.
- E te lo vengono a dire a te che non c'hanno la coscienza pulita?
- Si sa.
- E dimmi, che ha fatto la gente del vicolo?
- Fai finta di non saperlo? Non ci credo. E' un male comune.
- Vanno a rubare? Fottono la gente? Che fanno?
- Fanno questo ed altro. Stanno sotto lo schiaffo protettivo dei mammasantissima.
- Pure i padri dei miei amici?
- Anche i tuoi amici.
- E quindi pure io.
- Questo ancora non lo so.
Peppino riprende a ridere per qualche secondo, poi smette per bere un bicchiere di vino. Continua a fissare suo padre. Ilaria e sua madre è come se non esistessero.
- Come fai a sapere i cazzi degli altri, eh? Con quale presunzione credi di conoscere le schifezze della gente del vicolo?
A quella domanda finalmente papà Mimì lascia cadere rumorosamente il cucchiaio nel piatto quasi vuoto e guarda suo figlio con l'aria di far prendere alla discussione una piega decisamente più seria, forse con più autorità. Si pulisce le labbra, masticando un'ultima patata.
Peppino, dal canto suo, non sembra intimidirsi, anzi assume un'espressione ancor più irriverente. Mamma Sofia ha da un po’ smesso di mangiare e osserva la scena forse con una certa preoccupazione. Anche Ilaria, completamente a digiuno, pare essere trepidante. Guarda il tutto con la bocca semiaperta.
- Sei deficiente o fingi di esserlo? Come pensi che campino i tuoi amici e i genitori dei tuoi amici? Non fanno un cazzo tutto il giorno. Come fanno ad avere tutti quei soldi per le macchine, i televisori giganti, i motorini e i vestiti firmati? Me lo spieghi? -.
- Spiegamelo tu, professò. Come fanno? Sentiamo.
- Non ci posso credere che tu non lo sappia.
- Sentiamo! Come fanno? - alza la voce Peppino.
- Spacciando merda dalla mattina alla sera, rubando macchine e motorini e chissà che altro e vendendo pezzi in ogni angolo della città, riscuotendo soldi da tutte le parti per portarli ai figli di puttana che smerdano una città intera da una vita. Questo fanno. Scippano, spacciano, fottono, minacciano, ricattano. E' così che campano, è così che ingrassano a catena il Mostro che si fotte tutto quello che di buono si tenta di fare in questo posto, mentre per quelli come me c'è solo miseria. La colpa è anche la loro. Ma si fottono, perché un giorno finiranno male, malissimo.
- E tu? Tu come finirai? - domanda Peppino a bruciapelo con uno strano e inspiegabile sorriso sulle labbra.
Papà Mimì guarda sgomento sua moglie. Sua moglie guarda sgomenta suo figlio. Ilaria guarda sgomenta il sorriso di suo fratello.
- Tu finisci peggio di loro - continua Peppino - Finisci che non c'avrai manco un centesimo per comprarti i cerotti per un graffio al culo.
Papà Mimì sospira. Ora anch'egli ha i gomiti appoggiati al tavolo e le mani intrecciate.
- Io lavoro. Guadagno poco ma lavoro, da mangiare ci sarà sempre in questa casa. E ci saranno pure i cerotti.
- E pensi solo a mangiare? Alle altre cose non ci pensi?
- A cosa dovrei pensare? Penso a mandare a scuola Ilaria, ho pensato a farti continuare gli studi nonostante fosse un lusso per noi. A cos'altro dovrei pensare?
Peppino, alle parole del padre, non fa altro che ridacchiare come tenesse sotto minaccia qualcuno e si prendesse gioco di lui conoscendo già la sua sorte. Un modo di fare che ultimamente è diventato parte del carattere del ragazzo. Sua sorella Ilaria ne è già a conoscenza da circa un mese, da quando lo ha visto una volta minacciare e ricattare un ragazzo della sua età per una faccenda che però ora non ricorda più bene. Rammenta comunque il suo modo di fare sicuro ed arrogante, da gran bastardo navigato, come fosse protetto da qualcuno, da un altro arrogante bastardo e presuntuoso della zona, forse del vicolo.
- Io non voglio studiare, me ne fotto. A che serve?
- Non te ne fotti nemmeno degli studi e dell'avvenire di tua sorella? Per lei può essere importante, non credi? Sei così egoista?
Ma ogni volta che papà Mimì fa il nome di mamma Sofia o di Ilaria, Peppino è come se non sentisse.
- Esistono pure le vacanze. Quand'è che andiamo in vacanza? Un giovane della mia età deve vivere, avere una macchina, magari una moto. Deve poter avere la possibilità di far divertire una bella ragazza, portarla in giro, comprarle qualcosa, un bel vestito...
- Sta scherzando, vero? Mi sta prendendo per il culo, vero? No, perché se è così io lo accetto, faccio finta di non sentire, sto al gioco, mi sta bene che mi sfotte - dice papà Mimì con un sorriso amaro rivolgendosi a sua moglie. Mamma Sofia si stringe nelle spalle. Non sa che dire, ha perso le parole. Sta perdendo suo figlio.
- No, non sto scherzando. Dico sul serio.
Papà Mimì guarda di nuovo Peppino, senza sorriso sulle labbra.
- Vuoi questo? Vuoi comandare? Perché é questo che vuoi, vero? Allora vai a lavorare.
- E chi te lo dice a te che non lavoro già? - dice Peppino allungando il busto e la testa verso suo padre.
- Ne sai qualcosa, tu? - chiede papà Mimì a sua moglie. Mamma Sofia scuote la testa, non ne sa niente.
- E tu? – chiede anche ad Ilaria. Ma Ilaria non risponde nemmeno con un cenno del capo, continua a fissare suo fratello.
- E che lavoro fai? Eh?
- Che te ne fotte a te?
- Fin a quando vivi in questa casa devo sapere.
- Non te lo dico quello che faccio.
- E già, perché non è un lavoro pulito, eh? Non è un lavoro normale.
- E il tuo? Il tuo è un lavoro normale visto che ci mangiamo sempre la stessa schifezza?
- Se lavori comprati tu da mangiare. Impara a fare la spesa e impara a cucinare.
- Ti farebbe comodo, eh? Fino al momento in cui non me ne vado da questa casa al mio sostentamento ci devi pensare tu.
Papà Mimì sospira un'altra volta. Si versa un secondo bicchiere di vino. Lo sorseggia, continuando a fissare suo figlio. Peppino non smette di sorridergli in faccia con aria di sfida.
- Se non mi dici che lavoro fai, per me te ne puoi andare anche adesso da questa casa.
Anche Peppino si versa un altro bicchiere di vino, e anche questo lo scola d'un fiato. Poi rutta in faccia al padre, intenzionalmente.
- Faccio quello che dovresti fare pure tu.
- E cioè?
Peppino scrolla le spalle con aria di scherno.
- Dovresti saperlo, no? Visto che sai tutto…
Mamma Sofia finalmente borbotta un "Oh Gesù" portandosi le mani al viso.
- Che fai, spacci? Chiedi il pizzo ai negozi? Scippi? Fotti la gente? Che fai? Metti paura alle ragazzine come Ilaria?
Stavolta Peppino s'abbandona sullo schienale della sedia.
- Lo sai quello che faccio, no?
- Peppì, non fare lo stronzo. Tu adesso mi dici che schifezze vai combinando in giro e per chi lo fai, hai capito?
Anche papà Mimì scosta da un lato il piatto che ha dinanzi a sé. Ora sembra seriamente preoccupato. Mamma Sofia ha cominciato a singhiozzare piano piano. Ilaria è tornata ad abbassare la testa verso il suo piatto, a non guardare più. E' rassegnata. E' come se già sapesse.
- Perché, sennò che fai? M'ammazzi?
- No, ma ti riempio di mazzate.
- Ci devi solo provare.
- Ah, sei pure protetto! Me ne sbatto i coglioni di chi ti protegge, è chiaro? Tu sei mio figlio, non appartieni agli altri, capito?
- Quelli che mi proteggono mi vogliono bene.
- Peppì, smettila di dire cazzate, non fartelo ripetere. Quella è gente che vuole solo il tuo male. Se vai a finire nella merda quelli ti ci lasciano sguazzare fin a quando non crepi, sentimi bene. Se fai un errore ti fanno fare una brutta fine, e fanno fare un brutta fine pure a noi.
- Mi danno un sacco di soldi e mi fanno un sacco di regali.
- Peppì dimmi che non è vero quello che mi stai dicendo. Tua madre si sta sentendo male, lo vedi? Stai pure spaventando tua sorella.
Ma Peppino non guarda sua madre né sua sorella. Mamma Sofia ha cominciato a respirare con molta fatica. Ilaria è immobile.
- E' colpa tua se fanno una vita di merda.
- Peppì, io ti posso aiutare.
Papà Mimì si alza, molto lentamente. Peppino, restando seduto, s'allontana dal tavolo con la sedia, avvicinandosi al frigorifero alle sue spalle. Osserva attentamente i movimenti del padre. Ma papà Mimì, in piedi, non si muove dal suo posto attorno al tavolo.
- Non mi puoi aiutare.
- Invece sì che posso.
- Faccio un sacco di soldi con la droga.
- Peppì, che dici?
- Ogni tanto vado ad estorcere soldi in qualche negozio.
- Smettila Peppì.
- Ho ricattato pure qualche stronzone come te.
- Peppì, io ti faccio male.
Papà Mimì hai i pugni serrati contro il tavolo. Il suo petto nudo è contratto e nervoso.
- Chi lo sa, forse tra non molto comincio pure ad ammazzare. E là sono soldi a palate, roba da diventare ricchi.
Mamma Sofia gridacchia disperata qualcosa fra i denti che non si capisce. Papà Mimì la guarda un attimo con grande pena.
- Fai schifo - dice poi al figlio e indicando mamma Sofia con una mano.
- Non più di te.
- Io sono un uomo onesto.
- E ci muori molto presto con la tua onestà. Sei un padre senza ambizioni.
- Tu hai ambizioni? Cosa vorresti diventare, un boss? E' questa la tua ambizione?
- Perché non hai fatto pure tu quello che fanno i genitori dei miei amici? Perché non ti metti a vendere la droga? Che te ne fotte della morale? Pensa ai soldi papà. Contano solo questi -, dice Peppino facendo con le dita il gesto che significa denaro.
- Peppì basta. Ora m'hai rotto. Fai quello che ti dico.
Papà Mimì ormai sta per perdere la calma e l'autocontrollo che da sempre lo contraddistinguono. Sbuffa molto nervosamente, e per di più gli ormai incessanti singhiozzi della moglie lo tormentano.
- Tu non mi ordini più un cazzo. Io adesso prendo ordini da altre persone, persone che si prendono cura di me.
- Peppì, tu fai una brutta fine.
- Faccio una brutta fine se sto appresso a te.
- Esci da questa casa! Non farti più vedere da tua madre!
Papà Mimì ha sferrato un cazzotto sul tavolo. Sta per scoppiare. Il figlio rimane seduto a una certa distanza dal tavolo, continuando a sorridere e a sfidare il padre.
- Vattene tu! Io farò tanti di quei soldi che tu manco te li sogni. Io resto! Sei tu che te ne devi andare! Tu non servi a niente!
Poi succede tutto in pochissimi secondi, a gran velocità. Papà Mimì afferra il suo piatto ancora con un po’ di minestra dentro e lo lancia contro il figlio. Peppino è lento, forse non se l'aspettava. Il piatto gli va a finire dritto in faccia. Un graffio appare sulla guancia destra. Va in panico per un secondo, poi si riprende subito. S'alza anch'egli dalla sedia e si getta sul padre, urlando e sputando.
Papà Mimì non si fa cogliere impreparato, ha già le braccia protese in avanti per difendersi da qualsiasi mossa. I due s'accapigliano attorno al tavolo. Peppino ringhia, papà Mimì geme con voce arrochita. Mamma Sofia urla forte, con le mani sul volto. Il suo urlo è spaventoso, fa tremare Ilaria che è seduta accanto a lei. Mamma Sofia poi si alza e si butta tra marito e figlio per dividerli. Scappano parolacce, insulti, minacce, parole tristi. Si sente il rumore di qualche schiaffo andato a segno. Peppino sembra avere la meglio. Ha sguarnito la difesa del padre e lo colpisce con furia cieca. Mamma Sofia tenta di frenarlo aggrappandosi alla sua schiena. Papà Mimì resiste ai colpi, non sembra perdere il controllo e la lucidità. In un momento in cui mamma Sofia sembra aver braccato finalmente il figlio, papà Mimì prende una sedia e la solleva, puntandola contro il figlio. Lo sta soltanto minacciando, forse non lo farà mai. Ma è in quel preciso istante che Ilaria s'alza e se ne va, silenziosamente, e quindi non può più vedere cosa accadrà in cucina. Nessuno s'accorge di lei. Le loro grida volano per aria ed escono dal balcone.

Ilaria apre la porta ed esce di casa, frettolosamente. Si ritrova nel vicolo. Comincia a camminare, anzi riprende a camminare, come ha fatto in mattinata nel corridoio di casa. Riprende a contare i passi, passeggiando a testa bassa e con le manine giunte dietro la schiena. Non è facile camminare con agilità e contare i passi. C'è troppa immondizia sui sanpietrini, e Ilaria la scalcia tentando di non perdere la concentrazione. Poi c'è l'infernale cantilena delle voci neomelodiche, e c'è l'abbaiare dei cani che non sanno dove andare a prendere un po’ di fresco in quell'ora così calda, e c'è il pianto incessante dei bambini. Ci sono anche le urla di sua madre, di suo padre e di suo fratello. Forse c'è pure il rumore di una sedia scaraventata per terra. Ma Ilaria sente anche qualcosa di diverso, qualcosa che non ha mai sentito in quel vicolo, forse mai da nessun'altra parte. Nell'allucinante accozzaglia di rumori soliti del vicolo, Ilaria distingue un suono diverso, una musica diversa, senza scordare di continuare a contare i propri passi. Alza la testa per cercare di capire da dove viene quella strana musica che però sembra piacerle. Non riesce a capire. Forse da quella tapparella chiusa a doppio. Forse da quella veranda dai vetri scuri. Pyramid song dei Radiohead arriva lenta e dolce e suggestiva alle sue piccole orecchie sporche di brutti rumori brutte voci e brutte parole. Sorride. Ascolta la canzone riuscendo ad isolarsi dall'inferno sonoro del vicolo. Sorride, ascolta la canzone e conta i passi. Siamo a novecento. Vuole fare i quattromila passi di cui ha sentito parlare tempo fa da qualche parte. Anzi, ne vuole fare molti di più, magari un milione. Sì, un milione, perché no? Vuole arrivare fino a dove la porteranno un milione di passi, magari fuori la città, magari si troverà a camminare sul mare. Sarebbe meraviglioso. Gesù ha camminato sulle acque, se lo ricorda bene quando un giorno, per curiosità, aveva letto il vangelo. E' la cosa che le è piaciuta di più di quel libro pieno di parole troppo misteriose e difficili per lei. Camminare sulle acque, sul mare della sua città. Sarebbe bello potesse capitarle una cosa simile. Cosa deve fare per riuscirci? Deve mettersi a pregare? O deve morire?
Ilaria pensa, ascolta quella strana musica e conta i passi. Il vicolo è lungo, non finisce mai, e non finiscono mai quelle case piene di rumore. Però, alzando per un momento lo sguardo, intravede la piazzetta. Cammina, conta i passi, ascolta la strana musica, pensa, sorride. Mamma Sofia non c'è più, e non c'è più papà Mimì, e non c'è più nemmeno suo fratello Peppino. Pyramid song, quella strana e bella musica, l'accompagna, la spinge dolcemente. Calpesta i sacchetti dell'immondizia ma non ne sente più l'atroce fetore. Ora li calpesta e li scalcia come fosse un gioco.
Sta per sbucare dal vicolo, sta per entrare nella piazzetta, mancano pochi metri. Vede qualcosa dinanzi a sé. Di fronte vede l'edicola e dietro l'edicola vede due brutte case incrostate; in mezzo ad esse un altro vicolo. Comincia a vedere, verso la sua sinistra, alla destra dell'edicola, parte della fontana della piazzetta. Sui bordi ci sono seduti due signori che parlano e leccano un cono gelato. Ilaria ora non guarda più a terra, guarda davanti a sé. I suoi folti capelli neri si scompigliano per il suo modo di camminare molto baldanzoso, non proprio aggraziato, ma è ancora una ragazzina, ancora una bambina.
Continua a sorridere. Sente la strana musica filtrare magicamente tra le urla della sua famiglia in lite, delle brutte voci neomelodiche, dei bambini che piangono e dei cani che abbaiano. Si sta lasciando alle spalle l'odore del soffritto. Sta per sbucare in piazzetta. Continua a contare i passi. Ora riesce a vedere tutta la fontana, vede distintamente gli uomini seduti sui bordi. Poi volta la testa verso la sua destra. Il bar è aperto, ha i tavolini sistemati fuori. Quelli che hanno già pranzato sono stravaccati a sorseggiare il caffè e a leggiucchiare il giornale. Soprattutto anziani, pochi giovani, poche donne, tre poliziotti che parlano di calcio. Il caldo, l'afa, i sacchetti dell'immondizia dovunque, anche in piazzetta, anche davanti al bar, poi un paio di gatti che camminano stremati.
Novecentonovantuno, novecentonovantadue, novecentonovantatré.
Un rombo. Un motore. Potente, a quanto sembra.
Novecentonovantaquattro, novecentonovantacinque.
Il rombo del motore s'avvicina, fende l'aria fetida. Forse viene dal vicolo che Ilaria ha di fronte. Ilaria è ormai in piazzetta. Non s'è fermata. Riga dritto, guardando di sottecchi un po’ a destra un po’ a sinistra. Non sente più la bella musica di prima. La cerca col desiderio.
Continua a contare. Novecentonovantasei, novecentonovantasette.
Ilaria è a tre passi dal centro della piazzetta, a tre passi dalla fontana, a tre passi dai due signori che parlano seduti sui bordi della fontana.
La motocicletta, grande e nera, sbuca dal vicolo di fronte, sbuca dalle spalle dell'edicola. Due grandi caschi, gialli e neri, lucidi, impenetrabili, imperscrutabili.
Novecentonovantotto, novecentonovantanove.
La moto s'avvicina veloce alla fontana.
La moto è quasi di fronte a Ilaria. S'è fermata. Uno dei due uomini seduto sui bordi della fontana s'alza di scatto, piegato. Si fionda sul corpo di Ilaria, lo pone davanti a sé.
Mille.
Ecco, al millesimo passo.
Il casco che è alle spalle del guidatore spara tre colpi: due sulla spalla sinistra dell'uomo che tiene Ilaria, l'altro nella testa di Ilaria.
La moto riparte e imbocca il vicolo dove abita la famiglia Scarnecchia, scorrazza a tutta velocità schiacciando i sacchetti dell'immondizia.
L'uomo ferito lascia Ilaria cadere a terra, e scappa assieme al suo amico, con la velocità della paura. Gli aggressori potrebbero tornare.
Poi silenzio. Ilaria giace immobile con il visino affondato nei sacchetti squarciati. Ha gli occhi aperti. Ha il respiro morto. E gli occhi, due meravigliosi grandi occhi scuri, lasciano dolcemente il visino di Ilaria e si guardano attorno. Sui bordi della fontana vedono che non c'è più nessuno. Nell'edicola di fronte pare non esserci nessuno. Gli uomini seduti intorno ai tavolini del bar all'aperto sorseggiano il caffè e leggiucchiano il giornale. I tre poliziotti parlano di calcio. Gli occhi di Ilaria si voltano e tornano nel suo vicolo, volando alti. E corrono tra le case sporche e tra i balconi angusti. Vanno un po’ a zig zag, a grandi scossoni, come fossero una telecamera a mano in movimento. E guardano, scrutano nelle case del vicolo. Molta gente è ancora a tavola a divorare enormi fette di cocomero, a parlare ad alta voce, ad urlare, a cantare appresso alle cento voci neomelodiche che provengono dalle radio. Gli occhi si soffermano poi davanti a una finestra. Le persiane sono alzate. Un ragazzo è seduto sul suo letto, ha la testa fra le mani e piange. Gli occhi di Ilaria sorridono: è il ragazzo che sta ascoltando quella musica strana che a lei piaceva tanto. Lo guardano per qualche secondo, poi riprendono il volo. E si fermano sulla ringhiera del balcone della cucina di casa Scarnecchia. E vedono. Peppino è accasciato al suolo e si lamenta per un dolore ad un braccio. Papà Mimì è in piedi, sconvolto e tremante, e ha tra le mani una sedia. Mamma Sofia corre impazzita per la casa urlando il nome di sua figlia, Ilaria. Gli occhi di Ilaria, sospesi in aria, piangono per qualche secondo, poi guardano verso il basso. Decine di persone gridano disperate, alzando braccia e sguardi verso l'alto.
- Donna Sofia! Donna Sofia!
Papà Mimì sente e lascia cadere la sedia a terra, a pochi centimetri da suo figlio che ancora piange per il dolore al braccio. S'affaccia sul balcone. Mamma Sofia l'ha appena raggiunto respirando con enorme fatica. E' tutta agitata. Forse è la sua piccola.
- Hanno sparato a vostra figlia!
Allora gli occhi di Ilaria, senza voler vedere altro, girano i tacchi e corrono via veloci, fino in fondo al vicolo, sorvolando i milioni di sacchetti colorati d'immondizia, sorvolando la moto grande e nera e i caschi gialli e neri. Gli occhi arrivano fino al mare e, sorridendo, volano a pelo d'acqua.

sigla finale


Edited by lagrandefame - 27/12/2010, 17:06
 
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Samanta Sonaglia
view post Posted on 24/8/2010, 21:54




Dalla premessa avrei giurato che fosse un racconto divertente. Il finale mi ha ricordato ciò che successe qualche anno fa.
Una bravissima famiglia, abitava (e ci abita ancora) a Forcella. Avevano un'unica figlia di 14 anni, bella e intelligente. L'avevano avuto dopo dieci anni di matrimonio, e svariati tentativi di concepimento andati in fumo. Annalisa stava tornando a casa, in uno di quei vicoli che descrivi nel tuo racconto, e un 'boss' si fece scudo col corpo mentre gli sparavano. Una storia terribile, che ha scosso Napoli, ancora viva nei ricordi, che ha provocato piccoli tentativi di reazione e ribellione, anche se da quelle parti, non è che sia cambiato granché.
Quando vado al cimitero, un fiore per la piccola Annalisa Durante lo lascio sempre.
Se permetti, questo racconto lo dedicherei alla Sua memoria.
:rosa:
 
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lagrandefame
view post Posted on 24/8/2010, 22:27




Cara Samanta, mi accodo senza esitazione alla tua dedica. Annalisa Durante ce la ricordiamo e ce la ricorderemo sempre. Di solito non scrivo racconti espliciti riferiti alla criminalità organizzata, non è il mio forte, e infatti in questa storia la mia intenzione era più quella di descrivere piuttosto una conseguenza del vivere al margine della criminalità. Una famiglia spezzata e una bambina rapita dall'assurdo nel bel mezzo dei suoi sogni. Ho vissuto diversi anni nel rione Scampia e, purtroppo, di atroce realtà ne ho veduta un bel po'. Il mio modo di denunciare le brutture che ho vissuto e che ho sentito da altri è quello di giocare di fantasia, in modo da trovare una speranza (senza voler essere retorico) nelle situazioni più drammatiche, come ad esempio in quella che ho raccontato in questa storia.
 
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Samanta Sonaglia
view post Posted on 24/8/2010, 22:40




Non sapevo (o forse non ricordavo) fossi di Napoli, Luca. Se la nostra città nonostante tutto continua ad essere tra le più belle del mondo, è perché c'è gente come noi che non si arrende, e continua a sognare. Se chi ha il 'potere' si occupasse anche di queste terribili realtà concentrate (e questo forse è una fortuna) in alcuni 'ghetti', probabilmente le cose, anche se lentamente, cambierebbero. Ma si pensa solo alle zone 'turistiche', perché il turismo è un business, e i turisti portano soldi. Questa è una cosa che mi fa molta rabbia, perché anche qui, è il Dio Denaro a vincere, non l'amore per le proprie radici.
Non sei retorico, Luca. Le speranze, nel nostro piccolo, dovremo trovarle tutti, in un modo o nell'altro.
 
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lagrandefame
view post Posted on 24/8/2010, 23:02




Non vivo più a Napoli da molti anni, ora sono a Roma, passando per il piccolo Molise. Nonostante i molti spostamenti, continuo in qualche modo a vivere la città delle mie origini. Spesso, non lo nascondo, sento Napoli con un certo peso sul cuore, perchè ciò che sento dire in giro dalla gente sulla nostra città è sempre la solita storia: camorra, merda per strada, corruzione, superficialità, assenteismo, droga, baby spacciatori, disoccupazione. A volte si fa a fatica difenderla, e allora il minimo che posso fare è trarre una forma di riscatto da quello che ho vissuto, scrivendo storie. Parafrasando in qualche modo (distorto) De Andrè: dai diamanti non nasce niente, dalla merda nascono fiori. Ho scritto il mio primo romanzo, ambientato a Roma, e quello che ne esce fuori non è poi così diverso da quello che si vede a Napoli, se si parla di aspetti negativi. Ma è dalla sofferenza che s'innalza poi la bellezza suprema, quella che ci salva. Lottare lottare lottare...senza mai smettere.
 
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Roberto Sonaglia
view post Posted on 25/8/2010, 17:35




Lungo, ma senza una virgola in più o in meno di quel che serve. Io lo rivedrei un po', ma solo per dargli ancor più efficacia.
 
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lagrandefame
view post Posted on 25/8/2010, 18:13




Ci penserò Roberto. Grazie per il consiglio.
 
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Samanta Sonaglia
view post Posted on 25/8/2010, 21:06




Si Luca, capisco. So benissimo che a volte è difficile difendela, Napoli. In alcune zone, come quella in cui sei cresciuto tu, è proprio come la si descrive, purtroppo. Ma anche New York ha il suo Bronx, come credo qualsiasi altra città abbia i suoi problemi. Io me la prendo con le istituzioni perché la forza loro ce l'hanno, e i forti dovrebbero difendere i deboli (e chi prende una pistola per sentirsi forte è molto debole in realtà), non abbandonarli al loro destino. Se questi ragazzi avessero un'alternativa, non dico tutti, ma sono sicura che una buona parte si salverebbero. Con questo non voglio difendere quelle persone, anzi, le biasimo, perché un'alternativa c'è sempre, anche se non piove dal cielo. Tu per esempio l'hai trovata, no? ;)
 
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Roberto Sonaglia
view post Posted on 25/8/2010, 21:28




Figurati Luca, e prendila per quel che è: non un consiglio (non mi permetterei mai), ma una mia personalissima opinione. E' un buon racconto, merita di diventare ottimo.
 
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lagrandefame
view post Posted on 26/8/2010, 01:03




Per Samanta: Sì, l'alternativa l'ho trovata, almeno credo, e di questo sono molto contento. Mi piacerebbe però vedere che "l'alternativa" nascesse proprio dentro la città. E la strada per arrivare a questo forse è ancora un po' lunga. Io ci spero.

Per Roberto: Le opinioni mi interessano. Grazie, lo rivedrò con piacere, ora sono curioso di migliorarlo.
 
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Samanta Sonaglia
view post Posted on 26/8/2010, 16:02




CITAZIONE (lagrandefame @ 26/8/2010, 02:03)
Mi piacerebbe però vedere che "l'alternativa" nascesse proprio dentro la città.

Ma è proprio questo che volevo dire quando parlavo delle istituzioni. Se queste persone non riescono - o non vogliono - trovarle da sole, le alternative, bisognerebbe crearle, in un modo o nell'altro. Ma chi ha il potere di farlo se ne infischia, quindi, credo anch'io che la strada sia ancora lunga... ma nemmeno io smetto di sperare ;)

Tornando al racconto, e scusa se mi sono lasciata prendere dal tema, piuttosto che dalla forma, credo che Robi abbia ragione: una piccola revisione di punteggiatura e in qualche punto della struttura della frase, lo renderebbe perfetto. Il racconto ci vale tutto, credimi ;)
 
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lagrandefame
view post Posted on 26/8/2010, 16:16




Grazie anche a te Samanta.
 
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11 replies since 16/8/2010, 12:15   103 views
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