Tango bianco

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paroledipolvere
view post Posted on 25/5/2010, 16:28




L’aveva scoperto Dino. Gliel’aveva detto Marione, suo fratello più grande. Lo chiamavamo Marione perché aveva due pale al posto delle mani. Dino l’aveva detto a me e a Norberto, così eravamo partiti. L’appuntamento era sotto casa mia, vicino al nocciolo. Come al solito Dino era l’ultimo.
- Ah ce l’hai fatta finalmente eh?
Avanzava ansimando, col doppio mento che gli premeva sul collo della camicia. Era l’ennesima notte caldissima. L’aria afosa sembrava volesse entrarti in bocca come un grosso pezzo di cotone bianco.
- Hai capito dov’è il posto? -, chiese Norberto con la faccia arrossata dalla sigaretta.
- Sì, più o meno -, rispose Dino, vago.
Avevo voglia di picchiarlo come si fa coi cani randagi ma mi trattenni, perché era la nostra unica possibilità di vedere il tango.
- Andiamo allora -, dissi a denti stretti.
Dino prese a camminare e noi dietro, affamati. Ci davamo di gomito eccitati e incitavamo Dino a muoversi, ma lui non ne voleva sapere; era già tanto se camminava a quella velocità. Aveva un fazzoletto con cui si asciugava il sudore della fronte. Era enorme, rosso con pallini bianchi grossi come occhi spalancati.
- Senti Dino, perché non ci dici dov’è quella cascina? Così uno di noi intanto può andare a vedere quello che fanno e l’altro cammina assieme a te -, questo lo chiese Norberto, perché è furbo come una volpe. Al paese lo chiamano Faina.
Dino non si fece mettere nel sacco. Serbò il suo segreto, perché sapeva che altrimenti ce la saremmo filata a vedercelo da soli, il tango, e lui lo avremmo lasciato solo a boccheggiare dall’afa e dalla fatica.
La luna piena illuminava i sassi bianchi, che mi facevano venire in mente le cosce delle ballerine. Sode, diafane. E pensavo nella testa: muoviti Dino, muoviti ciccione.
Dino disse: ci siamo quasi. E noi due, Norberto e io, tirammo un sospiro che uscì fuori come un ringhio.
- Dopo quella macchia di alberi, quelle luci là -, disse Dino.
Io rallentai il passo guardandomi intorno.
- Ma qui non siamo alle felci? -, chiesi guardando Norberto.
- Hai ragione. Siamo alle felci -, rispose lui, capendo tutto subito. – E se siamo alle felci significa che quella è la cascina di Nicola! Vieni qua bastardo di un ciccione che ti gonfio!
- No no vi prego! Se ve l’avessi detto subito voi non mi avreste aspettato e io avevo paura a fare la strada da solo! È notte!
Lo lasciammo perdere, perché tanto dopo ci saremmo vendicati correndo a casa come diavoli e lasciandolo indietro. E soprattutto perché al di là di quelle finestre illuminate, laggiù in fondo, c’era il paradiso. Correvamo fissando la luce come le falene. Non ce ne fregava niente dei sassi, dei piccoli burroni, dei tronchi. Volevamo solo quelle finestre, al più presto.
Poi quando arrivammo ci gettammo ansanti contro al muro, appoggiati di schiena. Ci guardammo, io e Norberto. Si sentiva la musica. Era allegra, piena di violini e di aspettative. Chissà come muovevano le gambe sopra a quel ritmo le ballerine! Di qua, di là. Su e giù, coi brividi che partivano dalle caviglie e mi arrivavano dietro le orecchie. Pizzi e raso nero dappertutto, e quella rosa rossa, in bocca, simbolo delle più peccaminose promesse. Sarebbe stato tutto come in quei libri pieni di baci e sospiri che la cugina di Norberto conservava gelosamente sul fondo del cassettone dei vestiti.
Norberto si accese la sigaretta dei momenti importanti. Diede una boccata e ne diedi una anch’io. Poi ci alzammo piano piano, e sbirciammo.
In un angolo c’era il grammofono che sputava le sue note, il tavolo era stato messo da una parte e le sedie pure, tutt’intorno al muro. Nel mezzo: la pista. C’era tutto quello che io e Norberto ci eravamo immaginati. C’erano i pizzi svolazzanti, i vestiti appariscenti, gli uomini coi capelli impomatati e le gambe che volavano. I capelli lunghi e ciondolanti, gli occhi bistrati.
Arrivò Dino, ansando come un caprone.
- Allora, si vede qualcosa?
Norberto sputò per terra.
- Sì Dino, certo. Si vede tutto.
- Fatemi spazio allora, fatemi spazio!
- Eccoti lo spazio -, gli dissi scostandomi e lanciandogli un’occhiata di fuoco - Accomodati.
Lui non aspettava che quello. Anche Norberto si scostò; lasciammo tutta la finestra per lui. Dino si mise in punta di piedi e si affacciò con le mani sul davanzale. Dette un’occhiata e poi strizzò gli occhi. Guardò di nuovo. No, non si era sbagliato. Si girò verso di noi e inghiottì la saliva.
- Che roba è? -, chiese con la voce spezzata.
- Diccelo tu Dino -, ringhiò Norberto.
- Non è colpa mia! -, protestò lui – È stato mio fratello che ci ha detto una cavolata!
Norberto lo prese per i ciuffi e gli girò la testa.
- La vedi quella Dino? Quella più a sinistra che si dimena abbracciata a quell’uomo col vestito grigio?
Dino gemette.
- Quella è la mia lattaia Cristo santo! E potrei giurare che quello che balla con lei è il porcaio! Dove sono le bellezze che ci avevi promesso? Dove sono le gambe lunghe?
La mia rabbia aveva lasciato posto ad un’amarezza profonda.
- Ci hai portato in un covo di vecchi Dino -, dissi sconsolato.
Anche a Norberto prese lo sconforto. Lasciò Dino e si appoggiò al davanzale. Ora ce ne stavamo tutti e tre appoggiati a quel maledetto davanzale solo perché non ci era vento in mente di staccarcene. E mentre scuotevamo le teste e pensavamo a tutte le grazie che ci eravamo persi cominciammo a guardar dentro, con gli occhi afflitti.
Mi accorsi d’un tratto che la musica era sempre la stessa. Con quel tripudio di violini, ti faceva pensare a una bambina che guarda qualcosa con gli occhi sbarrati dallo stupore. E quei vecchi lì dentro che danzavano e danzavano, come se fossero giovani, come se fossero felici. Mi chiesi come facessero a non crepare di caldo, le donne coi vestiti lunghi e gli uomini con le giacche. Poi capii che del caldo non gliene fregava niente. Poco importava se le fronti erano imperlate: venivano asciugate con la manica o tamponate col fazzoletto alla fine del ballo, quando c’era una piccola pausa per risistemare la puntina all’inizio del disco.
Poi di nuovo in mezzo alla stanza, a seguire la musica.
Cominciò a prendermi qualcosa di strano. Mi ritrovai con le mani che stringevano il davanzale; le ritirai subito. Più guardavo dentro più era come se mi avessero versato dell’olio caldo nelle orecchie, o come se fossi sdraiato sulla zattera di tronchi che avevamo costruito la settimana prima. C’era qualcosa che mi tirava le pupille e me le piantava in mezzo alla stanza, e io non potevo farci proprio niente.
Riconobbi Vincenzo. Vincenzo era un omone scontroso e zitto, che si guadagnava il pane vangando i campi. Girava il paese con la zappa, la pala o la vanga sulla spalla sinistra e nella mano destra portava sempre un sacco lercio in cui teneva il vino e il formaggio. Quando lavorava vicino a casa mia poi a pranzo si sdraiava sotto il nocciolo e beveva lunghe sorsate, guardando i ragni che filano la tela.
Là in mezzo, col vestito buono che gli tirava le spalle, che non gli cadeva bene addosso, con le maniche troppo corte che gli lasciavano scoperti i polsi, abbracciato alla lattaia o alla sarta che stava in fondo alla strada, con le sue mani grosse e callose che stringevano la vita della partner e racchiudevano le sue dita, anch’esse rugose e segnate dal lavoro, in un abbraccio profondo, coi piedi grossi e pesanti abituati alle zolle smosse, che calcavano il pavimento lurido della cascina in disegni perfetti. Là in mezzo, sembrava un dio.
Tutti e tre ora, Dino, Norberto e io, ce ne stavamo zitti e guardavamo dentro quella stanza come se ci fosse un’alba o i fuochi d’artificio che si fanno per la festa della Madonna. Quando il disco finiva era come se prendessimo un respiro profondo e ci ronzavano le orecchie. Si fermavano tutti e guardavano il grammofono, ritornando per qualche secondo le persone che erano. I ballerini si staccavano, evitavano di guardarsi negli occhi, limitandosi ad asciugarsi il sudore o a sistemarsi le spalline. Io strizzavo le palpebre e passavo le mani bagnate sui pantaloni ruvidi.
Un attimo prima che la musica partisse, quando la puntina raschiava e basta, si mettevano tutti in posizione; le donne chiudevano gli occhi. Non c’era più la cascina, i campi, le colline. Erano in Argentina, in uno di quei saloni magnifici che si vedono in certe foto rare. Non c’eravamo noi tre, che ci sporgevamo sempre di più e sembrava volessimo entrare a ballare con loro. C’erano solo i violini, il piano, i passi. C’erano solo loro due, nemmeno più gli altri intorno.
Poi la musica finì per l’ultima volta e nessuno rimise a posto la puntina. La notte era alta e il giorno dopo il lavoro li aspettava. Mi risvegliai, e presi a respirare regolarmente. Senza dire una parola ci staccammo dal davanzale. Norberto tirò fuori le sigarette, poi le rimise in tasca. Dino si massaggiava il collo. Ci avviammo verso casa, camminando piano, con la sensazione che fosse appena successo qualcosa. La luna, imperterrita, continuava a far risplendere i sassi bianchi dappertutto.
 
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Krusa27
view post Posted on 25/5/2010, 17:10




Ciao, perchè non ti presenti nell'apposita sezione delle presentazioni così ti possiamo conoscere tutti? ;)

Krusa
 
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paroledipolvere
view post Posted on 25/5/2010, 19:16




CITAZIONE (Krusa27 @ 25/5/2010, 18:10)
Ciao, perchè non ti presenti nell'apposita sezione delle presentazioni così ti possiamo conoscere tutti? ;)

Krusa

Fatto ;)
 
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Roberto Sonaglia
view post Posted on 29/5/2010, 11:11




Un racconto inseribile nel filone universale della 'educazione sentimentale', quelli che raccontano riti di passaggio esistenziali, illuminazioni che fanno crescere.
Il tuo lo fa utilizzando la metafora del ballo (esotico, per di più), dando ad esso risvolti quasi da 'altra dimensione', e caricandolo di simboli che trascendono l'atmosfera provinciale in cui hai immerso situazioni e personaggi. In qualcosa mi ricorda Pavese, in altre Fellini, in altre ancora certe biografie di musicisti americani, bianchi folgorati dal potere del Blues e del Jazz.
In poche parole, uno dei migliori racconti che ho letto finora sul forum.
Complimenti.
 
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paroledipolvere
view post Posted on 29/5/2010, 14:01




CITAZIONE (Roberto Sonaglia @ 29/5/2010, 12:11)
Un racconto inseribile nel filone universale della 'educazione sentimentale', quelli che raccontano riti di passaggio esistenziali, illuminazioni che fanno crescere.
Il tuo lo fa utilizzando la metafora del ballo (esotico, per di più), dando ad esso risvolti quasi da 'altra dimensione', e caricandolo di simboli che trascendono l'atmosfera provinciale in cui hai immerso situazioni e personaggi. In qualcosa mi ricorda Pavese, in altre Fellini, in altre ancora certe biografie di musicisti americani, bianchi folgorati dal potere del Blues e del Jazz.
In poche parole, uno dei migliori racconti che ho letto finora sul forum.
Complimenti.

Beh, che dire, grazie . Ora che mi ci fai pensare forse un po' di influenza di Pavese c'è, soprattutto nell'ambientazione, ma anche in alcuni passaggi sparsi. Non è che mi dispiaccia, perché Pavese lo adoro.
Grazie ancora per i complimenti!
 
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Samanta Sonaglia
view post Posted on 31/5/2010, 20:54




Nell'analisi del racconto, mi trovo totalmente d'accordo con le cose già dette da Robi, leggendo, pensavo esattamente la stessa cosa. C'è un atmosfera in questo racconto, che a tratti dà la sensazione di una favola, o qualcosa di onirico. Il messaggio poi, è sublime. Complimenti anche da parte mia Marco, meritatissimi.
 
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paroledipolvere
view post Posted on 9/6/2010, 19:11




CITAZIONE (Samanta Sonaglia @ 31/5/2010, 21:54)
Nell'analisi del racconto, mi trovo totalmente d'accordo con le cose già dette da Robi, leggendo, pensavo esattamente la stessa cosa. C'è un atmosfera in questo racconto, che a tratti dà la sensazione di una favola, o qualcosa di onirico. Il messaggio poi, è sublime. Complimenti anche da parte mia Marco, meritatissimi.

Apprezzo ancora di più perché ho la sensazione che se non ti fosse piaciuto l'avresti detto a chiare lettere.
 
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Samanta Sonaglia
view post Posted on 10/6/2010, 18:55




Puoi giurarci Marco, sia che Roberto, non dispensiamo complimenti in giro ;) Sarebbe una mancanza di rispetto nei confronti di chi scrive, oltre che una grande presa in giro, e una mancanza di serietà da parte nostra ;)
 
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Maria Papa
view post Posted on 15/6/2010, 09:55




Davvero complimenti!
 
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8 replies since 25/5/2010, 16:28   112 views
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